Variazioni in rosso di Rodolfo Walsh è in libreria: pubblichiamo oggi la prefazione di Massimo Carlotto al volume.
«Questo scrittore è un eroe»
di Massimo Carlotto
Scrittore, giornalista, militante politico. Rodolfo Walsh ancora oggi è il vero punto di riferimento di moltissimi autori centro e sudamericani, in particolare per la generazione che, alla fine del sanguinoso ciclo delle dittature, scelse negli anni Novanta di dedicarsi al romanzo poliziesco per raccontare la realtà di paesi feriti e di sogni infranti.
Walsh diventa un modello non solo per lo spessore umano e culturale, il rigore e il coraggio che hanno dominato la sua incredibile storia personale, ma soprattutto perché fu proprio lui a intuire in quella parte di mondo la necessità di trasformare il genere in un racconto sociale, in netta contrapposizione con Borges che volle sempre relegare il poliziesco alla sfera del mistero.
Variazioni in rosso, al di là della bellezza dei tre racconti, anticipa in modo evidente quella che sarà la vera ossessione narrativa di Walsh: investigare il crimine, tra finzione e testimonianza, per dimostrarne la vera natura.
L’enigma e la sua risoluzione furono al centro di tutta la produzione dell’autore, anche quella più squisitamente legata alla realtà politica argentina, come Operazione Massacro del 1957 (che anticipa uno stile che verrà poi riconosciuto al Truman Capote di A sangue freddo) e ¿Quién mató a Rosendo? del 1969.
Un crimine, un’indagine, una soluzione. Struttura classica che Walsh usò strategicamente nei romanzi polizieschi per coinvolgere il lettore in una serie di ragionamenti logici destinati a scoprire la verità. E nei libri d’inchiesta non-fiction per sottrarre il lettore a una verità ufficiale e menzognera e al contempo per sottoporgli prove dell’esistenza di un’alternativa inoppugnabile.
In questo senso l’investigatore dei romanzi è simile al giornalista investigativo. Entrambi acquisiscono elementi, indizi e prove per svelare una verità volutamente occultata, poco importa se da un assassino di carta o dallo Stato argentino.
Variazioni in rosso è il riuscitissimo banco di prova della metodologia di Walsh dopo la prima esperienza dell’antologia intitolata Diez cuentos policiales argentinos. Composto da tre racconti – «L’avventura delle bozze», «Variazioni in rosso» (dedicato alla moglie Elina) e «assassinio a distanza» – e pubblicato nel 1953 nella Serie naranja di Hachette, viene accolto favorevolmente dalla critica, vince il Premio Municipal de Literatura e diventa un long seller, a tutt’oggi sempre presente nelle librerie.
Le ragioni sono molteplici. Lo spessore letterario della scrittura.
Sul dorso grigio del mare persistevano gli ultimi riflessi della sera. Le onde correvano veloci verso la spiaggia, come una muta di levrieri bianchi. E nel silenzio denso di una brezza salmastra, la voce di Silverio Funes sembrava più opaca e affaticata del solito.
Come dimostra l’incipit di «assassinio a distanza», l’autore si misura con un progetto narrativo in cui l’eleganza, il virtuosismo e l’intelligenza si fondono nella necessità di costringere il lettore a giocare la stessa partita nell’applicazione del senso comune alla risoluzione del caso.
La genialità delle trame. Walsh gioca con le convenzioni del genere attenendosi alla tradizione argentina che punta spesso a rinnovare modelli holmesiani, forzandole però in ambientazioni decisamente locali che contaminano irrimediabilmente le storie. Buenos aires non è Londra e il correttore di bozze nonché improvvisato e abile investigatore, Daniel Hernández, è a sua volta profondamente portegno. La superiorità intellettuale sul poliziotto ottuso, tanto cara ai primi grandi autori da Poe a Conan Doyle, non ricopre funzioni meramente poliziesche ma sconfina in territori più vasti dove la concretezza dei fatti è l’unico modo per confrontarsi con la «Verità». Quella stessa verità negata al popolo argentino che si trascina da una dittatura a una democrazia «complicata» in attesa della grande mattanza del 24 marzo 1976.
Humour e ironia. Walsh ne fa un uso sapiente, sono la cifra delle «variazioni» che impone al genere tra le righe delle convenzioni.
È l’unico elemento che condivide e probabilmente eredita da Borges. Ma della concezione del genere di quest’ultimo negli anni rimarrà ben poco perché sarà Walsh il modello da imitare.
Mentre Jorge Luis Borges strizzava indecentemente l’occhio ai generali golpisti, Rodolfo Walsh giorno dopo giorno insegnava agli intellettuali e ai giornalisti argentini e sudamericani il valore del rigore dell’obiettività.
