Noé Trauman, capo dell’organizzazione criminale Zwi Migdal
di Raul Schenardi
Uno dei personaggi principali dei Sette pazzi di Roberto Arlt è Arturo Haffner, che viene presentato al lettore come un uomo dal “viso quasi tondo, pacioso e rilassato, che rivelava l’uomo d’azione attraverso la scintilla ironica e mobilissima nel fondo degli occhi”. Quando espone a Erdosain la sua filosofia di vita e i motivi per cui aderisce alla setta segreta dell’Astrologo, Haffner insiste su un punto: “I bordelli renderanno somme tali da poter finanziare le ramificazioni sempre crescenti dell’associazione. Sulle montagne impianteremo una colonia rivoluzionaria. Lì i nuovi adepti seguiranno dei corsi di tattica anarchica, di propaganda rivoluzionaria”. Un ruffiano anarchico sembra quasi un ossimoro, eppure…
Noé Trauman nella sua vita fu entrambe le cose. Questo polacco di origini ebraiche arrivò in Argentina nel maggio del 1906 con documenti falsi per sfuggire alla polizia segreta dello zar Nicola II. Uomo d’azione, non era comunque uno sprovveduto sul piano intellettuale, tanto che aveva polemizzato con Bakunin e persino con Plekhanov. Insieme ad altri immigrati polacchi diede vita alla Società Israelita di Mutuo Soccorso “Varsovia”, il cui vero scopo tuttavia era l’“importazione” di giovani polacche da immettere nel mercato della prostituzione. (Ovviamente, i gruppi in cui aveva militato in Europa gli voltarono le spalle e minacciarono ritorsioni nei suoi confronti.)
Secondo varie testimonianze, raccolte da Sylvia Saitta in El escritor nel bosque de ladrillos, una biografia di Roberto Arlt, lo scrittore portegno si sarebbe ispirato proprio a Noé Trauman per creare la figura del Ruffiano malinconico. Con lui avrebbe fatto lunghe chiacchierate nella Confiteria Las Violetas quando era giornalista del quotidiano «Crítica» e si occupava di cronaca nera. E lo stesso Noé Trauman si vantava di aver suggerito ad Arlt il personaggio del Ruffiano malinconico.
Stando alle testimonianze, Noé Trauman teneva lunghi sermoni ai soci della società “Varsovia” – formata esclusivamente da ruffiani – con dettagliate riflessioni sulle ingiustizie e i mali del capitalismo, da cui deduceva che i veri sfruttatori erano i padroni, che pagavano una miseria per interminabili e durissime giornate di lavoro. Gli affari andavano a gonfie vele e la rete di bordelli di “Varsovia” si estese in modo impressionante, tanto che diverse organizzazioni ebraiche cominciarono a protestare contro questi membri che gettavano discredito sull’intera comunità e fecero di tutto per emarginarli. “Varsovia” allora si trasformò nella “Zwi Migdal”, termine iddish che significa “grande forza”, anche se l’origine del nome è incerta: potrebbe essere stato scelto in onore di uno dei suoi primi membri, Luis Migdal, oppure potrebbe rimandare a Magdala, il villaggio di Maria Maddalena, di cui si dice fosse una prostituta.
Nel momento della sua massima espansione, pare che all’organizzazione fossero affiliati oltre 400 membri, con più di 1500 ragazze che lavoravano per loro, a Buenos Aires, Rosario e altre città argentine, ma anche in Brasile, a New York, Varsavia, ecc. I ruffiani reclutavano ragazzine dai 13 ai 16 anni nei villaggi russi e polacchi con promesse di matrimonio, o di un lavoro presso ricche famiglie ebraiche argentine. Presso il Café Parissien si tenevano poi delle aste dove le ragazze venivano vendute ai tenutari dei bordelli. Le transazioni si svolgevano con sterline inglesi. Per le ragazze più riottose ad accettare il loro destino c’era addirittura un bordello dedicato.
Secondo la scrittrice e ricercatrice storica Elsa Drucaroff, tuttavia, molte avevano già esercitato la prostituzione, o comunque potevano intuire, negli anni Venti, quale sarebbe stato il loro destino. Nel suo romanzo El infierno prometido, una prostituta de la Zwi Migdal – dove figura un giornalista del quotidiano “Crítica” soprannominato “El Loco”, personaggio chiaramente ispirato a Roberto Arlt –, una prostituta di nome Dina viene sottratta al suo infame destino da un anarchico.
La “Zwi Migdal” è anche al centro del romanzo poliziesco Sangre kosher (che sarà pubblicato in Italia dalla casa editrice Atmosphere), della scrittrice argentina di origini ebraiche María Inés Krimer, che ricorda come, di fonte all’ostracismo della comunità ebraica, la “Zwi Migdal” si organizzò in modo di avere propri rabbini – che celebravano matrimoni non validi per la legge argentina fra i ruffiani e le loro concubine –, una propria sinagoga in calle Córdoba e persino un cimitero. Naturalmente, con la colpevole protezione della polizia e di magistrati corrotti.
L’inzio della fine dell’organizzazione fu segnato dalla denuncia di Raquel Liberman, una vittima dell’organizzazione mafiosa, che consentì di perquisire le sedi centrali dell’organizzazione a Buenos Aires e Rosario e di chiedere l’arresto di tutti i membri, che riuscirono però a rifugiarsi in Cile. Comunque, nonostante le vergognose coperture delle autorità, nel 1930 furono processati 108 membri della “Zwi Migdal”, e il colpo per l’organizzazione fu quasi mortale.
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