Pubblichiamo oggi la seconda parte del saggio di Fernando Sorrentino sulle «vite parallele» di Borges e Arlt. In particolare, si analizza il racconto di Borges «L’indegno», confrontato con l’ultimo capitolo di Il giocattolo rabbioso di Arlt.
Borges e Arlt: le parallele che si toccano / 2
di Fernando Sorrentino
traduzione di Aldo Ammendola
4. Tema del delatore e della vittima
Sino a tal punto tornava alla mente del già classico e quieto Borges settuagenario il giovane e tumultuoso Arlt di quarantaquattro anni innanzi che, fra le pagine da p. 378 a p. 384 del Manoscritto di Brodie [in Tutte le opere, I Meridiani, Mondadori, Milano 1997, n.d.t.] vi è «L’indegno», racconto magistrale nel quale Borges realizza una rielaborazione o ri-creazione dell’episodio centrale di «Giuda Iscariota», il quarto ed ultimo capitolo de Il giocattolo rabbioso.
Il giocattolo rabbioso deve essere stata, per Borges, un’opera estremamente importante. Non si può spiegare diversamente che, senza averla riletta negli anni immediatamente precedenti la redazione de «L’indegno», e senza neppure avere lo stimolo della presenza viva di Arlt né di persone a lui vicine, Borges abbia deciso – al culmine della sua fama e nel pieno proliferare delle traduzioni e riconoscimenti – di scrivere la stessa storia,8 quasi quarantacinque anni più tardi.
Qui di seguito esamineremo alcune fra le somiglianze e differenze fra il «Giuda Iscariota» di Arlt e «L’indegno» di Borges.
In entrambi i testi il tema è il medesimo: la delazione che una persona, poco o per nulla introdotta alle arti del delitto, commette a danno di colui che lo ha iniziato ad esse.
a. I narratori
I rispettivi delatori (Silvio Astier, in «Giuda Iscariota»; Santiago Fischbein, ne «L’indegno») raccontano la storia in prima persona. Ciò avviene con alcune importanti differenze:
1. Astier, uomo giovane ma già maturo, racconta un evento appena accaduto e che corrisponde, quindi, alla sua età giovane e matura. Vale a dire che la visione del narratore coincide con la condizione del protagonista: un adulto racconta ciò che è accaduto ad un adulto. Questa immediatezza si traduce in un racconto molto vivido, emotivo e nervoso;
2. Fischbein,9 uomo anziano, racconta un episodio occorsogli molti anni prima, quando era quasi un bambino. Vale a dire che la visione del narratore non coincide con la condizione del protagonista. Questa lontananza temporale porta ad una narrazione molto pacata, i cui dettagli ed emozioni si stanno attenuando o semplificando per l’oblio.
D’altra parte, poiché Borges rifiuta d’immergersi emotivamente nella sua narrazione, ricorre – per distaccarsi alquanto – ad un racconto-cornice: sicché non è Borges che racconta la storia ma Fischbein9 che la racconta a Borges. Questi, con obiettività indifferente, si limita a dire: «Un pomeriggio che eravamo soli nella libreria mi confidò un episodio della sua vita, che oggi posso raccontare. Muterò, com’è prevedibile, qualche particolare».
b. Tempo
Senza ombra di dubbio, possiamo porre il racconto di Arlt in un’epoca immediatamente precedente la sua redazione, diciamo nel 1925.
Il Fischbein che racconta la storia di un episodio della sua fanciullezza dice: «È accaduto tanti anni fa che adesso mi appare estraneo».
Noi non sappiamo quando dice queste parole, né quanti anni siano passati da quest’episodio, né quanti anni abbia Fischbein, quando racconta, ma sappiamo quanti ne aveva all’epoca di quell’episodio: quindici.10 Però, si ha la sensazione, da come dialogano Borges e Fischbein, che abbiano all’incirca la stessa età e da ciò se ne può desumere che Fischbein aveva quindici anni intorno al 1915. Così, dunque, vediamo che entrambe le storie avvengono, più o meno, nella medesima epoca: fra il 1915 e il 1925.
Inoltre, abbiamo molti indizi e fra gli altri quelli della famosa «banda del cantone»:
Arlt: «Stavano sempre all’angolo tra Méndez de Andés e Bella Vista, appoggiati alla vetrina del negozio di uno spagnolo […]. Stavano sempre lì, a prendere il sole ed a rompere le scatole a quelli che passavano».