Lo stesso rigore, come è stato già scritto, necessario al racconto poliziesco per non tradire il patto con il lettore, Walsh lo applicava alle sue inchieste che lo hanno trasformato in poco tempo in un obiettivo da parte della dittatura. Questo scrittore che concepisce un’opera come Variazioni in rosso è un eroe. Un vero eroe. Uno di quelli che di solito non si trovano nelle pagine dei polizieschi ma tra le pagine di grandi romanzi epici.
Nato nel 1927 a Lamarque nella provincia del Río Negro, da genitori di origine irlandese notoriamente conservatori, dopo gli studi in un collegio di suore irlandesi, a diciassette anni viene assunto dalla filiale argentina delle edizioni Hachette dove lavora come traduttore e correttore di bozze, ruoli che gli permettono di conoscere a fondo i grandi romanzi polizieschi europei e statunitensi.
Tre anni dopo la pubblicazione di Variazioni in rosso, la vocazione alla «Verità» porta l’autore a trasferirsi sotto il falso nome di Francisco Freyre in un’isola del delta del Tigre, armato di un taccuino e di un revolver, per indagare su un grande crimine perpetrato dal governo argentino. Riuscirà a svelare il complotto e a guadagnarsi l’odio delle oligarchie e dei militari.
Walsh, come il suo personaggio Daniel Hernández, non rinuncia mai a indagare, e nel 1968 la sempre più complicata situazione politica lo obbliga ad abbandonare la letteratura. Si tratta di un distacco doloroso ma necessario perché in quel momento si dichiara confuso sul ruolo del romanzo. L’assedio della realtà lo circonda totalmente e mal sopporta le accuse, del tutto ideologiche, di «scrivere per la borghesia».
Già nel 1959 aveva partecipato a Cuba alla fondazione dell’agencia Prensa Latina. Nel 1973 milita nelle file del peronismo montonero, crea un dipartimento di intelligence e, con il poeta Francisco «Paco» Urondo, fonda il giornale Noticias, organo del movimento.
Dopo il golpe di Videla del marzo del ’76, guida l’ancla, agencia Clandestina de Noticias, per la convinzione che il terrore vinca a causa dell’assenza di un’informazione puntuale e di massa.
Rodolfo Walsh è infaticabile. Imprendibile. Un gruppo clandestino dell’esercito guidato dal famigerato alfredo astiz lo cerca, catturando e torturando ogni possibile contatto.
Il 29 settembre del 1976 muore in un conflitto a fuoco la sua amatissima figlia Maria Victoria, Vicki, di soli ventisei anni, e poco dopo anche il suo amico Paco Urondo.
Lo scrittore potrebbe fuggire all’estero, i contatti non gli mancano di certo, invece sceglie di rimanere. Il 24 marzo del 1977 invia la «Lettera aperta di uno scrittore alla Giunta Militare», che diventerà il manifesto d’accusa più famoso di quegli anni. Nessun giornale la pubblica.
E il giorno dopo Walsh viene circondato da una patota clandestina che cerca di sequestrarlo in una strada di Buenos aires. Ma lui non si arrende, estrae una pistola, abbatte un militare ma viene a sua volta crivellato di proiettili. aveva cinquant’anni.
Come racconteranno anni più tardi i sopravvissuti del campo di concentramento clandestino della esma, il suo corpo viene mostrato ai prigionieri come un trofeo.
Il processo celebrato recentemente ai suoi assassini, alcuni dei quali sono stati condannati all’ergastolo, ha permesso di appurare che le case usate dallo scrittore vennero saccheggiate dopo la sua morte. Uno dei cassetti di una scrivania, caricata su un camion e venduta a un rigattiere di fiducia, conteneva un romanzo che Walsh aveva scritto nelle lunghe notti di militante braccato, dal titolo Juan se iba por el río.
La figlia Patricia ora lo cerca in tutti i modi. Durante il processo ha chiesto ai militari di restituirlo, richiesta accolta da uno sprezzante silenzio. Eppure sarebbe davvero importante ritrovarlo, non solo per ridare completezza alle opere di Walsh ma per capire perché avesse deciso di ritornare alla letteratura.
E di incredibile spessore letterario sono le missive che lo scrittore invia dalla clandestinità alla moglie per cercare di dare un senso alla morte della loro figlia, o quelle agli amici. Ma la stessa lettera aperta ai golpisti è di grande bellezza. Lo sdegno, la rabbia e la rivendicazione della dignità sono espressi non solo in modo ineccepibile dal punto di vista formale ma all’interno di un progetto narrativo ben definito.
Insomma Walsh non ha mai rinunciato alla scrittura di alto livello anche nei periodi più bui della sua esistenza. E Variazioni in rosso lo ha sempre accompagnato. Daniel Hernández gli è sempre stato vicino, lo ha guidato mentre cercava di dimostrare agli argentini le nefandezze dei governi, dei potentati economici. Il terrore degli squadroni della morte.
Conoscere Rodolfo Walsh è, per un lettore, un’avventura straordinaria. E questi tre racconti sono il miglior modo per entrare in sintonia con il suo universo narrativo.
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