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Borges e Arlt: le parallele che si toccano / 1

redazione Ritratti, Roberto Arlt, Scrittura, Società, SUR

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Per approfondire la conoscenza di Roberto Arlt, proponiamo oggi la prima parte di un saggio dello scrittore argentino Fernando Sorrentino, che ringraziamo, sulle «vite parallele» di Arlt e Borges.

Borges e Arlt: le parallele che si toccano / 1
di Fernando Sorrentino
traduzione di Aldo Ammendola

1. Borges e Arlt: vite parallele

Si sono di frequente proposti paragoni e svolti raffronti fra i gruppi letterari denominati Florida e Boedo, che si formarono a Buenos Aires intorno agli anni Venti: con una tendenza, secondo gli studiosi, per espressioni «estetizzanti» e «sociali», rispettivamente (mi risulta difficile accettare l’incompatibilità delle categorie – se tali sono – «estetizzante» e «sociale»: credo che non vi possa essere nulla di «assolutamente» estetizzante né «assolutamente» sociale; credo – per esempio – che nulla impedisca che un libro sia molto ben strutturato e che, al tempo stesso, sia aborrito).

Anche accettando – di mala voglia – l’esistenza dei due gruppi1 con tali caratteristiche distintive, c’è un aspetto ancor più decisivo che invalida o rende irrilevante l’azione del gruppo: il fatto che le opere letterarie non sono mai state prodotte da una collettività ma sono state sempre il prodotto esclusivo della creazione individuale. L’opinione contraria – che vede le opere come risultato di un’azione del gruppo – sembra sorreggersi, piuttosto, su una specie di criterio di efficacia del collettivo; criterio magnificamente applicabile al calcio e ad altri sport di squadra, ma che non è in alcun modo ammissibile in ciò che è personale per eccellenza: la creazione artistica.

Quasi come un’addizionale estensione di quell’ansia classificatoria, si suole parlare anche di una specie di “vite parallele” dei due scrittori, che rappresenterebbero più significativamente l’uno o l’altro gruppo: Jorge Luis Borges e Roberto Arlt.

Anche gli scrittori più modesti hanno mille sfaccettature: a maggior ragione sarebbe assurdo spogliare, delle loro ricchezze plurime, scrittori di tali qualità come Borges e Arlt per ridurli, rispettivamente, ad un triste scheletro «estetizzante» e «sociale».

Certo è che Borges e Arlt si formarono, ciascuno per suo conto, un autonomo percorso letterario: percorsi propri, personalissimi, inimitabili e non trasferibili. E questi percorsi – questo sì, e solo in questo senso «vite parallele» – sembrano non essersi mai toccati.

Originario di una famiglia di immigrati di lingua non spagnola, Arlt fu argentino di prima generazione, incolto (nell’accezione accademica del termine), tumultuoso, audace, intuitivo, vitale, con un certo gusto per l’umorismo grossolano.

Borges, invece, apparteneva ad un’antica famiglia argentina, benestante e tradizionale, nella cui casa c’erano molti libri e nella quale si parlavano correttamente lo spagnolo e l’inglese; Borges era timido, miope, balbuziente, studioso, sottile, intelligentissimo ed infinitamente trasgressore e rivoluzionario (come mai potranno esserlo – e neppure immaginarlo – i trasgressori e rivoluzionari «professionisti», imbevuti di scenografie e caratterizzazioni teatrali, ripetitori di vecchie frasi e di formule cristallizzate).

I due scrittori sono pressoché coetanei: Borges nacque il 24 agosto 1899; Arlt il 2 aprile 1900; di modo che, se il caso lo avesse consentito, avrebbero potuto essere compagni di classe. Le loro vite differirono perché Arlt morì relativamente giovane, a quarantadue anni, il 26 luglio del 1942, mentre Borges morì molto anziano, ad ottantasei anni, il 14 giugno 1986.

2. Influenza di Borges su Arlt

Cronologicamente, la prima opera narrativa di Jorge Luis Borges è la Storia Universale dell’infamia (1935). Quasi venti anni più tardi, riferendosi a queste pagine, il suo autore le definì così: «Sono il gioco irresponsabile di un timido che non ebbe il coraggio di scrivere racconti e che si divertì a falsificare (talvolta senza alcuna giustificazione estetica) storie altrui».2

Ebbene, nel 1935 Roberto Arlt aveva pubblicato già da due anni la quasi totalità della sua opera narrativa: i romanzi Il giocattolo rabbioso, 1926 (trad. it. di Angiolina Zucconi, Editori Riuniti, Roma 1997); I sette pazzi, 1929 (Bompiani, Milano 1971);
I lanciafiamme (Bompiani, Milano 1974); El amor brujo, 1932 (L’amore stregone); i racconti di El jorobadito, 1933 (Il gobbetto).