Borges: «Il nostro quartiere non era litigioso come lo furono, a quanto dicono, quello di Corrales e il Basso, però non c’era spaccio di merce varia e liquori che non avesse la sua banda di guappi».
c. Luogo
La geografia di Arlt è più esplicita di quella di Borges e si prodiga ad enumerare nomi di strade e numeri civici.
Antonio, il Rengo (il tradito), vive in Via Condarco 1375. La consultazione di una pianta attuale di Buenos Aires mi indica che questo fronte dell’isolato è limitato dalle strade chiamate Galicia e Tres Arroyos. La Via Condarco, più in particolare, a quest’altezza costituisce il limite municipale fra il quartiere Villa Santa Rita e quello di Villa General Mitre; per essere sita dal lato dei numeri dispari, la casa del Rengo apparteneva a quest’ultimo quartiere.
Silvio Astier, il Rubio [il Biondo, n.d. t.] (il traditore), vive in via Caracas 824, fra Páez e Canalejas.
L’ingegner Arsenio Vitri (la vittima del furto sventato) vive in Via Bogotá, «un isolato prima di Nazca»: e cioè fra Condarco e Terrada.
Se si ammette che il Viale Rivadavia divide la città di Buenos Aires in nord e sud, tutta l’azione dell’episodio di Arlt si svolge, anche se non è specificato, nella zona nord del quartiere di Flores, dove – d’altra parte – vivono Astier e Vitri: «I marciapiedi erano ombreggiati da frondosi fogliami di acacia e ligustri. La strada era tranquilla, romanticamente borghese, con cancelli dipinti davanti ai giardini, fontanelle addormentate fra gli arbusti e alcune statue di gesso in rovina».
In Borges le precisazioni dei nomi non sono altrettanto abbondanti.
Anche se non viene nominato, il quartiere dove si svolge l’episodio, è Villa Crespo, all’epoca rione umile come pochi e, per antonomasia, di immigrati poverissimi11.
La casa di Fischbein: «A pochi isolati c’era il Maldonado, e poi terreni abbandonati [«los baldíos», n.d.t.]».
Il tutto è perfettamente verosimile, perché Villa Crespo è un quartiere abitato da moltissimi ebrei.
Il letto del Maldonado fu coperto – credo – nel 1939 e ora ci passa su il Viale Juan B. Justo; dopo il corso d’acqua c’era il tracciato di quella che era la Ferrovia Pacífico. Fischbein viveva nella zona compresa fra il rigagnolo e il centro della città; malgrado tutto, quella zona non era tanto aspra come quell’altra che iniziava dopo il Maldonado («los baldíos»).
Non ci viene detto dove vivesse Francisco Ferrari, colui che sarebbe stato tradito, però sappiamo dove «se la faceva» (espressione certamente molto colorita per alludere ad una sorta di quartier generale o ad una zona d’influenza): «Ferrari “se la faceva” nella zona dei magazzini di Triunvirato e Thames».12
Si raffronti la strada «romanticamente borghese» dove si doveva realizzare il furto in Arlt, con questo paesaggio semirurale di Borges: «Stava già facendo sera quando attraversai il ruscello e la ferrovia. Ricordo alcune case sparse, un saliceto e dei terreni vuoti. La fabbrica era nuova ma aveva un’aria solitaria e fatiscente; il suo colore rosso, nella memoria, mi si confonde adesso con il tramonto. Era circondata da una cancellata. Oltre all’ingresso principale, c’erano due porte di dietro, che guardavano verso sud e che immettevano direttamente nella stanza».
Fischbein finisce per attraversare «il ruscello e la ferrovia»; quello, in altri termini, è il suburbio del suburbio in cui viveva: è una zona sconosciuta e, per ciò stesso, che intimorisce.
Nel caso di Silvio Astier, questo «giocattolo rabbioso» sempre sradicato, anche la «Via Bogotá», abitata da gente soddisfatta ed invidiata, è sentita come una cosa estranea: «Un pianoforte suonava nella quiete del crepuscolo, e io mi sentii sospeso ai suoni come una goccia di rugiada sulla curva di uno stelo. Da un roseto invisibile arrivò una tale folata di profumo che, inebriato, vacillai sulle ginocchia […]».
Fischbein ed Astier vanno ad esplorare il terreno nemico alla medesima ora: «Stava già facendo sera» (Borges); «nella quiete del crepuscolo» (Arlt).
d. Relazione fra traditore e tradito
In entrambi i casi i delatori sono più giovani di coloro che vengono traditi e in entrambi i casi si considerano intellettualmente superiori:
Arlt/Astier utilizza aggettivi che sviliscono: «lo scioperato», «un vagabondo»;
Borges/Fischbein: «Adesso vedo in Ferrari un povero ragazzo, illuso e tradito; per me, allora, era un dio».
