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Felici tutti i giorni, un estratto

Autori collezione SUR Laurie Colwin
Autore: Laurie Colwin
Data: 03/12/2024
Felici

Pubblichiamo oggi un estratto da Felici tutti i giorni di Laurie Colwin, un romanzo brillante in grado di raccontare una storia d’amore felice senza rinunciare alla profondità di sguardo e alla precisione del ritratto sociale e psicologico. Buona lettura!

di Laurie Colwin
traduzione di Chiara Baffa

Una domenica pomeriggio di gennaio, Vincent e Guido si ritrovarono a visitare una mostra di vasi greci al Fogg Museum. Fuori l’aria era pesante e umida. Dentro si moriva di caldo. Era una di quelle giornate che ti costringono a uscire senza darti niente in cambio. Irrequieti dentro casa e nervosi all’aria aperta, avevano scelto il Fogg pensando che la vista dei vasi greci potesse rilassarli. Fecero il giro del museo diverse volte. Guido si lanciò in una breve conferenza su forma e figura, Vincent discettò per un paio di minuti sulla planimetria delle città-stato greche. Niente di tutto questo servì a tranquillizzarli. Cercavano qualcosa da fare, ma non sapevano esattamente cosa e non avevano voglia di sforzarsi troppo. Secondo Vincent, nell’età adulta il desiderio infantile di prendere a calci copertoni e spaccare bottiglie contro il muro non svaniva del tutto, ma veniva relegato al subconscio, dove schizzando qua e là generava la particolare inquietudine che stava provando in quel momento. Una bella sudata per una sfida a pallamano o un paio di petardi ben piazzati avrebbero fatto un gran bene a entrambi, ma faceva troppo freddo per la prima opzione e loro erano troppo sofisticati per la seconda. Così dovettero tenersi il nervosismo.

Uscendo, Guido notò una ragazza su una panchina. Era snella, esile, e aveva i capelli più neri e lucenti che avesse mai visto. Erano tagliati come li portavano i bambini giapponesi, ma più lunghi. Quel viso gli si impresse nel cuore in modo indelebile.

Si fermò a osservarla, e quando finalmente lei si voltò nella sua direzione lo trapassò con lo sguardo. Guido diede di gomito a Vincent e si avvicinarono alla panchina su cui era seduta.

«La prospettiva è perfetta», disse Guido. «Osserva la delicatezza del tratto e l’intensità del colore».

«Molto pittorica», disse Vincent. «Che cos’è?»

«Devo controllare», disse Guido. «Mi sembra un’ispirata sintesi di varie scuole. Fai caso all’inclinazione del naso – un leggerissimo disallineamento che dona l’illusione di una perfetta limpidezza». Indicò il colletto della ragazza. «Osserva anche la finezza delle pieghe intorno al collo e il drappeggio sul resto della figura».

Durante questa declamazione, la ragazza rimase perfettamente immobile. Poi, con un gesto studiato, si accese una sigaretta.

«Osserva l’inarcarsi del braccio», continuò Guido. La ragazza aprì la sua bocca perfetta.

«Osserva la scempiaggine che viene scambiata per sagacia tra gli universitari attempati», disse lei. Poi si alzò e se ne andò.

Quando Guido ebbe occasione di rivederla, la ragazza stava salendo sul suo stesso autobus. Aveva cominciato a fare un freddo spietato e lei stava armeggiando per tirar fuori le monete dal borsellino, ma i guanti la intralciavano. Finì per sfilarsene uno con i denti. Guido restò a guardarla imbambolato. Indossava un cappello di pelliccia e due sciarpe. Mentre avanzava fra i sedili Guido si nascose dietro il libro e la fissò fino ad Harvard Square, che era, si scoprì, la loro comune destinazione. Si trovarono uno di fronte all’altra davanti all’edicola. Lei lo squadrò da capo a piedi e se ne andò.

Due settimane dopo, la ritrovò in circostanze più propizie. Gli apparve in una sala da tè in compagnia di Paula Pierce-Williams, una ragazza che Guido conosceva da sempre. Paula lo salutò con la mano e lui si avvicinò al loro tavolo.

«Guido, ti presento Holly Sturgis», disse Paula. «Holly, ti presento Guido Morris».

«Ci conosciamo», disse Holly Sturgis.

«Non ti vedo più in giro, Guido», disse Paula. «Stai ancora lavorando alla tesi?»

«Ho quasi finito», disse Guido.

