È in libreria L’angelo dell’abisso, di Ernesto Sabato. Pubblichiamo parte di un saggio di Angela Dellepiane dedicato all’analisi del romanzo e comparso sulla Rivista Iberoamericana dell’Università di Pittsburgh.
traduzione di Giuseppe Trovato
Nei saggi di Sabato un tema di particolare rilievo è la frammentazione dell’esperienza umana tra il razionale e l’irrazionale ed entrambi gli aspetti vengono esplorati in maniera simultanea. Questa duplice percezione della realtà lo ha obbligato a dare vita a un mondo di finzione che rispecchiasse questa natura paradossale della vita. Sabato giunse quindi a Abaddón, el exterminador (1974), una “escatologia gnostica”, una ricerca mirante alla conoscenza della verità esistenziale dell’uomo e del suo destino in seno all’universo. Tuttavia, in questo suo ultimo romanzo (che nel suo paese ottenne il Gran Premio de Honor della SADE), il viaggio di iniziazione viene intrapreso dall’autore stesso, Sabato, come un normale personaggio del romanzo, che procede dall’anima dell’artista, come un eroe folle che convive con i propri doppelgängers allo scopo di entrare più profondamente in contatto con il grande mistero della vita. Sabato è pertanto diventato vittima sacrificale di se stesso per dimostrare che le sinistre profezie di Apocalisse 9, 11 sono sul punto di tradursi in realtà e che il Bell’Angelo Demoniaco, Abaddón, porrà fine alla nostra civiltà materialista e rinnoverà la specie umana mediante l’annichilimento. Sabato, al pari di Mircea Eliade, crede in un nuovo inizio per l’essere umano, un inizio che ripristinerà l’ordine divino.
Nel processo artistico di Sabato, ogni romanzo nuovo si è sviluppato sulla base di quello precedente, ricorrendo addirittura agli stessi personaggi, in una sorta di rapporto incestuoso. Quando Sabato fa la propria comparsa come personaggio in Abaddón, i suoi lettori si trasformano in testimoni diretti della sua lotta sanguinosa con la creazione letteraria. In realtà non dovrei parlare di Sabato-personaggio, in quanto Sabato vive nelle pagine di questo romanzo in modo plurale, presentandosi sia con il suo nome completo sia con la semplice iniziale S. Il primo sembrerebbe alludere allo scrittore coinvolto nelle peripezie del romanzo come uno dei suoi personaggi più deliranti, cosa che lo separa dall’uomo in carne e ossa. S. sembra rispondere all’io dal forte temperamento di Sabato, con i suoi fantasmi e le sue credenze parapsicologiche e la sua costante interazione con le sue personali ossessioni. In alcuni casi il personaggio viene chiamato “il Maestro”, con un riferimento evidente all’alchimista che mette in atto questi mutamenti della propria personalità.
Esiste, però, all’interno del romanzo, un altro personaggio curiosamente elusivo – R – dotato di una profonda personalità autoriale che compare in momenti nevralgici nel corso del romanzo. Questa Doppelgänger è alla base di tutto il romanzo benché sia poco menzionato e, quando avviene, in modo molto approssimativo. La critica ha indagato sul significato di questa lettera – Rojas (luogo di nascita di Sabato), rinascita, ricordo, riscoperta – tutte parole significative nell’ambito del romanzo e necessarie per la sua comprensione. Ciononostante, quello che Abaddón esplora più a fondo, rispetto ai saggi o agli altri due romanzi, non è solo la frammentazione della realtà presentata in termini di conflitto tra opposti (cfr. Heterodoxia), ma anche la necessità di fondere questi opposti in maniera armonica. Se nei romanzi precedenti i personaggi manifestavano chiaramente le consuete dualità sabatiane, in Abaddón ci troviamo a nostra volta – a tutti i livelli e in ogni pagina – dinanzi alla dicotomia notturno/diurno, linguaggio discorsivo vs. metaforico, di finzione (entrambi affrontati in Heterodoxia), tragedia vs. parodia e mondo reale vs. immaginario. Gli elementi negativi, tenebrosi, irrazionali offrono l’immagine di un Sabato-protagonista disorientato, di una creatura impotente che si scontra con un mondo assurdo, contraddittorio, disarticolato. Questa è la ragione degli sdoppiamenti, per esempio i tentativi di comprendere, da diverse angolature, la realtà confusa. Però accanto a questo troviamo le teorie, le analisi, le spiegazioni, vale a dire, tutto ciò che risulta positivo, chiaro, razionale.
