Pubblichiamo un ritratto di Malcolm Lowry firmato da Tommaso Pincio. L’articolo è apparso originariamente sul blog dell’autore, che ringraziamo.
di Tommaso Pincio
Il 30 giugno 1934 Adolf Hitler, salito al potere nel gennaio dell’anno precedente, ordinò un’epurazione su larga scala allo scopo di eliminare nel modo più definitivo possibile gli oppositori del nazionalsocialismo. La purga nella quale persero la vita almeno settanta persone tra nemici personali del führer e capi delle SA è passata alla Storia come la notte dei lunghi coltelli ed è rievocata in un racconto dello scrittore inglese Malcolm Lowry: «Mentre scendeva sulla banchina, Goodyear provò una strana apprensione. Non avrebbe saputo dire da dove venisse, ma pensò che, più che cambiare elemento, stesse cambiando mondo. Passò la dogana senza difficoltà e si avviò giù per la piattaforma, dove sembrava che tutti stessero leggendo. Gli strilloni gridavano e Goodyear comprò lo Star da un ragazzo che portava la sua locandina come un grembiule: Atrocità di Hitler. Germania in armi. Che significava? Davvero stava già cominciando un’altra guerra. No. Impossibile. E Goodyear fu rassicurato anche dal giornale, che, nonostante i titoli, si limitava a fornire un signorile resoconto di una rivolta nell’esercito di questo Hitler, nella quale erano state fatte fuori alcune camicie brune o nere – o erano le camicie della banda di Mussolini, le nere? Poveracci. Comunque sia Goodyear non riuscì a liberarsi della sensazione che quella non era che una conferma di quanto lui aveva sospettato: che un nuovo ciclo stava iniziando, che la faccia della terra stava cambiando…»
Il racconto ha per titolo proprio la data in cui ebbe luogo la notte dei lunghi coltelli, «30 giugno 1934», ed è ambientato a bordo di una nave che attraversa la Manica, dove, tra un drink e l’altro, due uomini, il reverendo Goodyear e un tale di nome Firmin discutono della prima guerra mondiale e di quel che il futuro riserva all’umanità. Nell’apprensione di Goodyear sembra di scorgere i segni della catastrofe imminente che attendeva l’Europa e il resto del pianeta. Col senno della Storia, le sue parole – un nuovo ciclo stava iniziando… la faccia della terra stava cambiando – suonano profetiche. La notte dei lunghi coltelli sancì di fatto l’inizio di una catastrofe; catastrofe che Lowry poteva solo vagamente presagire perché il racconto fu scritto non molto tempo dopo quel sanguinoso evento. Con molta probabilità Lowry lo scrisse durante il suo primo anno a Los Angeles, dunque nel 1935. All’epoca Lowry era un giovane ventiseienne. Era nato a Birkenhead, in una contea dell’Inghilterra nord-occidentale, nelle vicinanze del confine col Galles. Suo padre era un ricco mercante di cotone, possedeva piantagioni un po’ ovunque, in Texas, Egitto, Perù e altri posti, oltre a giacimenti di petrolio. La madre invece era figlia di un capitano di vascello norvegese. Malcolm entrò in collegio all’età di sette anni, dopodiché fu mandato alla Leys School, un istituto reso famoso da un libro di James Hilton, scrittore inglese da noi praticamente ignoto benché sia autore di romanzi di successo, tra cui Orizzonti perduti dal quale Frank Capra trasse un film che porta lo stesso titolo. E proprio nella scuola celebrata nel romanzo di Hilton, Malcolm Lowry scoprì le sue due grandi passioni: la letteratura e il bere. Strinse un’amicizia epistolare con uno scrittore americano, Conrad Aiken, al quale spedì lettere nelle quali parlava diffusamente dei suoi eccessi con l’alcol. Aiken riconobbe nell’imberbe bevitore un talento naturale per la scrittura e lo incoraggiò.
