Tungsteno
«Tungsteno» è un romanzo di fatti, diviso in azioni e scene di sapore teatrale, dimostrativo. Ma non è una fredda spiegazione didattica del funzionamento del mondo e del capitalismo e colonialismo, è il caldo grido di rivolta di un poeta che mette la sua arte a servizio di un’idea e di un progetto, ma prima di tutto a servizio della sua gente, dei suoi «analfabeti». Goffredo Fofi
Nel Perù di inizio Novecento, l’impresa statunitense Mining Society acquista le miniere di tungsteno della zona di Cuzco, creando un giro d’affari inconsueto per gli abitanti del luogo. Ma l’arrivo dei gringos equivale a un’invasione nelle terre ancestrali degli indigeni, e nelle loro vite. Ben presto il lavoro in miniera si trasforma in schiavitù.
Il lettore non può restare indifferente all’esplicito atto di denuncia contenuto nel romanzo; è costretto a prendere una posizione, come fa l’agrimensore Leónidas Benites, uno dei protagonisti. Con un linguaggio diretto ed estremamente visuale, Vallejo intreccia una narrazione che è prima di tutto politica, ancora attuale a più di ottant’anni dalla sua prima pubblicazione: una riscoperta necessaria.
In generale, Leónidas Benites non era molto amato a Quivilca. Perché? Per il suo stile di vita? Per il suo moralismo? Per la sua mancanza d’energia? Per la sua scontrosità e sfiducia nel prossimo? L’unica persona vicina all’agrimensore e disposta a mostrargli un po’ d’affetto era la madre di un tornitore, mezza sorda e già avanti negli anni.
César Vallejo