Come imbalsamare animaletti mutanti di César Aira è in libreria: si tratta, insieme a Il mago, di uno dei romanzi più significativi dell’autore, come sottolinea in questo articolo Juan Antonio Masoliver Ródenas. Il pezzo è stato pubblicato su Letras Libres, che ringraziamo.
di Juan Antonio Masoliver Ródenas
traduzione di Maria Cristina Cavassa
César Aira, insieme a Fogwill e soprattutto a Ricardo Piglia, è uno dei membri più rappresentativi della narrativa latinoamericana posteriore al boom degli anni Sessanta. È opportuno chiarire che la letteratura argentina, consacrata da scrittori come Borges, Cortázar, Bioy Casares e più tardi Manuel Puig (dal novero escludo Sábato, maestro senza discepoli), si è nutrita della sua stessa tradizione, tenendosi lontana dagli artifici verbali del massimo e più contagioso fra tutti gli artefici, Gabriel García Márquez, e dall’onnipresenza del messicano Carlos Fuentes.
All’interno della tradizione argentina, o per lo meno di quella della capitale, César Aira possiede la pregevole qualità di uno stile che ha smesso di essere tale per diventare naturalezza espressiva, di un’inventiva che sebbene sconcertante ci è, tuttavia, familiare, e di un talento riflessivo che si integra all’invenzione narrativa a sua volta integrata alla quotidianità da cui, senza sorpresa, nasce l’assurdo, che tanti critici hanno scambiato per surrealismo.
Non so se questo tipo di letteratura abbia una maggiore esigenza di improvvisazione o piuttosto di un’apparenza di improvvisazione. E comunque, di una disciplina, di una logica del caso che in quanto espresso non può essere confuso con la digressione. La digressione è confusa. I testi di Aira sono di una meravigliosa semplicità che, nonostante l’accumularsi delle sorprese, fluiscono con naturalezza e facilità. «Come se improvvisare non fosse già difficile di per sé!», ci viene detto in Come imbalsamare animaletti mutanti. Aira aggiunge una nuova possibilità a questa estetica dell’improvvisazione: il discorso indiretto libero, ovvero la prospettiva della coscienza del personaggio trattato in terza persona, la trans-soggettività, grazie alla quale la realtà incide sui pensieri dei personaggi e quel pensiero si oggettiva nella voce narrante. Grazie a questo si ottiene un’impressione di verosimiglianza, di naturalezza.
La pubblicazione simultanea (in Argentina, ndr) di Il mago e di Come imbalsamare animaletti mutanti ci permette di verificare quali siano i rischi e le virtù di questa teoria basata sull’ordine del caso. I due romanzi rappresentano le due facce della medaglia della stessa problematica. Entrambi i protagonisti si sentono dei falliti. Il mago perché è incapace di «falsificare» la realtà: non ha trucchi in grado di trasformarla, bensì poteri soprannaturali. In altre parole, non è un vero mago. L’altro romanzo ha invece come protagonista Varamo, un povero impiegato la cui vita viene alterata quando riceve due banconote false: anche lui affronta, quindi, la natura della falsificazione e la relazione fra invenzione e realtà, fra pragmatismo e delirio, fra ordine e alterazione, forse soltanto apparente, dell’ordine. Entrambi decidono che tutte le rivelazioni che si succedono in quelle giornate possono essere espresse solo nella scrittura.
Nel Mago si parte da un assunto inaccettabile: se è davvero dotato di poteri sovrannaturali, perché non può alterare l’ordine e finanche la natura degli eventi? Questa inverosimiglianza pesa su tutto il libro. L’improvvisazione si confonde con il compiacimento, e paradossalmente, poiché la personalità del mago è del tutto ovvia, le riflessioni sulla natura della realtà non appaiono integrate alla sostanza narrativa. Riassumendo, i meccanismi del romanzo sono troppo visibili.
Naturalmente stiamo criticando i cigolii di un romanzo che è opera di uno scrittore di talento. Non stiamo, pertanto, mettendo in dubbio il talento, ma forse l’eccesso di fiducia nelle sue doti di narratore. Che sono qui visibili e apprezzabili, ma che restano evidentemente sminuite se paragonate a Come imbalsamare animaletti mutanti, un vero gioiello letterario che, come La liebre, rappresenta un inevitabile punto di riferimento quando si parla della scrittura di César Aira e di un’intera generazione. Se i troppi poteri magici (e di conseguenza la sua incapacità di realizzare la magia umana, quella in grado di trasformare l’apparenza della realtà) rendono il mago un fallito, la mediocrità della vita di Varamo lo rende un poveraccio che, diversamente da Pedro María Gregorini, accetta con naturalezza questa vita mediocre. Il mago Gregorini visita Panama, Varamo è di Panama. Gregorini scrive perché ha deciso, in modo cinico e banale, che se come mago cercava la gloria, ora con la scrittura quello che vuole è «vivere bene, meglio di prima».
Varamo scrive per necessità. E così questo personaggio kafkiano si trasforma in un’invenzione di Borges o di Bolaño, autore dell’osannato capolavoro della moderna poesia centro americana, Il Canto del Bambino Vergine.
Siamo di fronte a un libro veramente perfetto nel suo sviluppo e nella coerenza delle diverse e originalissime situazioni che diventano infine metafore della vita e della scrittura. L’immagine della Vergine con il Bambino è intimamente legata a quella di Varamo con sua madre. Le forme minacciose della falsificazione, lo sfondamento del confine tra sfera privata e sfera pubblica, il dolce rosso beccato dagli uccelli (un esempio del particolare che fiorisce nell’universale), l’imbalsamazione dei pesci, il fetore e l’intossicazione che gli provocano allucinazioni, la gara di regolarità e l’attentato anarchico, la visita a casa delle Góngoras, con la presenza della domestica Carmen Luna e del suo amante Cigarro, delinquente o rivoluzionario, che «Era un nero, e gli brillavano i denti sulla faccia, segno che stava sorridendo…».
Tipiche della «irresponsabilità della sua razza», le Voci, che sono il suo quotidiano attacco di follia, saranno il modello sul quale creare il concatenamento del poema e in cui vedere «che ogni scena era concatenata con la precedente, continuava ancora a vedere il domino e le stoviglie, che balenavano fra le costellazioni»: scene o situazioni che sono certamente espedienti narrativi, ma che al tempo stesso esprimono la sostanza di Il Canto del Bambino Vergine, che non potremo leggere ma che in realtà abbiamo già letto. Ed è precisamente qui che si trova la magia, adesso sì, la vera magia, di Come imbalsamare animaletti mutanti. Ed è così che ci immergiamo felicemente nel work in progress di un’opera letteraria mai scritta.
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