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La tigre del bandoneón

redazione Reportage, Società, SUR

EduardoArolas_SURPubblichiamo oggi un approfondimento sul tango, elemento imprescindibile per la cultura argentina, e in particolare sul tanguero Eduardo Arolas, detto appunto «la tigre del bandoneón». L’articolo è uscito su Vice Versa, che ringraziamo. 

«La tigre del bandoneón»
di Eduardo Magoo Nico
traduzione di Raffaella Accroglianò

Sono molteplici i punti di vista dai quali si può abbordare un fenomeno, tanto ricco, come il tango. Musica, danza e canzone popolare delle due sponde del Rio de la Plata. Folclore urbano dai ritmi neri, con molto di porto, di usanze campestri, d’immigrazione, di puttane di ogni tipo e di bellocci criolli. Tutto ben mescolato e ballato in un quilombo.[1]

All’inizio è una musica nuova, provocatrice, allegra e negligente; dopo, quando viene adottata dalla gente benestante, è malinconica, grave, elegante. Ha utilizzato parole e copione da melodramma; paragonabile al jazz per il suo sviluppo, parallelo nel tempo e negli influssi, ma sempre differente.

Così come sono tante le sfaccettature e i suoi personaggi, sono tanti i possibili modi di osservarlo e descriverlo nel tempo. Il mio in questa nota, è quella del figlio di un tanguero degli anni quaranta, interprete di bandoneón in un’orchestra tradizionale, quando a Buenos Aires più di seicento gruppi musicali[2] animavano i balli e le feste, e la gente esprimeva il proprio fervore per la musica di D’Arienzo, Di Sarli, Troilo, Mores o Fresedo, come se si trattasse di una squadra di calcio.

Io sono cresciuto con la voglia di ascoltare rock e non tango, un rock che cominciava a essere cantato in spagnolo alla fine degli anni Sessanta. Il tango per i giovani della mia generazione era una cosa da vecchi (dei nostri vecchi) troppo formale, solenne e maschilista. Con il rock la danza diventò individuale, si trasformò in viaggio, espressione libera, catarsi ritmica. Nel mondo del tango si veniva da una débâcle. I grandi balli erano stati proibiti dai governi antidemocratici che si succedettero a partire dal golpe militare del 1955. La maggior parte delle grandi orchestre non esistevano più e moltissimi musicisti persero il lavoro, spodestati inoltre, dalla sempre crescente diffusione dell’uso, in feste, bar e milongas,[3] di dischi e la grande (devastante) diffusione, attraverso tutti i mezzi, della musica anglo-americana.

Negli scantinati nei quali si erano rifugiati i musicisti di tango, questa crisi, nondimeno, sviluppava una nuova fusione. Il tango si modernizzava e, come in origine, tornava a essere controcultura, ma questa volta come avanguardia intellettuale e per un pubblico molto più colto. Non si componeva più per i piedi dei ballerini ma per la gente abituata ad andare ai concerti.

Con diverse varianti, Pugliese, Eduardo Rovira, Piazzolla, Mederos, il Quartetto Cedrón ed Eladia Blázquez, tra gli altri, realizzano questa rivoluzione molto avversata all’inizio dal gran pubblico del tango, che ripiangeva l’epoca d’oro delle grandi orchestre. Durante il suo ultimo esilio riconquistò nuovamente una certa fama all’estero, per tornare nel paese e tornare a essere ballato massivamente nella primavera democratica, mischiando, nelle milogas che risorsero come funghi dalle profondità dell’humus culturale del nostro popolo, giovani e vecchi. Rinnovato e noi con lui, dato che come direbbe un Eraclito del River Plate: «Non si balla due volte lo stesso tango».

Il mio omaggio va a Eduardo Rovira, declassato, segregato e morto dimenticato e in miseria durante la dittatura di Videla, con il peccato di aver avuto amici di sinistra (molti dei quali desaparecidos). Fu uno dei primi cultori del tango moderno, fu il primo a elettrificare il suo bandoneóne ad aggiungergli un wah wah e nell’utilizzare la “atonalità” come sistema di composizione («Sónico» 1961, della Récord e 1968, Show).

Piazzola è tra i primi a incorporare nei suoi gruppi musicisti di jazz e di rock, arrivò perfino a dire, con grosso scandalo di molti, che il migliore poeta popolare di Buenos Aires era Spinetta, idolo del rock psichedelico.

E persino i vizi dei vecchi tangueros arrivarono a incontrarsi con la strabiliata complicità dei giovani rocchettari, che fino al giorno prima li guardavano con diffidenza. Si raccontavano aneddoti del tipo: «Indovina chi mi ha offerto merca[4] nel camerino del teatro? El Polaco Goyeneche!»[5]

Per tutto questo e riguardo a questo ritrovarsi di generazioni, vorrei qui riferirmi a un musicista della Vecchia Guardia, romantico furibondo, per la sua epoca una specie di dandy-punk alla Sid Vicius, quando il tango era ancora una cosa da emarginati. Eduardo Arolas (1892-1924) era un bel moretto figlio di genitori francesi che si vestiva con lo stile dei ruffiani (truffatori).

Da qualche parte c’è una foto storica: giacca nera corta, pantaloni a righe piccole con la fascia laterale, cappello a grandi falde su un’abbondante riga nera, cravatta vistosa, scarpe di camoscio bordate.

Fumava con un lungo bocchino e inguantava le mani esibendo ostentatamente una serie di anelli che faceva brillare agitando con garbo un nodoso bastone di bambù. «Mi muovo molto in mondi in cui i pericoli sono sempre in agguato, e se non appare una pistola o un coltello… Mi basta questo per difendermi da qualche spaccone che mi venga incontro».

