Evita-60-años-Fachada-Legislatura-Porteña-e1349873146819

Evita vive

redazione SUR

Il 26 luglio 1952 si spegneva dopo una lunga malattia Eva Perón. Quest’anno, in occasione del 60° anniversario, a Buenos Aires è stata organizzata una settimana di celebrazioni, con proiezioni, mostre fotografiche e spettacoli live (persino una sfilata di vestiti d’epoca.

Eva Perón, in vita, aveva ispirato diversi scrittori argentini. Famoso un testo di Rodolfo Walsh, Esa mujer, che si può leggere qui.

Pubblichiamo un testo dello scrittore argentino Néstor Perlongher già uscito sul «manifesto» ringraziando la testata e la traduttrice.

di Néstor Perlongher
traduzione di Francesca Lazzarato

1.

Ho conosciuto Evita in un hotel del Bajo, tanti anni fa! Io vivevo, insomma, vivevo, stavo con un marinaio nero che mi aveva rimorchiato in giro per il porto. Quella notte, ricordo, era estate, forse febbraio, faceva molto caldo. Lavoravo in un bar notturno, badavo alla cassa fino alle tre del mattino. Ma proprio quella sera avevo litigato con la Lelé, ah, la Lelé, una checca invidiosa che voleva soffiarmi tutti i maschietti. Ci stavamo prendendo per i capelli dietro il banco ed era saltato fuori il padrone: “Tre giorni di sospensione per la baruffa”.   Che me ne importava, torno in fretta  alla mia stanza, apro…  e trovo lei, con il negro. Certo, in un primo momento mi sono incazzata, e poi ero già su di giri per la litigata con quell’altra e quasi le salto addosso senza neppure guardarla, ma il negro – dolcissimo – mi ha lanciato un’occhiata sensuale e mi ha detto qualcosa come: “Vieni qui che ce n’è abbastanza  anche per te“. Beh, in realtà non diceva bugie, con il negro ero io che abbandonavo per stanchezza, ma in un primo momento, non so, la gelosia, la casa, insomma gli ho detto: “Va bene, ma questa chi è?”. Il negro si mordeva un labbra perché vedeva che stavo per esplodere, e io, a quei tempi, quando mi incazzavo ero tremenda – ora non tanto, sono, non so, più armoniosa -. Ma allora ero, diciamo, una checca cattiva, da averne paura. Lei mi ha risposto, guardandomi negli occhi (fino a quel momento aveva tenuto la testa tra le gambe del negrone, e poi era in penombra, non l’avevo vista molto bene): “Come? Non mi riconosci? Sono Evita”. “Evita?”ho detto, non potevo crederci. ”Evita, tu?”  e le ho acceso la lampada in faccia. Ed era proprio lei, inconfondibile, con quella pelle lucente, lucente, e le macchioline del cancro al di sotto, che – a dire la verità – non le stavano per niente male. Sono rimasta senza parole, ma non mi andava proprio di sembrare una zoticona che si confonde davanti a una qualunque visita inattesa.”Evita, cara – ah, pensavo io – “vuoi un po’ di cointreau?” (perché sapevo che le piacevano moltissimo le bevande fini).”Non ti disturbare, tesoro, adesso abbiamo altro da fare, non ti sembra?”. “Sì, ma aspetta,” le ho detto, “raccontami almeno dove vi siete conosciuti”. “Molto tempo fa, bella, molto tempo fa, già ai tempi dell’Africa (poi Jimmy mi ha raccontato che si erano conosciuti un’ora prima, ma sono sfumature che non contano. Era così bella!).”Vuoi che ti racconti com’è andata?”. Io ansiosa, insomma, avevo comunque la scopata garantita: “Sì, sì, ah Evita, vuoi una sigaretta?”, ma mi è sempre rimasta la voglia di andare più a fondo su quella bugia (o  sarà stato il negro a mentirmi, non l’ho mai saputo) perché Jimmy si è stufato di tante chiacchiere e ha detto :”Adesso basta”; le ha preso la testa – con quel suo chignon mezzo disfatto – e se l’è cacciata tra le gambe. A dire il vero non so se mi mi ricordo meglio di lei o di lui, insomma, sono una gran puttana ma oggi di non parlerò di lui, solo che il negro quel giorno era così in vena che mi ha fatto gridare come una porca, riempiendomi di succhiotti. Poi, il giorno dopo, lei si è fermata a colazione e, mentre Jimmy usciva a comprare le brioches, mi ha detto che era molto felice, e se non volevo accompagnarla in cielo, che era pieno di bruni e di biondi e di ragazzi così. Non so se le ho creduto sul serio: se fosse stato vero, perché venire a cercarli niente meno che in calle Reconquista, non vi pare… ma non ho detto niente, a che scopo; le detto di no, che per il momento stavo bene così, con Jimmy (oggi avrei detto ”vivere l’esperienza sino in fondo”, ma a quei tempi non si usava), e che per qualunque cosa mi telefonasse, perché con i marinai, vedi, non si può mai sapere. Con i generali nemmeno, mi ricordo che ha detto, ed era un po’ triste. Poi abbiamo bevuto il latte ed è andata via. Come ricordo mi ha lasciato un fazzolettino che ho conservato per qualche anno: era ricamato in filo d’oro, ma poi qualcuno, non ho mai saputo chi , se l’è portato via (ne sono passati tanti, tanti). Sul fazzolettino c’era il nome “Evita”, e il disegno di una nave. Il ricordo più vivo? Be’, lei aveva le unghie lunghe tutte dipinte di verde – che a quei tempi era un colore molto insolito per le unghie – e se  l’è tagliate, se l’ è tagliate perché il pacco immenso del marinaio mi entrasse di più e di più, e lei intanto gli mordeva i capezzoli e godeva, era così che godeva di più.

