Piglia sapeva bene nel raccontare quel caso che stava prevedendo il passato e raccontando il futuro. Francesca Lazzarato - Alias - il manifesto
L’equivalente latinoamericano di “A sangue freddo” di Truman Capote - El Mundo
Soldi bruciati racconta la vera storia di una rapina avvenuta a Buenos Aires nel 1965: in combutta con alcuni politici e poliziotti, una banda di malviventi assalta un furgone portavalori. Qualcosa va storto e il piano finisce in un bagno di sangue. A quel punto i ladri fuggono in Uruguay con l’intero bottino, scatenando una caccia all’uomo che si concluderà con un vero e proprio assedio in un appartamento di Montevideo. A oltre trent’anni di distanza, Ricardo Piglia ricostruisce l’accaduto nei minimi dettagli – grazie a interviste, testimonianze, documenti giudiziari, registrazioni segrete –, con la maestria di chi da sempre gioca con ogni materiale a disposizione per trasformarlo in letteratura. Così, i protagonisti di un evento di cronaca si fanno personaggi letterari, ognuno a suo modo indelebile. Conosciamo quindi Malito e il Cuervo Mereles, il terribile commissario Silva e i due «gemelli» che sono l’anima della banda e del romanzo: il Gaucho Dorda e il Nene Brignone – amici, fratelli, amanti.
Come lo stesso autore afferma nell’epilogo alla prima edizione (1997), Soldi bruciati è «la versione argentina di una tragedia greca», in cui il giornalismo investigativo cede il passo a un’avvincente storia fatta di violenza e d’amore, di tradimenti e di resistenza, nella quale il confine tra bene e male si fa più labile a ogni pagina.
La vita è come un treno merci, hai mai visto passare un treno merci di notte, lento, non finisce più, sembra interminabile, ma alla fine resti a guardare il fanalino rosso dell’ultimo vagone che si allontana nel buio.
Ricardo Piglia