Malgrado ciò, c’è una grande differenza fra i successivi commenti dell’uno e dell’altro. Infatti, Astier vede sin dall’inizio il Rengo come un personaggio pittoresco e, se si vuole, simpatico, ma al tempo stesso inferiore a lui. Il suo lavoro è umile (è il guardiano dei carri del mercato di Flores) e le sue ribalderie lo accostano ai personaggi picareschi spagnoli. Più in particolare, l’aspetto fisico e le abitudini da persona rozza e volgare del Rengo sono molto distanti da quelli che dovrebbe avere un eroe, ma anzi ci vengono presentati come quelli di un patetico antieroe: «camminava piano, zoppicando leggermente», «mettendo in mostra […] i denti storti», «ammiccando di traverso», «quella faccia triangolare arrossata dal sole, di una sfrontatezza bronzea». «Era un vagabondo cui piaceva palpare il culo alle donne nella calca», «amava avere delle amiche, scambiare saluti con le vicine, immergersi in quell’atmosfera scherzosa e grossolana che immediatamente si stabilisce tra commercianti ordinari e comari bisunte», etc.
Arlt tende a caratterizzare il Rengo un po’ per volta, aggiungendo nuovi particolari. Né dimentica di descrivere i suoi vestiti, a mezza via fra il miserabile ed il ridicolo: «Indossava sempre lo stesso vestito, pantaloni di flanella verde e un giacchetto da torero. Un fazzoletto rosso gli ornava il collo lasciato libero dal corpetto nero. Un bisunto cappello a grandi falde gli ombreggiava la fronte e invece di normali scarpe di cuoio calzava scarpe di tela viola decorate da arabeschi rosa».
Al contrario, come abbiamo visto, Ferrari era «un dio», per il Fischbein quindicenne. Compariamo l’aspetto risibile del Rengo con il vigoroso aspetto virile di Francisco Ferrari, delineato con due o tre tratti sobri, che corrispondono, lo dico di sfuggita, all’austerità del personaggio ed anche al guapo archetipico della mitologia di Buenos Aires, tante volte materializzatosi in drammi e film:13 «Era bruno, piuttosto alto, ben piantato e di bell’aspetto alla maniera di quei tempi. Girava sempre vestito di nero».
e. Proposta del reato
In nessuna delle due trame vi è la verosimile necessità di coinvolgere nel reato chi, poi, sarà il delatore. È chiaro che senza questa piccola forzatura iniziale, gli autori non avrebbero avuto il materiale per scrivere le loro storie.
Nel caso di Arlt, la cosa è ancor meno giustificabile. El Rengo ha previsto ogni cosa e le circostanze sono tutte sotto il suo controllo: non ha alcuna necessità di coinvolgere nel reato e nella conseguente spartizione del bottino il Rubio; e nonostante ciò, lo fa. E questi preparativi e i suoi dialoghi occupano una buona parte del racconto (pp. 136-141): a questo punto, il Rubio conosce tutti i particolari:
«Mi raddrizzai bruscamente sulla sedia fingendo di essere in preda all’entusiasmo.
— Congratulazioni, Rengo, è un piano magnifico.
— Ti sembra, Rubio?
— Neanche un maestro sarebbe stato capace di farne uno come il tuo. Niente grimaldello. Tutto pulito».
In Borges il piano viene impostato in modo più sintetico. Fischbein non viene informato in dettaglio delle modalità del furto e Ferrari non lo invita a parteciparvi sino a che gli impartisce, piuttosto, una sorta di ordine: «Ferrari decise che il colpo era per l’altro venerdì. A me toccava fare il palo».
Altro punto in comune fra i racconti è il richiamo alla fiducia o la richiesta di una conferma di essa. A questo riguardo, però, c’è una sottile divergenza fra i due autori. In Arlt, colui che verrà tradito chiede la fedeltà del traditore:
«Dimmi, Rubio, mi posso fidare di te?
— E mi hai portato qui per chiedermelo?
— Ma posso o non posso?
— Senti, Rengo, tu ti fidi di me?
— Si… certo… ma dimmi, si può parlare con te?
— Ma certo».
In Borges, Ferrari dà per scontata la fedeltà di Fischbein, che in questo caso è lui a chiedere una parola di gratificazione del capo:
«Rimasti noi due soli per la strada, domandai a Ferrari:
— Lei ha fiducia in me?
— Sì —, mi rispose. — So che ti comporterai da uomo».