Malcolm aveva però sete di esperienze e all’età di 16 anni decise di seguire tanto le orme del nonno quanto quelle più letterarie di Melville e Joseph Conrad. Si imbarcò come mozzo e salpò per l’estremo oriente, ricavandone materiale per quello che sarebbe diventato il suo primo romanzo, Ultramarina, nel quale è raccontata la storia, evidentemente autobiografica, di un giovanotto di buona famiglia roso dal bisogno di farsi accettare dai compagni di bordo. Rientrato in Inghilterra piuttosto deluso dalla vita marinara, pensò bene di placare le ansie dei genitori, riprendendo gli studi. Si iscrisse al St. Catherine’s College di Cambridge e proprio a Cambridge, nel novembre del ’29, accade un fatto che lo funestò per il resto della vita. Il suo compagno di stanza, un ragazzo di nome di Paul Frite, si suicidò. Esistono varie versioni di questa tragedia. Pare che Paul Prite desiderasse avere una relazione sessuale e che Lowry lo avesse respinto. Sembra inoltre che non si sia limitato a respingerlo. Si dice che Lowry abbia incoraggiato l’amico a togliersi la vita; forse diede persino un contributo attivo, sigillando la stanza nella quale lo studente si asfissiò poi con il gas. Certo è che Lowry si sentì responsabile della morte e questo senso di colpa gli causò una ferita psichica che non si rimarginò mai. Molti anni dopo, Lowry rischiò di confrontarsi con un rimorso ancora più grande. Gli stati di delirio in cui precipitava per via dei suoi eccessi di prodigioso bevitore spesso deflagravano in comportamenti violenti. Per ben due volte tentò di strangolare la sua seconda moglie e non è escluso che un terzo tentativo sia all’origine della sua prematura e per molti versi misteriosa scomparsa, avvenuta il 27 giugno 1957. Appena tre giorni prima dell’anniversario della notte dei lunghi coltelli, una coincidenza non priva di significato.
Malcolm Lowry fu un uomo dalle mille inquietudini. Si affibbiò da solo l’etichetta di poeta maledetto e si adoperò con vigore per dare di sé un’immagine nebbiosa e leggendaria. I racconti della sua vita sono spesso evasivi, colmi di incongruenze e di lati poco chiari, quando non propriamente misteriosi. Superstizioso all’estremo, si considerava destinato al fallimento, un perseguitato del destino e del demonio, ed era pertanto ossessionato dalle coincidenze. E in effetti, scandagliando i fatti della sua tormentata esistenza se ne trovano parecchie. Tra queste il persistente ricorrere del mese di giugno. Oltre al racconto ambientato nello stesso giorno della notte dei lunghi coltelli e alla morte sopraggiunta per misadventure, per fatalità, come recita il referto del medico legale, va ricordato l’incendio che nel giugno 1944 distrusse la baracca nei pressi di Vancouver che Lowry aveva costruito per sé e sua moglie e fu proprio sua moglie a salvare dalle fiamme il manoscritto di Sotto il vulcano, capolavoro dello scrittore nonché uno fra i più importanti romanzi in lingua inglese del Novecento. Non scampò invece alla furia devastatrice del fuoco un altro manoscritto di un migliaio di pagine intitolato In Ballast to the White Sea, romanzo psicologico nel quale si raccontava di uno studente di Cambridge e delle relazioni che intrattiene con le persone che gli sono attorno. Avrebbe dovuto essere il terzo libro di una trilogia concepita sulla falsariga della Divina Commedia. In questo disegno, Sotto il vulcano avrebbe dovuto rappresentare l’inferno e la stesura definitiva fu terminata sei mesi dopo l’incendio, la vigilia di Natale del 1944, ma dovette passare un paio di anni prima di trovare un editore disposto a pubblicarlo. Vide le stampe nel 1947 e fu accolto con grande entusiasmo. Un critico di un quotidiano americano scrisse che pochi romanzi «comunicano con altrettanto fervore l’agonia dell’alienazione, la sofferenza infernale della disintegrazione». Lowry venne salutato come l’erede di Joyce, che era morto sei anni prima.
