Illustrazione di Luis Scafatti
La città assente di Ricardo Piglia è in libreria. Pubblichiamo oggi una guida alla lettura curata dal traduttore del romanzo, Enrico Leon.
di Enrico Leon
La ciudad ausente è il secondo romanzo pubblicato da Ricardo Piglia, uscito in Argentina nel 1992, e solo oggi tradotto in italiano. Si divide in quattro capitoli ed è ambientato in un’apocalittica e quasi irriconoscibile Buenos Aires controllata dalla dittatura agli inizi del XXI secolo. Un giornalista, Junior, cerca di raccogliere indizi e informazioni riguardanti una macchina capace di creare storie, inventata da Macedonio Fernández (scrittore argentino che visse tra la fine del XIX secolo e l’inizio del secolo XX) con l’aiuto di un ingegnere europeo.
La macchina è, in un certo senso, il vero protagonista del testo: metafora della letteratura, se ne risalta il carattere rivoluzionario e cospirativo, capace di contrastare le menzogne della dittatura attraverso la creazione di più storie atte a destabilizzare il discorso egemone e a risvegliare le menti dei suoi recettori. Queste storie, racconti dentro al racconto, tagliano il filo narrativo, vogliono promuovere punti di vista differenti da quello dello Stato e hanno quindi l’obiettivo principale di contrastare il regime. Circolano per la città in forma scritta o registrata; Junior le trova grazie ad alcuni “trafficanti” nel museo dove si custodisce la macchina. In tutto le storie raccontate nel corso del romanzo sono sette e permettono la ricostruzione del funzionamento della macchina e della sua vita, assieme a quella di tutti i personaggi che le ruotano attorno. Elementi fittizi e reali vengono continuamente mischiati e non mancano contraddizioni ed errori dai quali nascono una confusione e un’incertezza costante sulla reale verità dei fatti. La macchina rivela così la concezione della letteratura di Piglia, che ha la finalità di aumentare le prospettive del lettore e non di fornirgli una visione univoca e determinata del mondo.
I punti in comune di tutte le storie sono la loro tragicità e la ricerca di un’identità personale a partire da una condizione di assenza. Fanno inoltre riflettere sull’identità nazionale argentina riferendosi a importanti periodi storici, primo tra tutti quello della dittatura militare e della tragedia dei desaparecidos, e presentando il deterioramento di alcuni modelli identitari, come quello del gaucho, per lungo tempo un emblema nazionale in questo paese. In ogni caso, l’obiettivo più importante che queste storie vogliono raggiungere è quello di lottare contro il potere: la macchina di Macedonio, infatti, è un mezzo di resistenza fondamentale per creare, nei destinatari dei suoi testi, un senso critico attraverso il quale è possibile difendersi da ogni tipo di discorso politico e culturale falso e ipocrita.
Non è semplice definire il genere della Città assente, che può essere classificato come un romanzo politico, noir, giallo o fantascientifico. Tra tutte queste classificazioni, comunque, forse quella più calzante è quella di giallo: tipica del genere è infatti la figura dell’uomo alla ricerca della verità occulta, ruolo evidentemente impersonato nel romanzo dal protagonista Junior, il giornalista-detective, che cerca di decifrare l’enigma della costruzione, funzionamento ed effetti della macchina sul mondo. È pertanto enfatizzata la relazione tra la narrazione e la possibilità di accedere alla verità, che nasconde quindi una preoccupazione filosofica, riguardante in ultima istanza il problema della conoscenza. È rilevante sottolineare che, in fondo, per Piglia tutti i romanzi sono polizieschi: in effetti, secondo la teoria che esprime in questo stesso libro, «qualunque racconto è un giallo, […] la storia personale è sempre la storia di un crimine». Da ciò deriva la grande importanza che si attribuisce ne La città assente, come in altri romanzi di Piglia, alle indagini dei personaggi, alle tracce scoperte e alla ricerca della verità, ultima meta dei lettori.
