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La riprova del campo

Fabrizio Gabrielli Società, SUR

Il rinnovamento politico ed economico dell’Argentina del neopresidente Macri passa anche attraverso il fútbol. Tra violenza negli stadi, partecipazione dello Stato alla commercializzazione dei diritti tv e nomine strategiche nelle stanze dei bottoni.
Pubblichiamo oggi un articolo di Fabrizio Gabrielli già apparso su
Pagina99, ringraziando l’autore e la testata.

Il fútbol è, tra le molte altre cose, una gigantesca macchina del consenso.
Lo sa bene Mauricio Macri, 52° presidente della República Argentina eletto lo scorso 9 dicembre, per più di due lustri (dal 1996 al 2008) presidente della squadra più titolata del paese, il Boca Juniors. Un ruolo che gli ha conferito notorietà ed estimatori, un trampolino imprescindibile per la sua scalata alle cariche di Sindaco di Buenos Aires prima, di Presidente poi.
«Il calcio argentino, negli ultimi anni, ha messo in mostra lo stesso disordine che vige nel Paese, dove è tutto un viva la pepa», ha dichiarato recentemente. Un panorama costellato di ingerenze e conflitti di interesse che coinvolgono anche lo Stato a più livelli. Sociale, in primis. Ma anche, e soprattutto, economico.

Senza tifosi ospiti

Da più di due anni, cioè da quando un tifoso del Lanús venne assassinato durante un match della sua squadra a La Plata, contro l’Estudiantes, agli hinchas argentini è proibito seguire le proprie squadre in trasferta.
Riportare i tifosi allo stadio solleva l’urgenza di una soluzione politica che abbia a che vedere non tanto (e soltanto) con la pubblica sicurezza, ma – più profondamente – con il senso di legalità.
Intorno a ogni partita ruota un giro d’affari di quasi centomila euro, tra ingressi, parcheggi, ristorazione e merchandising. Un business enorme, esposto a infiltrazioni dalle quali i club finiscono, regolarmente, per trovarsi messi in scacco. Oppure, ed è forse peggio, con le quali si legano in un rapporto di complicità.
Nel 2013 Macri, da governatore di Buenos Aires, firmò una convenzione con una ONG molto vicina a «La Doce», gruppo di punta della barra brava, il cuore pulsante del tifo xenéize, per la costruzione di nuove case nel quartiere de La Boca. Tra i beneficiari delle abitazioni ci sono tifosi celebri per il loro attaccamento ai colori societari, e per i trascorsi giudiziari. In curva alla Bombonera, durante la campagna elettorale, sono comparsi striscioni che invitavano a votare per Macri.

Calcio davvero per tutti?

La sfida che attende Macri è in realtà un Giano bifronte: da una parte provare a rendere nuovamente possibile una fruibilità dello spettacolo dal vivo, dall’altra tenere in vita – vieppiù rendendolo economicamente virtuoso – l’apparato di Fútbol Para Todos.
FPT è il programma di televisizzazione del calcio argentino: globale, in chiaro, i cui diritti sono detenuti dall’AFA, la federcalcio nazionale. Ma con la compartecipazione economica dello Stato.
Dal 2009, l’anno in cui è stato lanciato, lo Stato ha investito in FPT nove milioni di pesos (quasi mezzo milione di euro). Durante la presidenza di Cristina si è trasformato in uno strumento di costante propaganda politica, con 500 ore di pubblicizzazione dei risultati conseguiti dal peronismo e dalla Presidenta.
«Fútbol Para Todos continuerà a esistere», ha dichiarato Macri, «ma con costi ragionevoli e senza politica di mezzo. Commercializzeremo gli spazi e lo Stato si occuperà solo di aiutare la AFA a creare uno scenario nel quale il calcio si orienti verso la modernizzazione e la trasparenza che finora non ha avuto».
La parola modernizzazione, per Macri, fa sempre rima con capitalizzazione: nel 2007 creò un ranking tra i soci del Boca per decidere chi avrebbe avuto la priorità nell’acquisto dei biglietti per le partite a massima affluenza. Il calcio, per lui, è sempre stato una strategia economica forzatamente win-win: come dichiarò durante una conferenza a Oxford narrata da Simon Kuper sul Financial Times, nel fútbol «non c’è bisogno di grandi investimenti: hai già riconoscimento».
«La mia formazione è economica: nel periodo del Boca l’ho applicata, e i risultati sono venuti».
Durante la trasmissione della recente semifinale di Coppa del Mondo per Club tra River Plate e Sanfrecce, i primi spot privati hanno fatto capolino nella programmazione. Secondo le opposizioni, la vera intenzione di Macri è quella di una liberalizzazione guidata, orientata perlopiù a beneficio del Grupo Clarín. Il gruppo del CEO Héctor Magnetto è anche coproprietario della TyC Sports, emittente alla quale l’AFA ha ceduto i diritti della Primera B, la seconda divisione argentina.