Nel 1941 (lo stesso anno de Il giardino dei sentieri che si biforcano) Arlt pubblica Viaje terrible (Viaggio terribile) e El criador de gorilas (L’allevatore di gorilla).

Arlt morì, come abbiamo visto, a metà del 1942. Così, dunque, non ha potuto conoscere le maggiori opere narrative di Borges, racconti come Finzioni (1944), L’Aleph (1949), Il manoscritto di Brodie (1970) o Il libro di sabbia (1975).

Non sappiamo se Arlt riuscì a leggere la Storia universale dell’infamia e Il giardino dei sentieri che si biforcano. Malgrado ciò, dal momento che buona parte di quei racconti furono originariamente pubblicati sul quotidiano Crítica (dove lavorò anche Arlt), è ragionevole dedurne che questi abbia letto quei racconti.

Stando così le cose, ignoriamo anche quale giudizio ottennero da Arlt i lavori di Borges3. Ciò nonostante, oso supporre che li abbia rifiutati o disprezzati, in un certo senso perché «incomprensibili» per la concezione che egli aveva di ciò che doveva essere la letteratura. Beninteso, ciò non depone né contro né a favore di Arlt: la complicatissima trama delle accettazioni e dei rifiuti reciproci e potenzialmente intrecciati fra opere ed autori abbonda di affinità insospettate e di inimmaginabili aborrimenti.

In tal modo, la lettura di tutte le opere di Arlt ci rivela, con assoluta certezza, che l’influenza esercitata su di lui da Borges è assolutamente nulla.

3. Influenza di Arlt su Borges

Borges, che crebbe in «una biblioteca d’innumerevoli volumi inglesi»;4 Borges, che leggeva in inglese, in francese, in italiano, in portoghese, in tedesco e in latino; Borges, l’appassionato di giochi metafisici e di mitologie di malavitosi e di uomini di coltello, lesse queste storie di piccoli impiegati e di garzoni, di meschinità ed avarizie, di ire e di frustrazioni che, con una sintassi censurabile ed un lessico trasandato5, proponeva nei suoi libri un certo Roberto Arlt? Proprio quel Roberto Arlt che pronunciava lo spagnolo argentino con accento tedesco e che si era formato ad una letteratura di incerte traduzioni?

E, nel caso abbia lette quelle storie, avrà fatto cadere anche su di esse l’olimpico sdegno che si meritarono, per un motivo o per l’altro, le narrazioni di autori celebri, a quei tempi, come ad esempio Enrique Larreta, Manuel Gálvez, Horacio Quiroga o Roberto J. Payró?Vediamo.

Nel numero 8 (marzo 1925) della rivista Proa, guidata — all’epoca — da Ricardo Güiraldes, Jorge Luis Borges, Pablo Rojas Paz e Alfredo Brandán Caraffa, viene pubblicato «El Rengo» [«Lo zoppo», n.d.t.], racconto di Roberto Arlt che un anno dopo sarebbe entrato a formare parte di «Giuda Iscariota», quarto ed ultimo capitolo de Il giocattolo rabbioso. Non è facile immaginare una personalità letteraria forte come quella di Borges rassegnarsi a pubblicare un testo che non gli andasse a genio.

E, infatti, nel 1968 il medesimo episodio viene riproposto nella seconda edizione di El compadrito: su destino, sus barrios, su música [Il guapo: la sua storia, i suoi quartieri, la sua musica], antologia che Borges redige con la collaborazione di Silvina Bullrich. È evidente che Borges era stato colpito da quel racconto.

Da p. 131 a p. 134 delle mie Sette conversazioni con Borges6, questi enumera, con il suo migliore stile mordace, una serie di critiche ad Horacio Quiroga, fra cui:

«Lo stile di Quiroga mi sembra deplorevole»

Per una certa associazione d’idee, che ormai è quasi un inevitabile luogo comune, mi venne fatto di chiedergli:

«Allo stile un po’ trascurato di Quiroga potrebbe corrispondere quello di Roberto Arlt?»
«Si, eccetto che, dietro la trascuratezza di Roberto Arlt, sento una specie di forza. Di forza sgradevole, naturalmente, ma di forza. Credo che Il giocattolo rabbioso di Roberto Arlt sia superiore non soltanto a tutto quello che ha scritto Arlt, ma anche a tutto quello che ha scritto Quiroga».