Si noti, infine, la rilevante somiglianza di una parte dei dialoghi in entrambi:
Arlt:
«Senti, Rengo, tu ti fidi di me?
— Si… certo…»
Borges:
«Lei ha fiducia in me?
— Sì —, mi rispose».
Qui si presenta una nuova divergenza. Il Rengo ha qualche esitazione:
«… ma dimmi, si può parlare con te?»
Francisco Ferrari non può neppure riuscire ad immaginare che qualcuno osi tradirlo:
«So che ti comporterai da uomo».
f. La delazione
Il Rubio si presenta dinanzi all’ingegner Arsenio Vitri, che dovrebbe essere la vittima, e Fischbein davanti alla polizia. Entrambi chiedono riservatezza:
«Abbassando la voce, gli risposi:
— Mi scusi, signore, prima di tutto, siamo soli?
Gli dissi che ero venuto a parlargli di una cosa in via confidenziale».
Entrambi i traditori vengono trattati con disprezzo:
Vitri dice al Rubio: «Sì, perché ha tradito il suo compagno? E per di più senza motivo? non si vergogna, alla sua età, ad avere così poca dignità?»
Uno dei due poliziotti chiede, non senza un tono canzonatorio, a Fischbein: «Sei venuto a fare questa denuncia perché ti consideri un buon cittadino?»
g. Conseguenze del tradimento
Arlt si trattiene abbastanza sugli eventi dell’arresto del Rengo da parte della polizia. Tutte queste scene sono sordide e mancano – diciamolo – di «grandezza epica», il che è anche coerente con la personalità del Rengo e con la meschinità del tradimento commesso.
Il Rengo, piccolo delinquente, «viveva in una soffitta di legno, in uno stabile di gente modesta».
La padrona di casa, una specie di strega medioevale: «Era una vecchietta sfrontata e avara; si avvolgeva la testa in un fazzoletto nero che teneva annodato per le estremità sotto il mento. Sulla fronte le cadevano ciocche di capelli bianchi, e quando parlava la sua mandibola si muoveva a una velocità incredibile».
L’arresto del Rengo, in cui questi sembra quasi un topo inseguito o un insetto pernicioso, costituisce una scena penosa:
«Il figlio della vecchietta, macellaio di professione, messo al corrente dalla madre di quello che stava accadendo, prese il suo bastone e si precipitò all’inseguimento del Rengo. Lo raggiunse in trenta passi. Il Rengo correva trascinando la gamba inutile, quando all’improvviso il bastone gli cadde su un braccio, girò la testa e il palo gli piombò sonoro sul cranio.
Stordito dal colpo, cercò ancora di difendersi con una mano, ma un poliziotto che lo aveva raggiunto gli fece lo sgambetto, un’altra bastonata lo raggiunse sulla spalla, e lo fece crollare. Quando gli misero le manette, il Rengo emise un urlo di dolore: “Ahi, mamma!”, poi un altro colpo lo fece tacere, e fu visto sparire nella via oscura, i polsi bloccati dalle catene che gli agenti, camminandogli alle costole, torcevano con rabbia».
Borges, fedele alla sua abituale sinteticità, racconta così la tragica fine di Ferrari:
«Ferrari aveva scassinato la porta; le guardie entrarono senza far rumore. Mi stordirono quattro spari. Io pensai che là dentro, al buio, si stavano ammazzando. In quel momento vidi uscire la polizia con i ragazzi ammanettati. Poi uscirono due guardie, trascinando Francisco Ferrari e don Eliseo Amaro. Li avevano crivellati di colpi».
Il tradimento del Rubio provoca l’arresto, fra bastonate e viltà, del Rengo, «l’uomo più nobile che abbia mai conosciuto».
Il tradimento di Fischbein provoca la morte, a rivoltellate, di Ferrari, «un dio», «l’audace, il forte».
Astier giustifica il proprio atto così: «Sarò bello come Giuda Iscariota. Per tutta la vita porterò una pena… una pena…»
Fischbein lo giustifica così: «Fatto sta che Ferrari, l’audace, il forte, provò amicizia per me, lo spregevole. Io sentii che si era sbagliato e che non ero degno della sua amicizia».
Nella giustificazione dell’uno e dell’altro compaiono i titoli dei due racconti, ora esplicitamente («Giuda Iscariota»), ora per parafrasi («non ero degno»).
5. Conclusioni
A dire il vero, mi sono limitato a segnalare solo alcune delle molte e straordinarie coincidenze e divergenze che intercorrono fra i due racconti. Il limite non me lo impone la mia tesi – nella quale, peraltro, c’è ancora molto terreno da arare – bensì la lunghezza imposta ad un lavoro come il presente.
