La chiamata
Storia di una donna argentina

«Nel mondo radicalizzato di oggi, in pochi hanno il coraggio di esplorare con tanta tenacia le zone grigie e le contraddizioni che ci rendono quelli che siamo. Fra cento anni, ancora parleremo di questo tour de force di Leila Guerriero, per me il libro dell’anno». Samanta Schweblin
«"La chiamata" è un libro che dà dipendenza». - El País
«Leila Guerriero ha scritto il suo "A sangue freddo", o piuttosto, "A sangue caldo"». Rodrigo Fresán
Nel 1976, durante la dittatura di Videla in Argentina, Silvia Labayru fu rapita, torturata, ridotta in schiavitù e costretta a dare alla luce la sua prima figlia in una stanza del centro di detenzione clandestino in cui era rinchiusa. All’epoca Labayru aveva vent’anni ed era una militante di Montoneros, un gruppo armato di matrice peronista. Fu rimessa in libertà nel giugno del ’78 e, sull’aereo diretto a Madrid, pensò che l’inferno fosse finito. Ma così non era. Ad aspettarla c’era il sospetto dei compatrioti in esilio: com’era possibile che fosse sopravvissuta e che avesse ancora con sé la bambina? Su di lei giravano voci di ogni genere: giovane, bella, bionda, viva – fra migliaia di desaparecidos –, fu accusata di aver tradito e di aver collaborato con i suoi aguzzini. Nel ripudio generale, riuscì a poco a poco a rifarsi una vita accanto agli amici rimasti.
Nel 2018, complice un messaggio ricevuto da un uomo del passato, Labayru è tornata in Argentina, dove ha poi denunciato gli abusi sessuali subiti in cattività. Così la giornalista Leila Guerriero ha scoperto il suo caso e ha trascorso oltre due anni a intervistare Silvia e tutte le persone coinvolte per raccontare la storia del suo rapimento e della chiamata al padre che, per caso, un giorno di marzo del 1977, le ha salvato la vita.
Questo libro è il vivido ritratto di una donna dalla storia complessa, in cui si mescolano l’amore, il sesso, la violenza, la bellezza, l’ironia, i figli, i genitori, l’infedeltà, la politica, gli amici, e tutto ciò che – nel bene e nel male – ci rende umani.