Poiché il libro contiene anche conversazioni, interviste, confessioni, poesie (di Sabato e altri), note giornalistiche, frammenti di lettere, la cronaca lirica della morte di Che Guevara concepita – così come la marcia di Lavalle in Sopra eroi e tombe – come un contrappunto esemplificativo delle convinzioni dell’autore (in questo caso, lo stesso ideale dell’uomo nuovo che Che Guevara tentò di realizzare tramite la violenza)[1], Abaddón può essere, a giusto titolo, inteso come una Summa, ma con un nuovo sviluppo: in questo caso è l’autore stesso a essere messo in discussione, oggetto di satira, vessazione e perdono da parte dei suoi personaggi-torturatori. Addirittura gli viene permessa una dolorosa via crucis, con il che il libro risulta sia una catarsi sia un esorcismo dei fantasmi personali di Sabato. Il romanzo crea un’impressione artistica di disordine, soprattutto perché ognuno dei 114 “capoversi” della seconda parte comincia con frasi frammentate. Sembrano pertanto note riunite dal caso. Tuttavia, poco a poco il puzzle inizia a palesare una struttura rigorosa, meno evidente rispetto a quella degli altri romanzi, ma molto più complessa. Il lettore che conosce a fondo la produzione letteraria di Sabato è portato a riconoscere una tecnica apparsa, all’inizio timidamente, in Uno y el universo, tecnica a cui lo scrittore tornò a ricorrere negli altri due testi saggistici realizzati dopo il primo. Il sistema di vasi comunicanti nell’opera di Sabato si manifesta quindi, non solo tra saggi e romanzi, ma accade altresì che nei romanzi il sistema adottato in un romanzo sia presente in quello successivo, sebbene secondo modalità assai più complesse e arricchite sotto il profilo dei temi, delle idee e della gamma di personaggi presentati.
Ciò che appare curioso, tenendo in considerazione la natura apocalittica dell’ultimo romanzo di Sabato – Abaddón –, è il fatto che, ora che Sabato ha smesso di scrivere a causa di problemi alla vista, gli sia toccato essere l’artefice di uno dei testi più tremendi della letteratura del suo paese e del mondo. Mi riferisco a Nunca más, il rapporto della commissione da lui presieduta – su richiesta del presidente Alfonsín – che aveva l’obiettivo di indagare sulla tragedia dei “desaparecidos” argentini. È come se l’apocalisse dell’Angelo dell’Abisso del suo ultimo romanzo avesse devastato il suo paese, come se avesse sterminato gli eroi che Sabato aveva messo in campo in Sopra eroi e tombe e avesse seminato di tombe senza nome ogni angolo di quella che sembrava essere la terra promessa. Solo il potente intelletto e la profonda passione che contraddistinguono questo scrittore, sono stati in grado di sostenerlo in un compito in cui, come i suoi personaggi Fernando o Sabato, ha dovuto fare i conti con le più ignobili brutture morali dell’essere umano.
Sabato si è dedicato anima e corpo a tutti i suoi testi, romanzi e saggi. Si tratta di pagine antidogmatiche, testimoniali, di denuncia e attualità in cui confluiscono in maniera armoniosa un’immaginazione straripante e torturata, l’indagine conoscitiva e speculativa, una sensibilità estrema e una passione “viscerale” nell’affrontare i vari temi. L’opera letteraria di Sabato ha comportato una rivitalizzazione di entrambi i generi attraverso i quali le sue idee hanno preso corpo. E quando, dopo avere letto l’opera, si pensa alla vita di chi l’ha realizzata, quando questa vita diventa unica in un paese che ha affrontato la più grave crisi morale della sua storia; ebbene, questo si può capire quando si legge Sabato: uno “si aspetterebbe di trovarsi con un autore e invece si ritrova con un uomo”, come saggiamente affermò, molto tempo fa, Pascal.
[1] Nel 1970 la casa editrice Losada di Buenos Aires pubblicò due volumi con le opere complete che Sábato aveva scritto fino a quel momento. Nel volume dedicato ai saggi (Obras. Ensayos) ci sono due testi direttamente legati a Abaddón: mi riferisco a “Omaggio a Ernesto Guevara” e “Una teoria sulla predizione del futuro”. Nel primo caso, il lettore, sebbene abbia poche informazioni su Sábato, saprà della sua adesione al comunismo in gioventù e del successivo abbandono di questa ideologia. Potrà sembrargli pertanto paradossale un omaggio al quasi mitico rivoluzionario. Tuttavia, non vi è alcuna contraddizione, poiché ciò che unisce questi due uomini è un “romanticismo anarchico”, una specie di idealismo utopico che comporta in entrambi i casi una ribellione contro dogmi inibitori e la scelta, che uno fa a favore della lotta armata, l’altro per la testimonianza e la scelta di denunciare fatta dall’esercito della parola. Analogamente, l’altro saggio – “Una teoria sulla predizione del futuro” – si spiega e prende forma nelle pagine del romanzo e può essere usato come strumento ermeneutico al momento di decifrarne il significato.
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