In attesa dell’uscita di Storia del denaro di Alan Pauls, volume che, dopo Storia del pianto e Storia dei capelli, chiude la trilogia sugli anni Settanta in Argentina, ne pubblichiamo oggi una bella recensione di Patricio Pron.
«Alan Pauls e il suo splendido Storia del denaro»
di Patricio Pron
traduzione di Nadia Corti
Cosa succede in un paese quando il denaro non ha più alcun senso, ma è l’unica cosa che conta? La risposta ci viene offerta da Alan Pauls in uno splendido romanzo: Storia del denaro.
Il denaro si può «contare», si può prestare o si può dovere; può scomparire, circolare, svanire, «andare in fumo»; con il denaro si può pagare e si può giocare; si può lavorare, si può ereditare, «fare»; con il denaro ci si può salvare, lo si può scambiare con un altro tipo di denaro, o «trasformare» in oggetti; o ancora, nel linguaggio popolare argentino, con il denaro si può «quedar pagando» (rimanere delusi) o «levantar un muerto» (pagare un debito). Storia del denaro, il nuovo romanzo dello scrittore argentino Alan Pauls (e l’ultimo di una trilogia a cui appartengono Storia del pianto e Storia dei capelli), si articola intorno a tutte queste possibilità, raccontando una storia che non procede in modo lineare, bensì seguendo gli impulsi, le associazioni e le brevi illuminazioni evocate dalla sua esistenza e dal suo uso.
Storia del denaro si apre con un bambino che assiste alla veglia funebre di un amico dei genitori, vede il suo primo morto, ascolta i mormorii di chi si chiede dove sia andata a finire e che cosa pensasse di fare il morto con la valigetta piena di denaro che stava portando in una fabbrica paralizzata: se serviva per corrompere i sindacalisti ribelli o per finanziare il loro sterminio.
La riflessione su quest’uso abituale del denaro nella prima metà degli anni Settanta in Argentina è seguita da un’altra riguardante le somme richieste dalle organizzazioni politiche dell’epoca per la liberazione degli imprenditori sequestrati. Partendo da questo punto, e lungo un percorso che include un padre che gioca d’azzardo, una madre che investe tutto il suo denaro nella costruzione di una casa sulla costa uruguayana (per la quale dilapida i suoi soldi e distrugge il suo matrimonio), la periodica e catastrofica alternanza di inflazione e stagnazione dell’economia argentina negli anni Ottanta e Novanta, le abituali oscillazioni della valuta nazionale e la sua convivenza con la tanto agognata valuta straniera, i dealing desk dell’epoca, due divorzi (della madre e del figlio), una separazione (del figlio), la morte del padre e vari colpi di fortuna, il lettore assiste a una rappresentazione tragicomica (ma sicuramente più tragica che comica) in cui tre persone (un padre, una madre, un figlio) entrano in relazione solo attraverso il denaro.
Nella loro relazione, e in quelle che i tre personaggi intraprendono con chi li circonda, il denaro (prestato, preteso, dissipato, accumulato) sostituisce il vincolo che solitamente caratterizza le relazioni familiari e serve come «moneta di scambio» di una connessione che si sviluppa nel tempo, ma che in realtà non cambia mai: il padre gioca, la madre pretende, il figlio provvede.
Nel corso di Storia del denaro, quest’ultimo funge da dispositivo che traduce (professione tardiva e un po’ disperata della madre), ovvero da oggetto tangibile (sempre tangibile: si pensi al padre, che rifiuta la possibilità che il denaro non sia sempre contante e sonante), che può essere trasformato in altri oggetti e in determinati servizi: un viaggio in taxi, la repressione illegale di uno sciopero, la vita di un imprenditore, il pagamento di un debito.
Questa è senza dubbio la natura del denaro, e non ci si dovrebbe meravigliare del fatto che il libro di Alan Pauls vi si riferisca in questi termini. Tuttavia, il pregio di Storia del denaro è quello di raccontare, nel quadro delle incertezze tipiche della moneta argentina, un paese e un’epoca durante la quale non ci fu alcun consenso sulla correlazione tra il denaro e gli oggetti che questo poteva acquistare: il narratore si domanda perché le vite degli imprenditori sequestrati dalle organizzazioni armate degli anni Settanta avessero prezzi diversi e come si calcolassero tali prezzi (ovvero, come queste vite venivano tradotte in termini di denaro), com’è possibile che il denaro si triplicasse con la conversione in un’altra valuta, quale linguaggio parlino e in che modo si possano tradurre quelle colonne di cifre che il padre lascia a suo figlio come unica eredità, e che a lui sembrano prive di senso. Alan Pauls conclude la sua trilogia con un libro digressivo e scritto in modo mirabile, che conferma la sua presenza tra i pochi scrittori argentini contemporanei davvero imprescindibili e racconta con maestria cosa succede a un paese e ai suoi abitanti quando il denaro non ha più senso, nessun senso, e, nonostante questo, è l’unica cosa che vale davvero la pena (rac)contare.
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