ThelmaLouise

In viaggio, da femmine.
Sull’assenza di donne nella letteratura on the road americana

Bernadette Murphy BIGSUR, Scrittura

Questo articolo è comparso originariamente su LitHub.com. Viene qui riprodotto per gentile concessione dell’autrice.

di Bernadette Murphy
traduzione di Martina Testa

Mentre progettavo un viaggio in moto di sedici giorni, da una parte all’altra del paese, in compagnia della mia amica Emily – il primo viaggio alla «dai, che ci frega!» che ciascuna delle due avesse mai fatto – i nostri amici e parenti hanno espresso profonda preoccupazione. Un amico mi ha chiesto se ci stessimo portando dietro delle armi, con l’ovvio sottinteso che andavamo in cerca di guai. Sembrava che l’idea di due donne in viaggio da sole per le strade d’America mettesse in allarme un po’ tutti.

Ma questa preoccupazione aveva un fondamento reale? Sulla base della mia limitata esperienza, le donne che viaggiano on the road se la cavano benissimo se usano il buon senso e i guai non se li vanno a cercare. Esattamente come gli uomini. Ho cominciato a chiedermi se non fossero le storie che ci raccontiamo e che leggiamo a dar forma a quelle reazioni.

Nella letteratura americana ci sono moltissime storie di avventura con protagonisti maschili che si dipanano lungo le highways e le strade più sperdute. Sal Paradise, il narratore di Sulla strada di Jack Kerouac, e il suo amico Dean Moriarty vagabondano per il paese sulle ali della loro esuberante joie de vivre, in cerca di eccitazione. Viaggio con Charley di John Steinbeck segue le spedizioni dell’autore che insieme al cane, un barboncino nero, a bordo di un camper appositamente allestito, va in giro a visitare il paese e a scoprire in prima persona «come sono fatti gli americani di oggi». In cerca di guai di Mark Twain segue i suoi viaggi in carrozza da un lato all’altro del continente, mentre America perduta di Bill Bryson racconta il suo ritorno da un lunghissimo periodo trascorso all’estero e il riambientarsi nella madrepatria, e A spasso con Mr. Albert vede il giornalista Michael Paterniti sfrecciare per gli Stati Uniti con il cervello di Einstein nel portabagagli della macchina. E la lista potrebbe continuare.

Ci sono infiniti motivi per cui leggo, ma uno di questi è imparare a fare le cose. Forse una versione letteraria del darwinismo sosterrebbe che sperimento, tramite la letteratura e la mia fantasia, situazioni che potrei trovarmi ad affrontare nel futuro, in modo da prepararmici e portare così avanti il processo evolutivo. Quando stavo per partire per l’università, prospettiva terrificante per una figlia di genitori non laureati, divoravo libri su altri giovani nelle mie stesse circostanze. Nel periodo delle prime storie d’amore ho fatto il pieno di narrativa rosa, e mi piaceva leggere di genitori che interagivano coi figli mentre facevo crescere i miei. In ognuna di queste fasi della vita, ho trovato nella letteratura dei modelli che mi aiutavano a capire meglio cosa stavo facendo.

Mentre programmavo questo viaggio, però, sono rimasta perplessa. Ho scoperto che le storie di donne on the road – che vivono la nostra terra nella stessa maniera gioiosa, aperta e libera di quegli autori maschi – sono cosa rara.

Ogni volta che accennavo al mio imminente viaggio, la gente chiamava subito in causa Thelma & Louise, il più famoso film on the road al femminile. Anche se tutte e due le protagoniste toccano con mano la potenza della strada aperta, l’onestà della vera amicizia, e durante il tragitto scoprono la loro forza interiore e la loro vera identità – il senso di mettersi in viaggio è proprio questo – tali scoperte costano care. E il prezzo che pagano Thelma e Louise ricorda alle spettatrici che è meglio stare attente se partiamo da sole.