«Non mi ricordo mai qual è l’argomento», disse Paula.

«Il diritto di proprietà nel medioevo in relazione all’amore cortese», disse Guido. Holly Sturgis rise sommessamente.

Di solito, Guido non si innamorava di ragazze incontrate sull’autobus o al museo. Aveva avuto due storie serie e un esiguo numero di avventure. A queste esperienze cercava di non pensare – ne era uscito confuso e ferito. Ripeteva a sé stesso di essere un uomo all’antica che viveva in tempi moderni, intrappolato dalla convinzione che ogni vera storia d’amore conducesse al matrimonio. Se ciò non succedeva, allora quelle relazioni dovevano essere in qualche modo fasulle, costruite sulla cattiva fede oppure in assenza di un sentimento genuino. Di conseguenza, una volta finite, diventavano brutte – indipendentemente dal trasporto con cui erano iniziate. Per quanto riguardava i rapporti occasionali, Guido li attribuiva al puro istinto. Una cosa che durava una giornata non si poteva chiamare relazione. Vincent aveva cercato di spiegargli che tutto questo faceva parte del percorso – il percorso verso l’età adulta – ma saperlo non lo consolava affatto. Nel caso delle due storie d’amore, le separazioni erano state amichevoli ma non comprensibili: entrambe le ragazze si erano sposate e gli spedivano biglietti d’auguri a Natale. Dove era finito, si chiedeva, tutto quel sentimento?

Adesso che si affacciava ai trent’anni era convinto che in amore si commettessero vari errori, finché a un certo punto non ci si sentiva assolutamente sicuri. Quella sicurezza trovò il suo oggetto in Holly Sturgis. Guido prendeva sul serio le questioni di cuore e altrettanto seriamente prendeva le questioni estetiche. Qualcosa in Holly Sturgis lo colpì nel profondo. Già al primo sguardo si percepivano la sua eleganza e precisione. Tutto in lei lo emozionava – la consapevolezza delle sue movenze, la grazia con cui camminava, il fatto che si togliesse i guanti con i denti. Guido credeva che il desiderio fosse una rapida sintesi di gusto estetico e intuizione. Voleva Holly Sturgis, punto e basta. Voleva avere accesso ai suoi lucidi, vividi capelli giapponesi. La voleva nuda tra le sue braccia nude. Immaginava che quelle spalle avessero il fresco profumo del gelsomino.

C0n la sicurezza istintiva di chi fantastica invece di analizzare, sapeva che Holly era probabilmente complicata e capricciosa, e che sarebbe stato difficile viverci insieme. Era evidente che fosse una persona precisa – erano precisi perfino i suoi capelli. Tutto questo lui lo sapeva perché di solito le sue fantasticherie si rivelavano accurate – Vincent diceva che era un pensatore visivo. E così si immaginò insieme a Holly sulle lenzuola bianche, fresche di stiro, del Ritz-Carlton Hotel. Non si preoccupò di figurarsi come ci fossero arrivati o quali avvenimenti li avessero portati in quella situazione. Sul comodino c’erano degli anemoni. I capelli di Holly sul guanciale erano come le setole di un pennello di zibellino e in quel sogno lei fumava, tenendo il posacenere in equilibrio sulla pancia. La luce del tardo pomeriggio era velata dal fumo. Lei restava in silenzio. Lui, naturalmente, aveva speso tutte le sue energie – era la prima volta che si trovavano a letto insieme – e si vide osservare Holly esitante, incapace di decifrare ciò che quel viso adorabile e intelligente stesse esprimendo oppure occultando alla vista.

Paula Pierce-Williams versò il tè. Poi si allontanò per fare una telefonata.

«Sei stato tu ad architettare questa cosa?», disse Holly.

«Certo che no», disse Guido. «Che ci posso fare se mi pedini?»

«Io non ci trovo nulla di divertente. Che cosa vuoi?»

«Voglio che tu sia più gentile con le persone che cadono ai tuoi piedi».

«Non mi pare di vederti ai miei piedi».

«Forse non sei capace di guardare», disse Guido. Poi vide Paula che si avvicinava e chiese velocemente a Holly se le andava di cenare con lui. Con sua grande sorpresa, Holly disse di sì.

