Pubblichiamo oggi un assaggio di Andarsene di Rodrigo Hasbún, un romanzo che unisce realtà storica e finzione letteraria in un efficace montaggio di episodi e voci che permette di seguire le vicende della famiglia Ertl dagli anni Cinquanta agli anni Settanta. Monika, la più grande e audace di tre sorelle, finirà per ereditare il carattere anticonformista del padre e si lancerà verso un obiettivo molto temerario, abbracciando la rivoluzione e finendo col passare alla storia come «la vendicatrice di Che Guevara».
di Rodrigo Hasbún
traduzione di Giulia Zavagna
Alle sei e mezza del mattino, quando Monika uscì dalla stanza, suo padre la stava già aspettando a tavola. Appena la sentì arrivare, Jacinta portò dalla cucina un bicchiere di succo di mandarino. Le chiese se voleva dell’avena e, dopo avergliela portata, come preferiva le uova. Mentre facevano colazione, Monika si distrasse varie volte a guardare quelle diciotto o venti foto che riassumevano le loro vite sulla parete. Ieri sera ho cercato di svegliarti per cena, ma è stato impossibile, disse suo padre. Si sforzava di essere gentile. Nel loro rapporto c’erano sempre stati alti e bassi. C’erano stati periodi in cui avevano smesso di parlarsi, quando Monika si era sposata o quando lui aveva ufficializzato la sua relazione con la Burgl, ma anche altri periodi di vicinanza assoluta.
Gli chiese di lei.
Sta bene, rispose lui.
State ancora insieme?
Solo qualche minuto dopo suo padre disse che non lo sapeva e che la Burgl era partita ormai da tre anni. Si scrivevano ogni quindici giorni e parlavano per telefono ogni tanto, per il momento non avevano in progetto di rivedersi.
Tu?, chiese.
Se stavano giocando alle confidenze, quello era il rischio.
Monika pensò a Inti. Ricordò i giorni all’Avana, quando l’aveva conosciuto. Ricordò le lunghe passeggiate che facevano insieme, le conversazioni, l’entusiasmo. Con lei smetteva di essere l’uomo taciturno che vedevano tutti gli altri.
Sono single, rispose.
Tuo marito non è una cattiva persona ma non faceva per te, disse lui. Lo sapevo fin dall’inizio che quel matrimonio non avrebbe funzionato.
La presenza di Jacinta li salvò. Ritirò i piatti sorridendo, ignara di tutto, e dopo poco si mise perfino a cantare in cucina.
Suo padre aveva alcune cose da fare, si sarebbero rivisti per pranzo. Restare da sola significava spesso smarrirsi e, per un attimo, Monika ne ebbe paura. Decise di uscire a perlustrare con più attenzione le terre.
È tranquillo da queste parti?, chiese a Jacinta quando tornò.
Più tranquillo non si può, le rispose lei.
Tu vivi in una di quelle casette bianche laggiù?
Sì, vivo lì con la mia famiglia. Sto preparando il majao, signorina, le piace?
Come fa a non piacermi, rispose Monika.
In camera provò a concentrarsi ma non ci riuscì. La città e la guerra erano scomparse in meno di una giornata, quello sembrava un altro mondo. Il nemico ti si infila nella testa, cerca di convincerti che non ha senso combattere, ti fa credere che potresti abbandonare la lotta, ignorare ciò che più importa, tornare alla tua vita precedente. Odiò sé stessa per quei pensieri, per quella mancanza di serietà.
Per difendersi, pensò a Inti, alla sua fuga durata mesi, alla sua determinazione. La notizia dell’imboscata l’aveva riempita di ira e dolore ma non si era permessa un lutto prolungato. Pensò anche al suo viaggio in Europa, anni prima. Di passaggio a Friburgo aveva rincontrato Reinhard. Aveva intenzione di confessargli che era stata incinta di lui ma alla fine aveva preferito non farlo. Le era sembrato un uomo sconfitto, un’ombra.
Dentro di lei iniziò a prendere piede la disperazione. Monika non sapeva come scacciarla, non ne era mai stata capace. Cercò il libro che teneva nello zaino, almeno avrebbe approfittato di quelle ore. Era una raccolta di saggi e discorsi del Che pubblicata da Rowohlt, era strano leggere quei testi in traduzione.
Suo padre tornò a mezzogiorno, nel suo spagnolo marcato lo sentì parlare con Jacinta in sala da pranzo. La donna bussò alla porta per dirle che il pranzo era pronto.
Perché sei qui, Monika?, le chiese lui qualche giorno dopo.
Fino a quel momento la passeggiata si era svolta in silenzio. Si era fermato e la guardava, voleva una risposta immediata, la sua vecchia intransigenza tornava ad affacciarsi.
Era più di due anni che non si vedevano, doveva essere sconcertante per suo padre. Per lei lo era, non era stato facile decidersi ad andare a trovarlo.
Sarebbe stata diretta, diretta come lui.
Sono venuta a chiederti un favore, disse.
Ti ascolto.
Lei fece un respiro profondo e rispose che doveva chiedergli se avrebbe permesso ad alcuni suoi compagni di vivere alla Dolorosa per qualche tempo.
Non capisco, disse suo padre.
Non si sarebbero avvicinati alla casa, disse lei, avrebbero vissuto sui monti, lì dove si trovavano in quel momento. Avevano bisogno di trovare un posto sicuro al più presto. Non doveva saperlo nessuno, nemmeno i suoi lavoranti né i contadini della zona.
Un posto per fare cosa?
Per rifugiarsi e allenarsi per un po’.
I boliviani ci hanno sempre trattato bene, tagliò corto lui.
È per i boliviani che lo facciamo, disse lei. Ci saranno nuove incursioni, è necessario che i guerriglieri possano prepararsi in condizioni reali.
Ti rendi conto di che cosa mi stai chiedendo?
Ti sto chiedendo di aiutare tua figlia. Le guerre si combattono nelle città, Monika.
Nelle città non ci sarebbe nessuna possibilità.
E in mezzo al nulla sì? Non avete ancora imparato la lezione?
Sembrava impossibile che suo padre fosse al corrente di tutto, che dicesse cose simili, che entrambi avessero mantenuto la calma.
Torniamo a casa, si sta facendo tardi, disse.
Non ti disturberebbero affatto, disse lei.
Non sai quello che dici.
Se alcuni compagni usassero il tuo terreno non ti disturberebbero affatto.
Non voglio essere complice della vostra idiozia né della vostra violenza né delle vostre morti, disse lui allora, guardandola negli occhi, ormai con un altro tono.
Sarebbe stato ingenuo aspettarsi qualcosa da suo padre.
Torniamo a casa, ne parliamo dopo. Voglio sapere se è un no definitivo, disse lei.
Non è più tempo per queste cose, disse lui.
Questo significa no? Ne parliamo dopo, torniamo a casa.
Mezz’ora dopo si stavano gridando contro in salotto. Sei solo un lacchè dei potenti, un fascista schifoso, fu l’ultima cosa che disse Monika prima di andare in camera a prendere le chiavi, lo zaino e la pistola e uscire senza salutare.
Quei minuti l’avrebbero accompagnato per il resto della vita. Se li sarebbe ripetuti, migliaia di volte, ossessivamente: la sua amata figlia che lo insultava, il suono del motore della sua macchina che si perdeva in lontananza. Quando la rivide fu su un manifesto a La Paz. L’esercito offriva centomila pesos per lei, viva o morta.
© Rodrigo Hasbún, 2016. Tutti i diritti riservati
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