Come si vede, malgrado non si conoscano altre dichiarazioni di Borges intorno ad Arlt, in queste parole – un po’ reticenti, in verità – possiamo avvertire un sentimento di ammirazione.

Quarantaquattro anni dopo la pubblicazione de Il giocattolo rabbioso (1926), Borges pubblica Il manoscritto di Brodie (1970). Nel «Prologo» nomina – che io sappia, per la prima, ultima ed unica volta in tutta la sua vasta opera – Roberto Arlt:

Con la stessa imparzialità non mi curo del Dizionario della Reale Accademia Spagnola, dont chaque edition fait regretter la precedente, secondo il malinconico giudizio di Paul Groussac, né dei gravosi dizionari di argentinismi. Tutti quelli di questa e quelli dell’altra parte del mare, propendono ad accentuare le differenze e a disintegrare la lingua. Ricordo a questo proposito che a Roberto Arlt venne rinfacciata la sua ignoranza dell’argot bonaerense [il «lunfardo» n.d.t.] e che egli ribatté: «Sono cresciuto nel quartiere di Villa Luro, fra gente povera e malviventi, e veramente non ho avuto il tempo di studiare queste cose».

Questo gergo, in realtà, è uno scherzo letterario inventato da commediografi popolari e da autori di tango e la vera gente del popolo lo ignora, se non è stata indottrinata dai dischi fonografici.7

Rievocato dall’argomento delle parlate regionali o speciali, o per quel che si voglia, certo è che, nello scrivere Il manoscritto di Brodie, il ricordo di Roberto Arlt tornava nella mente di Borges.

 

NOTE

1. Vediamo cosa dice Borges a questo riguardo: «[…] Fu un po’ uno scherzo, come la polemica tra Florida e Boedo, per esempio, che ora vedo presa sul serio, ma – sicuramente lo avrà già detto Marechal – non ci fu alcuna polemica né ci furono gruppi o altro. Tutto questo fu organizzato da Ernesto Palacio e Roberto Mariani. Pensarono che a Parigi c’erano cenacoli culturali, e che l’esistenza di due gruppi nemici, ostili, potesse servire a farci pubblicità. Così furono costituiti i due gruppi. A quei tempi io scrivevo poesie sulla periferia di Buenos Aires, sui sobborghi. Così domandai: “Quali sono i due gruppi?” “Florida e Boedo” mi fu detto. Io non avevo mai sentito parlare di calle Boedo, benché vivessi a Bulnes, che è la continuazione di Boedo. “Bene”, dissi “e che cosa rappresentano?” “Florida, il centro, e Boedo sarebbe la periferia”. “Bene”, dissi loro “iscrivetemi al gruppo di Boedo”. “Ormai è tardi: lei è già nel gruppo di Florida”. “Bene”, dissi “tutto sommato che importanza ha la topografia?” Prova ne è, per esempio, che uno scrittore come Arlt fece parte di entrambi i gruppi, e anche uno scrittore come Olivari. Noi non abbiamo mai preso sul serio queste cose. E, invece, ora vedo che sono state prese sul serio, e ci si fanno persino esami». F. Sorrentino, Sette conversazioni con Borges, trad. it. a cura di Lucio D’Arcangelo, Mondadori, Milano 1999, pp. 23-24.

2. Jorge Luis Borges, «Prologo all’edizione del 1954», in Storia universale dell’infamia, trad. it. di Mario Pasi, Il Saggiatore, Milano. Questo timido Borges narratore del 1935, nel 1941 sarà il prodigioso artefice de Il giardino dei sentieri che si biforcano, opera con cui entra nel mondo fantastico che potremmo denominare «più propriamente borgesiano» e che si sviluppa in tutte le sue creazioni successive.

3. Tuttavia si conosce un’intervista a Roberto Arlt, traboccante di opinioni, in generale sdegnose, su molti scrittori argentini: si trova nel libro Arlt y la crítica (1926-1990), di Omar Borré; questi, a sua volta, l’aveva rinvenuta nella rivista La Literatura Argentina dell’agosto 1929. I brani in cui Arlt si riferisce a Borges sono cinque.