Il film ha appena compiuto venticinque anni, e il fatto che resti in pratica l’unico esempio di narrazione on the road basata su figure femminili a essere entrato nell’immaginario collettivo nell’ultimo quarto di secolo indica che le donne o non hanno interesse ad affrontare questo tipo di esperienza o, più significativamente, che non si sentono al sicuro nel farlo. È fuori di dubbio che le donne, nella vita di tutti i giorni, incontrino più difficoltà in questo senso, dato che non godiamo della stessa libertà degli uomini se abbiamo dei figli e altre responsabilità domestiche. Ma le poche storie di avventure femminili sulla strada che riescono a penetrare nella cultura mainstream sono più spesso un monito contro la spericolatezza che una celebrazione della vita e della crescita personale.

E quindi la domanda è d’obbligo: come mai i viaggi on the road, quando in letteratura a intraprenderli sono gli uomini, sembrano essere un’occasione di espandere la propria vita e i suoi orizzonti, di esplorare il mondo e trovarvi un posto, e quando invece a intraprenderli sono le donne si configurano perlopiù come fughe da situazioni pericolose, e quasi mai come desiderio di pura avventura?

Qualche eccezione l’ho trovata, come ad esempio Il veicolo perfetto di Melissa Holbrook Pierson, un reportage narrativo che mi ha convinta che potevo realizzare il mio progetto. Ma rimango comunque sconcertata dalla scarsità generale di storie di donne forti che affrontano la strada, donne la cui vita viene arricchita da questa esperienza. Sono sicura che le donne che si mettono in viaggio siano molte di più di quante ne rappresenti la letteratura.

Io so bene perché sono partita. Vedevo incombere la mezza età e mi sentivo ingabbiata dalle scelte che mi trovavo davanti. La mia vita ristagnava, ero sul punto di divorziare, i figli se ne stavano andando di casa, e avevo bisogno di darmi una scrollata per vedere che avevo molte più alternative di quante ne immaginavo inizialmente. Passare ore in sella a una moto, per giorni e giorni di fila, è disorientante quanto basta ad aprire nuove prospettive. Era su questo che contavo.

Le migliori storie di viaggio fanno intravedere ai personaggi una vita diversa da quella che gli è familiare, e questo nuovo, più ampio punto di vista su ciò che possono aspettarsi li trasforma. Alla fine sono pronti ad affrontare la propria vita con più lucidità e convinzione, anche se ciò significa abbandonare tutto ciò che hanno conosciuto.

Per dirla con T.S. Eliot, «…la fine di tutto il nostro esplorare sarà giungere là onde partimmo e conoscere il luogo per la prima volta».

La scrittrice ed ex autostoppista Vanessa Veselka, in un articolo uscito su American Reader, sostiene che «quello di cui si va veramente in cerca è la libertà di azione, e la capacità di superare i propri limiti nell’inseguire qualcosa di più grande. È un desiderio che si estende oltre ciò che già sappiamo di noi. È una prova di coraggio, un destino». Ecco cos’è davvero un viaggio on the road.

Non so perché abbiamo un pregiudizio culturale contro la rappresentazione delle donne che affrontano questa esperienza senza correre pericoli e traendone invece forza. So questo, però: che sedici lunghi giorni in sella alla mia moto mi hanno insegnato che sono più tosta e ho una capacità di recupero molto migliore di quanto avessi mai potuto immaginare. Quel viaggio ha dilatato la mia percezione di me stessa, di questo paese e del mio posto del mondo. In modo molto concreto e a volte brutale, il fatto di essere giorno dopo giorno alla mercé degli elementi, di affrontare lunghi e faticosi chilometri lungo le strade della mia nazione mi ha fatta a pezzi, e poi mi ha ricostruita.

Eppure, al ritorno da quel viaggio rigenerante, una tipa che conosco mi ha chiesto, con tutta la serietà del caso, se durante la nostra avventura io ed Emily eravamo state vittime di una gang bang: l’unico esito che le sembrava prevedibile.

Come cultura, è ora di riconoscere che l’esperienza on the road appartiene anche alle donne e che le storie in cui le donne si mettono in strada per «dare un’occhiata in giro» potrebbero anche migliorarci la vita, invece che togliercela o danneggiarcela a priori. Potremmo cominciare dando risalto ai libri che stanno già facendo da apripista in questo senso, viaggiando su quella strada aperta che affascina tanti di noi, sia maschi che femmine. Ecco otto libri che parlano di donne on the road.