2

Stavamo nella casa dove ci riunivamo per farci, e quel giorno il tizio che portava la droga si presenta con una donna sui 38 anni, bionda, con l’aria di essere parecchio rovinata, truccatissima, con uno chignon… Io le vedevo una faccia conosciuta e gli altri lo stesso, credo, ma ero un po’ intontito, ero con Jaime che si stava iniettando l’Instilava e gli tenevo il laccio, gliel’ho detto a voce bassa e lui mi ha risposto qualcosa come: “Piantala, scemo, certo che sì”. Con gli occhi rovesciati, sembrava farlo in modo impersonale. Ci siamo seduti tutti sul pavimento e lei ha cominciato a tirare fuori join su joint, il secco della droga le metteva le mani sulle tette e lei si contorceva come una vipera. Poi ha voluto che la bucassero nel collo, loro due avvinghiati sul pavimento e noialtri guardavamo. Jaime mi dava solo un bacio lungo, dolcissimo, in questo sì che era fantastico, perché tra il gay e la vecchia due ragazzotti sconvolti non ce l’hanno fatta più e se ne sono andati. Ma sulla porta c’erano gli sbirri e in cinque minuti erano tutti lì, vicecommissario compreso, ciao bello, siamo fritti, meno male che non c’erano minorenni perché Jaime aveva compiuto i diciotto la settimana prima, ma insomma, bello, avevamo chiesto il rossetto a Evita ed eravamo quasi tutti dipinti come un portone, tipo Alice Cooper. Gli sbirri sono entrati sparati, il commissario davanti e gli agenti dietro, il secco che aveva un borsone pieno di maria ha detto:”Un momento, sergente”, ma il pulotto gli ha dato uno spintone tremendo, e allora lei, che era l’unica donna, si è sistemata la bretella del prendisole e si è infuriata :”Pezzo di animale, non vorrai arrestare Evita?”. L’ufficiale pallido, i due agenti hanno tirato fuori la pistola, ma il commissario ha fatto segno che tornassero alla porta e se ne stessero tranquilli. ”No, che ascoltino, ascoltate tutti” ha detto la troia “adesso mi vuoi sbattere dentro, ma  quando 22 anni fa, sì, o 23, io in persona ti ho portato la bicicletta a casa per il bambino, e tu eri un povero coscritto della pula, coglione, e se non vuoi credermi, se vuoi fare quello che non si ricorda, ecco le prove” (E vai, è stato un delirio incredibile, al pula gli ha strappato la camicia all’altezza della spalla , scoprendo  una verruca rossa grande come un fragola, e si è messa a succhiarla, il commissario si contorceva come una puttana, e gli altri due che stavano di guardia alla porta all’inizio morivano dal ridere, ma poi hanno cominciato ad avere una gran fifa perché si erano resi conto che sì, la tizia era Evita). Io ne ho approfittato per succhiare il cazzo a Jaime davanti ai pulotti, che non sapevano cosa fare né dove mettersi: a un tratto il secco dello spaccio si è unito al circo, mettendosi a gridare nel corridoio: “Compagni, compagni, vogliono arrestare Evita”. La gente delle altre stanze ha cominciato ad affacciarsi per vederla, e una vecchia è uscita gridando:”Evita, Evita è scesa dal cielo”. Insomma i pulotti se la sono bevuta, hanno cacciato i due mocciosi che prima facevano tanto i superiori, e lei se n’è andata tranquillissima con il secco, dicendo alla gente che prima stava in cortile e poi sulla porta:”Grasitas, grasitas miei, Evita veglia su ogni cosa, Evita tornerà in questo quartiere e in tutti quartieri perché non facciano nulla ai suoi descamisados”. Bello mio, perfino i vecchi piangevano, alcuni volevano avvicinarsi, ma lei diceva: “Adesso devo andarmene, devo tornare in cielo”, diceva Evita. Noi siamo rimasti a fumare un altro po’ e quando stavamo già per andarcene, certe tizie ci hanno fatto entrare nelle loro stanze per farsi raccontare tutto  – erano le stesse che fino a un’ora prima ci avevano fatto una guerra incredibile -. Così Jaime e io abbiamo montato tutta una storia: lei diceva che bisognava drogarsi per via della troppa infelicità, e ciao bello, se ti veniva la depressione diventavi insopportabile. Certo, la gente non ci capiva, ma siccome non stavamo facendo lavoro di base, solo public relations per avere un posto meno negativo dove sballarci, non ci importava. Eravamo strafatti e le vecchie giù a singhiozzare, noi a dirgli che la piantassero con quella depressione post-anfeta, sì, insomma, Evita sarebbe tornata: era andata a fare rifornimento e stava per tornare, voleva regalare una dose di marijuana a ogni poveraccio perché tutti gli umili stessero superbene, e nessuno dovesse più beccarsi una crisi di astinenza, o un ceffone.