 4. Jorge Luis Borges, «Prologo» in Evaristo Carriego, trad. it. di Vanna Brocca, Giulio Einaudi Editore, Torino.

 5. Si potrebbero riempire bastanti pagine con parole provenienti da libri tradotti ad alcuni degli spagnoli di Spagna, parole strettamente «letterarie», che non possono venire usate nella lingua parlata in Argentina e che si possono pronunciare solo con un sorriso che denota la coscienza che si ha della loro stravaganza. Eccone alcune: pelafustán, bigardón, chirigota, jaquetón, chuscada, granujería, barragana. D’altra parte, da questo punto di vista Arlt era una specie di ½«forestiero linguistico», che non riusciva a percepire il «sapore» e la «temperatura» di certe parole usuali, che egli, a quanto pare, considerava «scorrette», secondo quanto fa capire il fatto che egli le ponesse —sebbene non sempre— fra virgolette; per esempio, fra virgolette shofica [ruffiano], chorro [ladro], cana [polizia], etc., ma non lo faceva con amuré, bagayito, junado, etc. Altra cosa curiosa: metteva fra virgolette bení, [vieni], perché, senza dubbio, Arlt immaginava che, in spagnolo, le lettere bi e vu rappresentino due distinti fonemi, e che sia accademico pronunciare l’ultimo come labiodentale. Queste particolarità — e molte altre che non è il caso di esaminare qui — rafforzano il convincimento che il linguaggio di Arlt non rispondesse alle regole dello spagnolo medio di Buenos Aires della sua epoca.

6. Fernando Sorrentino, op. cit.

7. Jorge Luis Borges, Il manoscritto di Brodie, trad. it. di Livio Bacchi Wilcock, Mondadori, Milano 1971. Quasi con le stesse parole l’aveva detto in Sette conversazioni, cit.: «Ricordo un aneddoto abbastanza buono di Arlt, che ho conosciuto un po’, ma non molto. I fratelli González Tuñón accusavano Arlt di non conoscere il lunfardo. E allora Arlt rispose — ed è l’unica battuta scherzosa che gli ho sentito dire: chiaro che io ho parlato molto poco con lui — : “Bene”, disse “io sono cresciuto tra gente umile, a Villa Luro, tra malavitosi, e a dire il vero non ho avuto il tempo di studiare queste cose”, lasciando intendere che il lunfardo era un’invenzione dei farsaioli o dei parolieri dei tanghi. “Io sono cresciuto tra i malavitosi e non ho avuto il tempo di studiare queste cose”: e io che so qualcosa dei malavitosi, ho osservato — chiunque lo può osservare —, che quasi mai usano il lunfardo. O, non so: useranno una parola ogni tanto». Fernando Sorrentino, op. cit. p. 39.
Poiché in quel periodo abitavo relativamente vicino a Raúl González Tuñón, gli raccontai quest’aneddoto riferito da Borges, e González Tuñón gli negò qualsiasi credibilità: «In primo luogo, né Enrique né io abbiamo mai contestato ciò ad Arlt (cosa poteva importarcene?); in secondo luogo, Arlt era una persona molto ruvida, incapace di rispondere con tale sottigliezza. Questa dev’essere un’invenzione di Borges». Vediamo che, nel «Prologo» del Manoscritto di Brodie Borges non utilizza più un soggetto nominale: «a Roberto Arlt venne rinfacciata…».

 

Breve nota biografica su Fernando Sorrentino

Fernando Sorrentino (Buenos Aires, 1942), a partire dal 1969 ha pubblicato sei libri di racconti, un romanzo breve e numerosi libri per ragazzi. Nella saggistica, oltre al volume da cui è tratto il testo che abbiamo pubblicato (El forajido sentimental. Incursiones por los escritos de Jorge Luis Borges, Losada, Buenos Aires 2011), ha pubblicato fra l’altro due raccolte di interviste, entrambe tradotte in italiano: Sette conversazioni con Borges, a cura di Lucio D’Arcangelo, Mondadori, Milano 1999, e Sette conversazioni con Adolfo Bioy Casares, a cura di María José Flores Requejo, tra­duzione e note di Armando Francesconi e Laura Lisi, note alla traduzione di Laura Lisi, Edizioni Solfanelli, Pescara 2014.

 

 

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