La loro prima notte insieme non ebbe luogo al Ritz-Carlton, ma a casa di Holly. Gli anemoni che Guido aveva sognato erano delle felci sospese in fila sopra il letto, che gli finirono negli occhi quando si tirò su a sedere. Le lenzuola erano fresche di stiro, ma non bianche. Vi era stampata una fantasia di violette. Le federe erano decorate con un motivo di rose blu. Holly fumava e il posacenere in bilico sulla sua pancia era un piattino di Wedgwood con dei rampicanti neri.

L’appartamento di Holly era bianco e arioso, preciso come Guido l’aveva immaginato. Holly creava piccole composizioni di oggetti fini a sé stesse. Su un tavolo bianco c’erano un nido di uccellini, una statuetta egizia di pietra blu, una scatola di fiammiferi russi e un calamaio in argento. Il letto, prima che lo sgualcissero, era rassettato con una tale precisione che si sarebbe potuto far rotolare un centesimo da una sponda all’altra. Le lenzuola e i cuscini profumavano di lavanda.

Era meglio di un sogno a occhi aperti, meglio di quei sogni notturni molto elaborati che al mattino lasciano un retrogusto dolce, di inspiegabile felicità. Guido si voltò verso Holly e le toccò i lucidi capelli scuri. Lei non indossava altro che un paio di orecchini di corallo grandi come i bottoni di uno smoking. Era un freddo e piovoso sabato pomeriggio di fine marzo, e Guido si sentiva come travolto dalle sue sensazioni. Tutto gli sembrava eccezionalmente intenso: la stampa delle lenzuola, il motivo sulla trapunta, i capelli e gli orecchini luccicanti di Holly. Le sue spalle profumavano davvero di gelsomino. Quando Guido si girò verso di lei, vide sul suo viso lo sguardo che si aspettava di trovare – uno sguardo così riservato e impenetrabile e opaco da far diventare inappropriata qualsiasi cosa lui pensasse di dire.

Holly era la nipote del vecchio Walter Sturgis, un tempo insegnante di lettere classiche. Il padre lavorava come dirigente in un’industria di rame e la madre scriveva romanzi storici per bambini. Era figlia unica e unica nipote, ed era praticamente perfetta. Faceva le cose a modo suo, Holly. Lasciava decantare tutto in vetro e sulle lunghe mensole della sua cucina c’erano file su file di barattoli contenenti sapone, matite, biscotti, sale, tè, graffette e fagioli secchi. Se una delle sue composizioni si era spostata anche solo di una frazione di centimetro, se ne accorgeva e la sistemava. Doveva continuamente trattenersi dal raddrizzare i quadri in casa altrui. Nella sua, la collezione di acquerelli botanici era allineata al millimetro. Le scarpe nell’armadio erano imbottite di carta velina rosa e i cassetti zeppi di bustine di lavanda. In ogni angolo del suo guardaroba c’era una pallina di petali profumati.

Le piaceva servire il tè su una guantiera e adorava le porcellane spaiate. Il vassoio che presentò a Guido era composto da tazze decorate con dei nontiscordardimé, una zuccheriera con un motivo di mughetti, un piccolo bricco per la panna a papaveri rossi e una teiera punteggiata di rose rosse e fiordalisi. Il suddetto vassoio, una volta appoggiato sul letto, contribuì al sovraccarico sensoriale di Guido. Si emozionò al pensiero che Holly si fosse impegnata tanto per lui, ma quando ebbe l’occasione di conoscerla meglio scoprì che quando studiava componeva vassoi identici anche solo per sé.

Guido si era domandato se fosse brava in cucina. Quella sua leggera aria di incorporeità suggeriva di no, mentre la sua precisione faceva pensare che lo fosse – nel modo in cui lo erano i giapponesi. Lui si aspettava una cena che avesse l’aspetto di un quadro. Venne fuori che lei era un vero prodigio. Guido fu sorpreso dalla pura e semplice prelibatezza delle pietanze: del cibo così buono, pensò, doveva essere frutto di uno spirito autenticamente benevolo e amorevole. Ma la benevolenza non sembrava far parte dell’immediato vocabolario emotivo di Holly. Dopo uno spettacolare pomeriggio a letto, avevano trascorso il resto della giornata immersi in un educato e pressoché totale silenzio. Perciò, la cena lo mise quasi al tappeto. Non solo era deliziosa da mangiare, ma anche bellissima da guardare. Guido classificò Holly come un’irriducibile edonista domestica. Aveva una naturale inclinazione per il benessere, ma lui era solo un ospite: quel benessere era stato creato molto tempo prima del loro incontro.

© Laurie Colwin, 1978. Tutti i diritti riservati

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