Portava il bandoneón avvolto in un panno nero e, quando apriva il pacchetto per custodire lo strumento tra le sue gambe, riversando tutta la sua anima nell’esecuzione, essendo ancora un ragazzino, aveva diritto a tutto: all’eccentricità del suo atteggiamento, alla bottiglia di gin sotto la sedia e al pubblico riconoscimento per la sua bravura sul grave strumento che il meticcio Sebastián e il negro Santa Cruz[6] introdussero all’esecuzione del tango.

Con tante melodie segrete nel cuore, in una notte di festeggiamenti tra compagni leali, amiche affettuose, abbondanti libagioni e abbracci che si trasformano in cortes y quebradas,[7] sorge spontanea la musica di «Una noche de garufa» (1909). Quale altro titolo avrebbe potuto avere questo tango? Era una melodia avvincente con qualcosa che la rende differente. Le sue battute e i passi delle coppie che le ballavano, erano fatti l’uno per l’altro. Il fatto è che le coppie ballando avevano suggerito gli accordi ad Arolas, mentre il suo sguardo ipnotizzato seguiva i giri del ocho, la media luna o la corrida.[8] Dondolando il fueye[9] aveva cambiato la battuta binaria per quella più consona in quattro ottavi. Era il tango-milonga.

Se Eduardo Arolas fu il miniaturista lirico della canzone di Buenos Aires, «Una noche de garufa» ha l’importanza biografica di essere il suo primo tango. A quel tempo era un ragazzo di diciassette anni, che viveva con i suoi genitori a Barracas al Norte,[10] davanti alla piazzetta Herrera, attaccabrighe e conosciuto dalla gente della notte, come un cucciolo destinato a trasformarsi un giorno in «La tigre del bandoneón». Toccava il suo strumento a orecchio, e a orecchio aveva composto questo tango che la gente canticchiava con piacere.

Si racconta che il cucciolo una notte si decise, e camminando contro vento si diresse a La Boca, in cerca di quel ritmo milongueado che lui già fraseggiava e conosceva. Arrivò all’incrocio di Suarez e Necochea, rifugio del suonare più vigoroso, con i suoi caffè ai quattro angoli, dove si giocava il destino storico del tango. In «La Marina» il capo era il Tano Gennaro, in «Las Flores» Firpo con la sua chioma tenace, e in «La Popular» svettava il tedesco Arturo Bernstein, con il suo rosario di brocche di birra.

Il cucciolo si diresse al Royal, perché era da lì che proveniva il suono che stava cercando (Francisco Canaro al violino, Samuel Castriota al piano, Vicente Loduca al bandoneón) e fu accolto molto bene. Che banchetto di trilli, strimpelli e sincopi ci fu! Passato il baccano e la fatica notturna, con il silenzioso albeggiare, il tango soave del retrobottega tornò a estendere le proprie ali sull’angolo.

Arolas esce a fare un giro per il quartiere, con l’anima ben impacchettata e sostenuta dal cuore, lo abbandona però per il sospiro di una bella donna, che usciva da un cabaret, con un’acconciatura elegante, incorsettata e abbondantemente profumata alle violette. Ultima ad abbandonare la festa della malavita dorata, sarebbe stata una premonizione fatale per il sospirato compositore, che seguendo il disvio della sua tormentata passione, finì morendo in un angolo oscuro di Parigi, dopo tre lustri e cento venti partiture composte, ammazzato dal vizio e la tisi, a soli trenta due anni di vita.[11]

E non ci fu neanche un piccolo trafiletto in un qualche giornale di Buenos Aires che facesse sapere che Eduardo Arolas era stato seppellito, con la sola compagnia di pochi amici creoli afflitti, nel cimitero di Saint Quen, in un sobborgo parigino.

Corto Maltese rivisiterà la sua storia molti anni dopo, quando menzionerà un tango che «La tigre del bandoneón» aveva composto per la sua donna, che affettuosamente chiamava “Cachila” per il nome di una uccellino della pampa argentina non addomesticabile e molto difficile da cacciare…

[1] Quilombo era il nome che si dava ai rifugi dei negri fuggiaschi mentre era vigente la schiavitù in Brasile. In Argentina è sinonimo di postribolo e per estensione di disordine.

[2] «La Buenos Aires che accoglie Hugo Pratt nel 1949, è la quarta città del mondo per dimensioni. La abitano più di 4.000.000 persone, delle quali circa 8.000 erano musicisti professionisti di tango, registrati al sindacato e distribuiti in più di 600 orchestre attive nella sola Capitale». Marco Castellani, Corto Maltese – Tango.

[3] Milonga: moltitudine di parole, disputa verbale. Ballo tradizionale argentino in battute di 2/4. Si chiamano inoltre milongas i tipici locali dove si balla tango.

[4] Merca, nome che si da oggi popolarmente alla cocaina. Forse alludendo alla cocaina di marca Merk, che anticamente si vendeva nelle farmacie.

[5] Cantor de tango, molto popolare tra i giovani rocchetari. Ultimo grande idolo del tango.

[6] Il meticcio Sebastián e il negro Santa Cruz si raccontano come i primi interpreti del bandoneón conosciuti in Argentina.

[7] Figure del tango danzabile.

[8] Figure del tango danzabile.

[9] Il fueye è il polmone del bandoneón, simile a quello della fisarmonica, e per estensione, lo stesso strumento musicale.

[10] Quartiere di Buenos Aires, oggi chiamato semplicemente Barracas.

[11] Enrique Cadicamo (poeta tanguero) sostiene che in realtà morì per le botte che gli avevano propinato alcuni macrós (ruffiani) francesi per avergli rubato una fanciulla.

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