Nel paragone con Joyce, per nulla azzardato, riappaiono il mese di giugno e le coincidenze così importanti per Lowry. Com’è noto Ulisse di Joyce è la storia di una giornata, una giornata di giugno guarda caso. E anche l’azione Sotto il vulcano è stretta in una sola giornata. Salvo il primo capitolo, l’intero romanzo si svolge il 2 novembre 1938. La data, il giorno dei morti, è ovviamente simbolica ed è possibile leggervi più di un’allusione, tra cui, forse, anche un riferimento al suicidio del compagno di stanza di Cambridge, avvenuto proprio nel mese di novembre. Del resto, il romanzo è la tragica e simbolica cronaca di una morte cercata se non proprio annunciata. Racconta le ultime dodici ore di vita di un alcolista consumato dal vizio e che ha lo stesso nome di uno dei due protagonisti del racconto intitolato «30 giugno 1934». Il Firmin di Sotto il vulcano non si trova su un battello che attraversa la Manica, ma in Messico, a Quauhnahuac. È un console da poco rimosso dal governo britannico in seguito alla rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. In questo 2 novembre Yvonne, la ex moglie dell’ex console, ritorna inaspettatamente, ma i loro tentativi di riconciliarsi sono minati dagli eccessi di Firmin, dal suo bere ininterrotto e dal suo comportamento violento. Il quadro conosce un’ulteriore complicazione perché oltre a Yvonne, arrivano anche due suoi ex amanti, un fratellastro di Firmin e suo amico, un regista francese.
Firmin trascorre le sue ultime ore bevendo e ripensando al passato, a cosa è stata la sua vita. La giornata termina in tragedia. Firmin viene ucciso da un fascista messicano che lo scambia per un delinquente, mentre Yvonne muore calpestata da un cavallo in fuga. Questi i fatti all’osso. Sotto il vulcano si protende tuttavia molto al di là della sua scarna trama. È una complessa architettura simbolica nella quale si intrecciamo i temi dell’alienazione, del mito, dell’idealismo politico, del mito. Ecco come Malcolm Lowry spiegò in una lettera indirizzata all’editore inglese Jonathan Cape la predestinazione alla rovina di Firmin: «L’ubriachezza del console serve a simbolizzare lo stato di ubriachezza nel quale ha vissuto il genere umano durante la guerra o durante il periodo che l’ha immediatamente preceduta… e la profondità e il senso finale contenuti nel suo destino dovrebbero essere visti anche in relazione con il destino supremo dell’umanità». Il successo del romanzo non giovò allo scrittore. «Il successo», scrisse alla suocera, «può rivelarsi la peggiore delle sventure per un vero scrittore». E infatti, malgrado seguitò a scrivere e riscrivere manoscritti che aveva lasciati incompiuti, dopo Sotto il vulcano Lowry non pubblicò più nulla. Seguitò anche a bere alla sua maniera smodata e cominciò un’esistenza erratica accompagnato dalla moglie. Tra il 1949 e 1950 tornò in Canada e decise di cimentarsi nella sceneggiatura malgrado gli mancasse l’esperienza necessaria. Scrisse un copione di 455 pagine basato su Tenera è la notte di Francis Scott Fitzgerald e fu il primo manoscritto che Lowry riuscì a terminare dopo quasi sei anni.
No se puede vivir sin amar. Non si può vivere senza amare. Questa frase, scritta sul muro di una casa e che riecheggia come un monito in Sotto il vulcano dice molte su cose sul modo in cui Lowry concepì e portò a compimento il suo capolavoro. La genesi fu lunga e tortuosa. Dopo essersi laureato Cambridge, Lowry si era spostato parecchio. Era andato prima a Londra, poi in Spagna, dove aveva conosciuto la donna che sarebbe diventata la sua prima moglie, poi in Francia, dove si era sposato, e poi negli Stati Uniti. Nel 1936 giunge con la moglie a Cuernavaca, in Mexico. Qui, il 2 novembre, ovvero lo stesso giorno in cui sarà poi ambientato Sotto il vulcano, la coppia assiste impotente alla morte di un indio. L’uomo giaceva ferito sul ciglio della strada, ma la legge messicana impediva a Lowry e alla moglie di aiutare lo sventurato che morì e venne derubato dei suoi soldi da un contadino. Lowry scrisse subito un racconto intitolato Sotto il vulcano ispirato all’accaduto. Nel racconto un console britannico alcolizzato, sua figlia Yvonne e il fidanzato di lei sono testimoni di fatto molto simile; davanti a tanta tragedia, estraniato dall’amore che unisce i suoi compagni di viaggio, il console dedica ogni suo pensiero al prossimo bicchiere. Nel racconto, in parte autobiografico, erano contenuti i germi del futuro che attendeva lo scrittore. Di lì a poco, Lowry venne lasciato dalla moglie e restò a sbronzarsi a Cuernavaca, finché fu espulso per ragioni misteriose e tornò in America, a Los Angeles, dove il racconto divenne un romanzo la cui prima stesura fu terminata nel 1940.