 

Full Tilt: Ireland to India with a Bicycle di Dervla Murphy

Dervla Murphy si potrebbe definire la regina delle storie femminili on the road, ma se non siete un vero viaggiatore/amante dell’avventura, è probabile che non l’abbiate mai sentita nominare. Il suo primo libro, Full Tilt: Ireland to India with a Bicycle, è stato pubblicato nel 1965. Ne sono seguiti più di venti, in cui racconta, fra gli altri, viaggi in Ruanda, in Etiopia, a Gaza, in Nepal e a Cuba.

 

MoonPies and Movie Stars di Amy Wallen

Il romanzo d’esordio di Amy Wallen, MoonPies and Movie Stars, segue la protagonista Ruby dalle pianure polverose del Texas al rutilante set del telequiz The Price Is Right, viaggio che Ruby intraprende quando vede in uno spot televisivo la figlia scappata di casa: mette su un camper due amici, due nipotini indisciplinati e una quantità colossale di merendine MoonPies, e parte alla volta di Hollywood per recuperarla.

 

L’albero dei fagioli di Barbara Kingsolver

Il primo romanzo di Barbara Kingsolver ha come protagonista Taylor, una ragazza originaria del Kentucky rurale che vuole soltanto scappare dalle sue radici ed evitare di rimanere incinta. Durante il viaggio eredita una bambina pellerossa di tre anni chiamata Turtle. Insieme, la piccola Turtle e Taylor, che è mezzosangue Cherokee, cercano una nuova vita a ovest, spostandosi dall’Oklahoma fino a Tucson, in Arizona.

 

Into the Beautiful North di Luis Alberto Urrea

In Into the Beautiful North, di Luis Alberto Urrea, la diciannovenne Nayeli lavora in un negozio di tacos nel suo paesino messicano. Sogna il padre, che è partito per cercare fortuna negli Stati Uniti, e decide di mettersi in viaggio anche lei verso nord; imbarcandosi in questa impresa troverà sé stessa, sia da un lato che dall’altro del confine.

 

Dovunque ma non qui di Mona Simpson

Nel primo romanzo di Mona Simpson, Dovunque ma non qui, Adele fa i bagagli, infila la figlia dodicenne Ann in una Lincoln Continental seminuova che possono a malapena permettersi e dà il via a un viaggio madre-figlia dal Wisconsin alla lussuosa Bel-Air per lanciare Ann nella carriera televisiva.

 

Nine Months di Paula Bomer

In Nine Months, un romanzo di Paula Bomer, Sonia è una giovane madre di Brooklyn che, scossa da un’inaspettata terza gravidanza, abbandona marito e figli e comincia un lungo viaggio da un capo all’altro del paese in cerca di un’identità separata dalla propria famiglia.

 

Wild di Cheryl Strayed

Wild di Cheryl Strayed, elogiato da Oprah Winfrey e poi diventato un film con Reese Witherspoon, racconta il trekking spossante e vivificante compiuto in solitaria dall’autrice lungo il Pacific Crest Trail nel tentativo di ritrovare sé stessa.

 

Il veicolo perfetto di Melissa Holbrook Pierson

Il veicolo perfetto di Melissa Holbrook Pierson ruota attorno all’amore dell’autrice per le motociclette, e racconta splendidi e a volte massacranti viaggi in moto per il New England, la sua regione d’origine, e fino a New Orleans e ritorno, e in seguito in Belgio, Lussemburgo, Francia, Germania, Svizzera e Italia.

 

© Bernadette Murphy, 2016. Tutti i diritti riservati.

Bernadette Murphy è autrice di Harley and Me: Embracing Risk on the Road to a More Authentic Life (Counterpoint Press, 2016). In precedenza ha pubblicato tre reportage narrativi tra cui il bestseller Zen and the Art of Knitting. È professore associato presso il Dipartimento di scrittura creativa dell’Antioch University di Los Angeles, ed è stata critico letterario per il Los Angeles Times. Il suo sito web è Bernadette-Murphy.com.

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