Il 14 luglio del 2003 ci lasciava Roberto Bolaño. Pubblichiamo oggi una conversazione immaginaria tra Bolaño e Jorge Luis Borges, ideata da Barry Glifford e pubblicata sulla rivista Nexos, che ringraziamo.
«Parole dopo (incontro in un atto tra Roberto Bolaño e Jorge Luis Borges)»
di Barry Glifford
traduzione di Cristina Verrienti
Personaggi:
Jose Luis Borges (1899-1986), in vita scrittore argentino, adesso un fantasma.
Roberto Bolaño, scrittore cileno che vive in Spagna, quarantanove anni.
Scena:
Bolaño cammina sulla spiaggia nei pressi della sua residenza a Blanes, Spagna, 2001. Sta fumando una sigaretta quando sente una voce dietro di lui e si ferma.
Borges – Sono giunto alla conclusione che ti stai spacciando per me sotto il profilo letterario.
Bolaño si gira e vede il fantasma di Jorge Luis Borges.
Bolaño – Non è possibile. Tu sei morto.
Borges – Proprio come lo sarai tu molto presto, a detta dei medici. Perciò ho scelto questo momento per affrontarti, adesso hai la possibilità di ammetterlo.
Bolaño – Non avresti dovuto. Non potevi aspettare almeno che entrambi fossimo fantasmi?
Borges – Non sai quanto sia difficile rintracciare qualcuno nell’oscurità. Ho cercato Melville per anni senza riuscire a trovarlo. Ma spiegami questa tua ossessione, si tratta di un omaggio o ti stai nutrendo del mio corpus?
Bolaño – Acuto da parte tua fare la distinzione tra corpus e corpo. Il corpo della tua opera opposto al tuo corpo.
Borges – Difficile. Non sono mai stato tanto svogliato come quando conoscevo le parole adeguate. Erano i missili del mio arsenale.
Bolaño – Immagino che ti riferisca al mio racconto «Il gaucho insostenibile».Se non fosse stato per «Il sud», il tuo preferito tra tutti i racconti che hai scritto, non esisterebbe la moderna letteratura latinoamericana.
Borges – Concordo senza alcuna modestia. (Annuisce debolmente.)
Bolaño – Ti rendo omaggio ogni volta che prendo in mano la penna. Mi piace l’idea che mi osservi da sopra la spalla. Di fatto, non mi dispiacerebbe che mi rimproverassi quando vedi che prendo una strada sbagliata.
Borges – Sono cieco, Bolaño. Non posso dire ma cosa stai scrivendo? Solo a cose fatte, quando un gentile sconosciuto legge per me un libro o un giornale, sono in grado di esprimere il mio giudizio. Il mio metodo contagia tanto i tuoi saggi come i racconti.
Bolaño – Signor Borges, le mie intenzioni sono onorevoli, glielo assicuro. Certo è che a volte mi è capitato di scrivere male. Altre meglio. Talvolta sono trascurato, ripetitivo, indulgente, ignorante e addirittura frivolo. Dopo tutto devo guadagnarmi da vivere. Ho una moglie e due figli da mantenere.
Borges – Mi è piaciuto quello che hai scritto di Turgenev. L’ho incontrato poco dopo la mia morte. Mi disse di nutrire un affetto particolare per il mio racconto «Funes o della memoria»e mi invitò a partecipare alla sessione notturna di Pinnacolo con altri scrittori russi e francesi. Rifiutai l’invito, ovviamente, ma immaginai una storia d’amore non corrisposto, che finiva male, tra la regina di picche e il fante di quadri. Il gioco del Pinnacolo è interessante già per il fatto che sono previste solo carte più alte dell’otto, ossia il segno dell’infinito in verticale.
Bolaño – E tu ti sei complimentato con lui?
Borges – Gli ho detto che pensavo avesse sbagliato con Rudin.
Bolaño – Va bene, però quando lo scrisse era giovane, a quel tempo non sapeva ancora niente della vita. Ho sempre creduto che avrebbe potuto farne un bel film. Si potrebbe ancora, sempre che Hollywood non trovi un testimone che smentisca la morte di Rudin sulle barricate di Parigi.
Borges – Vista la mia condizione, non dovrò usarlo per il cinema.
Bolaño – Ha fatto bene Hemingway a scegliere il libro Memorie di un cacciatore come uno dei suoi testi fondamentali. E anche Padri e figli. Infatti ha usato questo titolo di Turgenev per uno dei suoi racconti.
Borges – Di Hemingway ho scordato tutto, tranne il racconto «L’Invincibile», quello su Manuel García, il disgraziato e anziano matador dal destino fatale. Quando alla fine la spada incrociò il suo cammino, Manuel García infilò quattro dita e il pollice dentro al toro. Era stato incornato gravemente, voleva mischiare il suo sangue con quello dell’avversario. Hemingway aveva soli vent’anni quando scrisse questo racconto, eppure era già molto saggio.
Bolaño – Di questi tempi va di moda scagliarsi contro Hemingway. Io lo ammiro per aver reso merito alle sue influenze più significative. Camus ha preso il suo stile da Hemingway e da James M. Cain.
Borges – Sei sfrontato, Bolaño, ma serio, piuttosto divertente e un pessimo critico. Vieni a cercarmi quando sarai morto. Avremo molto tempo per discutere.
Bolaño – E come faccio a trovarti? Ormai sei morto da anni e ancora non sei riuscito a incontrare Melville.
Borges – Magari succederà. C’è un gran via vai per questi corridoi. Forse lui non vuole parlare. Ho sentito dire che è ancora amareggiato per non essere riuscito a pubblicare in vita il suo capolavoro Billy Bud. Io e te siamo destinati a scontrarci prima o poi. Quando accadrà ti dirò cosa manca alla tua opera.
Bolaño – Cosa manca? Perché non me lo dici adesso che posso ancora scrivere.
Borges – Riguarda «Il sud». È lì la chiave.
Jorge Luis Borges svanisce. Bolaño guarda in ogni direzione, ma il fantasma se n’è andato.
Bolaño – Diamine, odio i misteri! Questo potrebbe essere un racconto scritto da me, un racconto senza soluzione. Solo Borges avrebbe saputo scriverlo meglio.
Condividi