Lo snodo strategico: il rinnovamento nella stanza dei bottoni

La direzione che intraprenderà la politica calcistica argentina dipenderà, inevitabilmente, dalla prossima ristrutturazione dei vertici della federcalcio.
Il più autorevole candidato a succedere a Luis Segura, presidente ad interim dopo il trentennio solipsistico di Julio Grondona, morto nel 2014, si chiama Marcelo Tinelli.
Vicepresidente del San Lorenzo de Almagro, Tinelli incarna perfettamente l’ideale macrista di rinnovamento: è giovane, mediatico, moderno, dinamico. E a suo agio negli ambienti governativi.
Conduttore e produttore televisivo di successo, già da anni attivo in Federcalcio, Tinelli è stato l’artefice, grazie ai pesos e a un portfolio di conoscenze e agganci non sempre adamantini, dei trionfi calcistici del Ciclón, la squadra preferita di Osvaldo Soriano e di Bergoglio, nel 2013: Torneo Apertura e Copa Libertadores, vinte entrambe dopo l’insediamento alla presidenza dell’altrettanto carismatica e controversa figura di Matías Lammens, ben dipinta da Dario Saltari in un articolo su L’Ultimo Uomo intitolato «Azerbaijan terra di fuoco».
Una rivoluzione intestina, in parte, è già iniziata. Sul finire del 2015 due delfini di Macri si sono insediati in posizioni chiave all’interno della Federazione: Lammens alla tesoreria e Angelici (attuale presidente del Boca) segretario per gli affari interni.
Il cambiamento sarà finalmente completo quando a Giugno Tinelli, con molta probabilità, verrà eletto presidente.
«Il calcio, come tutta l’Argentina, è chiamato a fare un salto nel Ventunesimo secolo», non smette di ripetere Macri.
Ai suoi tre protetti spetterà il compito di rinegoziare i diritti di FTP, la vendita dei diritti tv all’estero, i rapporti con gli sponsor per l’albiceleste e, non ultimi, quelli con lo Stato.
Controllare, insomma, gli aspetti più lucrativi del calcio argentino.

 

Calcio & politica in pillole

Nel 1978 l’Argentina ospita l’undicesima edizione del Campionato del Mondo di calcio: lo scenario perfetto, per il regime militare, in cui portare il processo di riorganizzazione nazionale all’acme dell’appoggio popolare. L’albiceleste vince la Coppa, in un tripudio di nazionalismo. Ma non basta per ripulire l’immagine del Paese all’estero.

Nel 1979 Julio Grondona viene nominato presidente dell’Asociación del Fútbol Argentino dall’ammiraglio Carlos Alberto Lacoste, cugino della moglie di Videla, amico intimo di João Havelange, presidente dell’Ente Autárquico Mundial ’78 e per anni vicepresidente della Conmebol, il massimo ente sportivo del sudamerica. Tre anni prima aveva brutalmente destituito l’intera dirigenza calcistica peronista.

Nell’ottobre del 1981, durante una sfida tra Nueva Chicago e Defensores de Belgrano, i tifosi del barrio Mataderos, roccaforte del peronismo, intonano la Marcha peronista, allora proibita, come fosse un coro da stadio. La polizia arresta 40 persone e le conduce, a piedi, scortata da guardie a cavallo, fino al commissariato più vicino, sotto una pioggia di pietre di protesta.

Nel luglio del 1989 Carlos Saul Menem scende in campo con la maglia numero 5 della Selección, al fianco di Maradona e Caniggia, in un’amichevole giocata dall’Albiceleste sul campo del Vélez.
Un giovane compie un’invasione di campo per andare ad abbracciarlo. Sugli spalti si intonano cori come «chi non salta è un radical» e «Menem, querido, el pueblo está contigo».

 

© Fabrizio Gabrielli, 2016. Tutti i diritti riservati.

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