Quest’opera è anche un pastiche di vari stili differenti: sono presenti più registri, il ritmo cambia frequentemente e in alcuni casi il linguaggio è chiaro e ben organizzato, mentre in altri è oscuro e disordinato. I procedimenti retorici più utilizzati sono l’allegoria e soprattutto l’intertestualità: dappertutto troviamo allusioni e riferimenti a scrittori, romanzi e personaggi letterari fittizi o della cultura e della storia internazionale. L’uso di queste tecniche, la mescolanza di generi e stili differenti, i numerosi cambi di livello narrativo, la trama confusa e il caos comunicativo che trapela in più occasioni ci permettono di associare questo romanzo al pensiero postmoderno. Tuttavia, il paragone è valido solo per alcuni aspetti: per esempio, per Piglia esiste la possibilità di una trasformazione sociale proprio grazie alla letteratura, che assume una funzione allo stesso tempo cospirativa e umanistica, mentre le teorie postmoderne non ammettono tale eventualità. Le nostalgie ideologiche dello scrittore argentino, quindi, hanno qualcosa di anacronistico e sembrano avvicinarsi maggiormente alle avanguardie storiche.
In ogni caso, l’influenza dell’estetica postmoderna è intensa, e si può avvertire dalla stessa costruzione narrativa dell’ambientazione del romanzo, Buenos Aires, che è il prototipo della città moderna postindustriale invasa dal libero mercato. Si tratta di una città astratta e artificale, con una combinazione di frammenti che rimandano alla disintegrazione postmoderna del soggetto e dell’ambiente circostante; in una parola, è presentata come assente. L’assenza è, quindi, concreta e tangibile nell’opera, come sostiene Macedonio Fernández nell’ultimo capitolo: «è una realtà materiale, come un pozzo nell’erba». In tutto il romanzo, la frammentazione e l’indeterminatezza dello spazio sono evidenti e palpabili e anche il tempo è inconsistente. Tutti i riferimenti alla cronologia sono convenzionali e, di conseguenza, la narrazione perde verosimiglianza, l’importanza della trama si riduce e il peso del passare del tempo diminuisce, permettendoci di trovare un’altra analogia con il postmoderno e con lo schiacciamento che in esso si determina del futuro e del passato sul presente.
La perdita di concretezza concerne, oltre che il tempo e lo spazio, anche la lingua, che, come abbiamo anticipato, nella Città assente è spesso oscura, instabile, caotica e a volte autoreferenziale, come il mondo stesso. Una delle storie della macchina, «La bambina», si può considerare come la mise en abyme di questa perdita: tuttavia, questo racconto rivela che è possibile riscattarla grazie al potere comunicativo della letteratura. Infatti, per Piglia narrare e vivere hanno lo stesso statuto ontologico, concezione esposta attraverso le parole dell’ingegnere Russo nell’ultimo capitolo: «un racconto non è altro che la riproduzione dell’ordine del mondo su scala puramente verbale». È per questo che il linguaggio non è solo la chiave per interpretare la realtà, ma anche per crearla, e assume un ruolo fondamentale nel mondo.
Il linguaggio si relaziona anche con la Storia, perché permette di leggerla in vari modi. Nel romanzo la Storia viene simboleggiata dal museo dove si custodisce la macchina, dove si possono trovare oggetti, immagini e rappresentazioni di scene che si riferiscono alla tradizione argentina. Secondo Piglia, la Storia dev’essere risemantizzata e reinterpretata e non si può accettare la versione che di essa diffonde lo Stato: il ruolo della macchina è proprio quello di crearne altre mediante i suoi racconti. Piglia invoca quindi la necessità di una pluralità di versioni della Storia, inevitabilmente clandestine, a testimoniare l’impossibilità di leggere la realtà e l’esperienza in un unico modo.
La funzione della letteratura, e cioè quella di lottare incessantemente contro il potere, è rappresentata in quest’opera attraverso la tradizione letteraria argentina: Macedonio Fernández è lo scrittore scelto per difendere questo tipo di visione, mentre quella opposta, e cioè la letteratura come appoggio e giustificazione del potere, è simboleggiata da Leopoldo Lugones, poeta nazionalista contemporaneo di Macedonio. Nella Città assente ci sono tantissimi altri riferimenti letterari: assiduamente si citano scrittori, personaggi e romanzi e nel museo si può osservare il repertorio storico, iconografico e simbolico della letteratura nazionale. Piglia recupera la tradizione letteraria, la rilegge e, riscattando vari aspetti di alcune opere, propone una rivalutazione critica dei suoi autori. Possiamo perfino arrivare a sostenere che il romanzo stesso sia una macchina per rileggere la tradizione letteraria: una reazione alle letture convenzionali della tradizione che passano da un critico all’altro in maniera stereotipata per riaffermare la necessità permanente della rielaborazione critica dei testi in base ai nuovi contesti sociali, culturali e politici. Piglia, in definitiva, nella Città assente si riappropria in modo inconsueto della tradizione letteraria a testimoniare che la reinterpretazione del passato è l’unica possibilità per comprendere il presente.
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