La versione primigenia di Sotto il vulcano fu ripetutamente rifiutata dagli editori, che la trovavano eccessivamente letteraria. Lowry non si arrese. Andò in Canada, si costruì una baracca nei pressi di Vancouver, si tenne lontano dall’alcol, lavorò per quattro anni al romanzo, rischiò di perderlo nell’incendio che distrusse la catapecchia nella quale viveva con la sua moglie. Il romanzo definitivo rimodella in parte i personaggi del racconto da cui è nato. Yvonne non è più la figlia del console ma la sua ex moglie, mentre il fidanzato di Yvonne diventa il fratellastro del console. Lowry lavorò per anni al suo capolavoro, scrivendo quattro stesure diverse. Ma fu soltanto dopo l’incontro con Margerie Bonner che il romanzo cominciò ad acquistare una forma vera e propria. Fu lei a suggerire i cambiamenti da apportare alla trama e ai personaggi, come pure fu lei a contenere la verbosità cui Lowry era incline. Margerie fu in sostanza l’editor migliore che Lowry potesse sperare di incontrare nonché l’unica persona capace di gestirne il carattere inquieto e avventato. Lo aiutò anche sul piano sessuale. Lowry aveva infatti un pene particolarmente piccolo e lei gli fece acquisire la fiducia in sé stesso necessaria a superare quel complesso. Margerie e Malcolm si conobbero il 7 giugno 1939 a Los Angeles, all’angolo di Hollywood Boulevard e Western Avenue. La data del fatale incontro è un’altra tessera di quel mosaico di coincidenze che ruota attorno al mese di giugno. Ad arricchire il quadro c’è il fatto che l’incendio che distrusse la casa di Malcolm e Margerie ebbe luogo il 6 giugno, ovvero la vigilia dell’anniversario del loro incontro. È soltanto una coincidenza o la forza simbolica di quel giorno può nascondere altro?
Quella di Malcolm e Margerie fu una straordinaria storia d’amore, ma non fu esente da lati oscuri. E non soltanto perché Malcolm era soggetto a eccessi di violenza e riuscì a tenersi lontano dall’alcol solo per brevi periodi, ma anche perché Margerie aveva le sue frustrazioni. Senza di lei, Sotto il vulcano non avrebbe mai visto la luce. Il personaggio di Yvonne è modellato su di lei e fu lei a spingere Lowry in questa direzione. Va poi considerato che Margerie era, oltre che un’attrice, un’aspirante scrittrice. Pubblicò anche, con scarso successo, un paio di romanzi polizieschi. E un romanzo poliziesco sembra anche la morte di Lowry. L’inchiesta archiviò l’overdose di alcol e barbiturici come una disgrazia accidentale. Lowry aveva bevuto e, come spesso capitava, c’era stata una violenta discussione. Margerie raccontò alla polizia di avere rotto la bottiglia di gin per impedire al marito di seguitare a bere. Lui l’aveva minacciata con le schegge di vetro e lei era fuggita, passando la notte dai vicini. Era rientrata il mattino seguente e aveva trovato il marito disteso sul pavimento, in mezzo a vetri rotti, un mobile fracassato e avanzi di cibo. Questa versione presenta punti poco chiari. Una cosa strana per esempio è che Margerie abbia scritto agli amici di avere trovato un biglietto in cui Malcolm dichiarava di essersi suicidato. Margerie non spiegò tuttavia perché distrusse quel biglietto e non ne fece menzione con la polizia. Un altro aspetto oscuro riguarda il misterioso svuotamento di una boccetta di sonniferi. Qualcuno ha avanzato il sospetto che Margerie abbia indotto con l’inganno Lowry a ingerire i barbiturici che lo hanno ucciso. Poco tempo prima Lowry aveva detto a uno psichiatra una frase che induce a pensare: «può finire soltanto due modi, o io ucciderò Margerie o lei ucciderà me». Probabilmente la verità su ciò che davvero accade nella notte di fine giugno è destinata a restare un mistero. Certo è che No se puede vivir sin amar.
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