Pubblichiamo un articolo di Rossana Miranda apparso sul Riformista dopo la scomparsa di Ernesto Sábato. Ringraziamo l’autrice e la testata.
di Rossana Miranda
Fuori dal tunnel. Muore a un soffio dai 100 anni il grande autore argentino. Amico/avversario di Borges, verso cui nutriva un complesso di inferiorità. A breve un inedito in Italia.
Muore a 55 giorni dai 100 anni uno dei più grandi scrittori dell’America Latina. La notizia viene dall’Argentina, ma la sua famiglia veniva dall’Italia. Si chiamava Ernesto, in onore del piccolo fratellino morto, e di un altro Ernesto, il Che (Guevara), fu a lungo politicamente innamorato.
Nato nel 1911 a Buenos Aires, Ernesto Sábato (l’accendo è sulla prima a, ma lui non voleva fosse scritta) se ne è andato di sabato, dopo una bronchite che alla sua età è risultata mortale. Era nella sua casa di Santos Lugares, fuori città, ma sempre nella provincia di Buenos Aires. Al suo fianco c’era la moglie Elvira González Fraga, che lo ha accompagnato fino all’ultimo sospiro. Oggi sarebbe stato protagonista di un evento che lo doveva celebrare, assieme a Adolfo Bioy Casares, nella sala Jorge Luis Borges della Feria del Libro di Buenos Aires.
Già nel 1983 Ernesto Sábato aveva immaginato pubblicamente il suo epitaffio: «Sono un semplice scrittore che ha vissuto tormentato per i problemi del suo tempo, in particolare per quelli della sua nazione. Non ho un altro titolo». Sábato ha vissuto in modo autentico, seguendo le sue passioni anche quando era contro corrente. Aveva provato a percorrere la strada della scienza, senza trovare soddisfazioni. Dopo essersi laureato in Fisica (una specie di Paolo Giordano gaucho, con le differenze del caso), ha lavorato nel laboratorio Curie del dipartimento sulle radiazioni atomiche e ha insegnato all’Università de La Plata. L’esperienza nella ricerca scientifica lo aveva deluso, così mollò tutto per dedicarsi a tempo pieno alla letteratura e alla pittura.
«Sa una cosa Sábato? Oggi ho pensato che potevamo parlare di come scrive lei un romanzo e come scrivo un racconto, che ne dice?» gli diceva Jorge Luis Borges. Nonostante le differenze politiche, Sábato decise di confrontarsi con il collega in una serie di conversazioni attorno ad un caffè sulla letteratura, i processi creativi, la musica, la matematica, l’amore e l’amicizia, tra dicembre del 1974 e marzo del 1975. L’unico tema tabù era il peronismo e l’antiperonismo. Le riflessioni sono state pubblicate nel libro Dialoghi del giornalista Orlando Barone (rieditato nel 2007 dalla casa editrice Emecé). Sábato era un ragazzo di provincia, di classe media, migrante, dal carattere duro e proveniente dal mondo della scienza, mentre Borges era conservatore, dell’aristocrazia e liberale. I due erano argentini ed entrambi erano ciechi (forse anche politicamente).
Ma Sábato, rispetto a Borges, aveva cambiato visione de mondo, quando a Parigi ha conosciuto la vera faccia del comunismo. Si dice che Sábato si sentisse in difetto, quasi soggezione per il suo collega borghese. È vero che la sua opera non aveva l’originalità e la profondità dell’autore de L’Aleph ma non ci sono punti di confronto. Mentre Borges dominava il terreno metafisico della narrativa, Sábato giocava nel campo del paradosso e dell’antietica. A quanto pare dopo quel libro i due non si sono più parlati. Il tempo conferma però che entrambi occupano un posto privilegiato nella storia della letteratura latinoamericana.
Non c’è scuola sudamericana dove non vengano letti, obbligatoriamente, le pagine del romanzo Il tunnel, pubblicato nel 1948. È stata questa opera a consacrarlo come scrittore. È una storia esistenzialista dove si sente l’influenza di Albert Camus e la ragione ci illumina sulla insignificanza della vita. E l’amore è condannato al fallimento.
Prima del successo de Il tunnel, Sábato pubblicò i suoi primi testi nella rivista Sur di Victoria Ocampo e nel quotidiano argentino La Nación. Il suo primo libro era una raccolta di articoli sull’aspetto disumanizzante della scienza ed è arrivato negli scaffali nel 1945; il titolo era Uno e l’Universo.
Nel libro Su eroi e tombe, uscito nel 1961, il pessimismo è ancora più tagliante e prende una forma onirica e metaforica. Abaddón El Exterminador (1974) è l’ultimo testo che chiude la trilogia. È una storia violenta, un testo molto autobiografico e meno saggistico, il romanzo più ambizioso della sua opera dove si sentono le tracce di Dostoevskij e Joyce. Invece in Mai più (1985) lo scrittore riflette sull’Argentina che arrivò nel potere nel 1976. Una raccolta di testimonianze di torture e scomparse della dittatura militare che si contrapponeva con la mancanza di posizione esplicita verso il regime. Nel 1984 vinse il Premio Cervantes con Il tunnel e nel 2007 e 2009 era stato candidato al Premio Nobel di Letteratura. Un riconoscimento mancato come Borges.
Sono tradotti in italiano Il tunnel (Einaudi, 2001 e Feltrinelli, 2010), Sopra eroi e tombe (Einaudi, 2009), Lo scrittore e i suoi fantasmi (Meltemi, 2000) e Prima della fine. Racconto di un secolo (Einaudi, 1999). In autunno arriverà per Minimum fax, nel progetto Sur, la traduzione di Abaddón, lo sterminatore, che nel 1976 vinse il premio Miglior romanzo straniero a Parigi e in Italia il premio Medici.
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