3.

Se ti dicessi dove l’ho vista la prima volta, ti mentirei. Non deve avermi fatto un’ impressione particolare, la secca era una secca tra le tante che venivano nell’appartamento di Viamonte, tutte amiche di un frocio giovane che le teneva lì, mezzo stordite, perché a noi poveracci ci si rizzasse in fretta. Il fatto è che tutti – e tutte –  sapevano dove trovarci, nello snack tra Indipendencia e Entre Rios. Là il frocetto Alex ci mandava, ogni volta che poteva, vecchi e vecchie che ci ricompensavano con un pacco di soldi, così, dopo, a lui facevamo il servizio gratis e non gli fregavamo il registratore o i vestiti. Quella me la ricordo per come si è avvicinata, in una Caravelle nera guidata da un frocetto biondo che mi ero già scopato una volta, al Rosemarie. Con le ragazze ci stavamo mettendo in mostra accanto al chiosco del fioraio, così mi ha chiamato da parte e ha detto: “Ho una tipa per te, è in macchina”. Una cosa solo per me. Sono salito.

“Mi chiamo Evita, e tu?”. “Chiche”, le ho risposto. “Siamo sicuri che non sei un travestito, bellezza. Allora, Evita come? “. “Eva Duarte” ha detto “e, per favore, non fare l’ insolente o scendi”. “Scendere? Scendere io?” le ho sussurrato all’orecchio mentre mi accarezzava il pacco. ”Lasciami toccare la passera, per vedere se è vero”. Avessi visto come si eccitava, quando le ho messo il dito dentro gli slip!

Così siamo andati al suo albergo; il frocetto ha voluto guardare mentre mi facevo la doccia e lei si sdraiava sul letto. Del resto, col pacco che ho, fanno la fila solo per vederlo. Lei era una puttana esperta, lo succhiava da dio. Con tre botte l’ho stesa e ho riservato la quarta al frocio, che a dire il vero se lo meritava. La tipa era una donna, donna. Aveva una voce bassa, sensuale,  come da annunciatrice. Mi ha chiesto di tornare, in caso di bisogno. Le ho risposto no, grazie. Nella stanza c’era come un odore di morta che non piaceva per niente. Mentre era distratta ho aperto un astuccio e le ho fregato una collana. Secondo me il frocio Francis se n’è accorto, ma non ha detto niente. Quando ho finito di farmelo ha detto, con la bocca che gocciolava sperma: ”Tutti i maschi del paese ti invidieranno, ragazzino; ti sei appena scopato Eva”. Non erano passati due giorni che torno a casa e mi ritrovo la vecchia che piange in cucina, tra due sbirri in borghese. ”Mascalzone – mi ha gridato – Come hai potuto rubare la collana di Eva?”

Il gioiello era sul tavolo. Non ero riuscito a smerciarlo perché, secondo il Sosa, valeva troppo per comprarlo e lui non voleva truffarmi. Quelli della pula non mi hanno chiesto niente: mi hanno riempito di botte, avvertendomi che se avessi raccontato della collana mi avrebbero fatto a pezzi. Noi ragazzi ce ne siamo andati da quell’angolo di strada e dall’appartamento delle checche. Per questi i nomi che ho dato qui sono tutti falsi.

Condividi