Mi sono proposto di dimostrare – e forse ci sono riuscito – che l’opera di Arlt e, più in particolare, Il giocattolo rabbioso, o, ancor più in dettaglio, «Giuda Iscariota», fu una lettura importante per Borges, al punto da ricordarla — a volte per esteso, con precise somiglianze — ben quarantaquattro anni più tardi.
A p. 383 de «L’indegno» leggiamo: «Negli uffici della Questura mi fecero aspettare, ma alla fine uno, degli impiegati, un certo Eald o Alt, mi ricevette».
Per conforto, vale la pena di trascrivere queste perspicaci righe di Ricardo Piglia:
«Orbene, disse Renzi, il poliziotto cui il protagonista del racconto di Borges va a parlare per denunciare il suo amico si chiama Alt. Conosci meglio di me, senza dubbio, il significato che hanno i nomi nei testi di Borges, perciò nessuno mi convincerà che quel cognome, con quella R mancante, lettera iniziale, io direi, di un altro nome, con quella R mancante appunto, vi compaia per caso».14
Questo nome Alt, privo della R di Roberto, è uno dei segnali che Borges ci dà dell’affinità fra i due racconti. Forse vi è un altro segnale: se risaliamo il corso del mitico Maldonado che, a Villa Crespo, corre poco lontano dalla lugubre fabbrica dove Francisco Ferrari fu crivellato di colpi dalla polizia a causa del tradimento di Santiago Fischbein, passeremo, nel quartiere di Villa General Mitre, per il cantone della lugubre casa nella quale «el Rengo Antonio» fu acciuffato dalla polizia per il tradimento di Silvio Astier.
NOTE
8. Nel quarto capitolo del romanzo Respirazione artificiale, Ricardo Piglia, approfittando della cornice di una conversazione fra amici, inserisce una serie di riflessioni molto intelligenti — sebbene non sempre fondate né facilmente accettabili — in merito a vari aspetti della letteratura argentina. Per i nostri argomenti, interessa citare queste righe: «Del resto, non credo che Borges si sia mai preso il disturbo di leggerlo, disse Marconi.
Di leggere Arlt? disse Renzi, non credere. Non credere, disse. Guarda, ti ricorderai di certo quel racconto del Informe de Brodie intitolato «El indigno». Rileggilo, per favore, e vedrai. È El juguete rabioso. Voglio dire, disse Renzi, una trasposizione tipicamente borgesiana, ecco, una miniatura del tema di El juguete rabioso».
Ricardo Piglia, Respirazione artificiale, trad. it. di Gianni Guadalupi, Serra e Riva Editori, Milano 1990 (riedito da Sur nel 2012).
In realtà, «El indigno» non è una trasposizione del tema di El juguete rabioso. Il tema di El juguete rabioso è, esattamente, il giocattolo rabbioso, vale a dire, la logorante concatenazione d’insuccessi e frustrazioni che subisce il protagonista. «El indigno», invece, è solo la rielaborazione di un preciso episodio che forma parte di un’unità maggiore (il capitolo «Judas Iscariote»), che, a sua volta, forma parte di un’altra unità maggiore (il romanzo El juguete rabioso).
9. Dopo aver letto una sezione della rivista Todo es Historia, credo che il libraio don Saúl Helman sia l’uomo della vita reale cui s’ispirò Borges per ritrarre don Santiago Fischbein. Compariamo i testi a) e b):
a) «Così, ho creduto per anni che a una certa altezza di via Talcahuanomi aspettasse la Librería Buenos Aires; una mattina, mi accorsi che al suo posto c’era un negozio di antiquariato e mi dissero che Santiago Fischbein, il proprietario della libreria, era morto» (Borges, «L’indegno»).
b) «Il libraio Saúl Helman. Che peccato che non sia più con noi Domingo Buonocore per commentare la simpatica personalità del quasi incredibile libraio Saúl Helman!
La sua libreria — la Librería Ameghino — era sita in Buenos Aires, al numero 400 della via Talcahuano, quasi all’altezza di Corrientes. All’ingresso faceva mostra di sè un ritratto del proprietario dell’azienda.
Helman aveva reperito alcuni volumi rari per il presidente Justo ed era amico di Jorge Luis Borges» (León Benarós, «El desván de Clío», in Todo es Historia, Buenos Aires, nº 378, gennaio 1999).
10. «Da quel pomeriggio Francisco Ferrari fu l’eroe che i miei quindici anni vagheggiavano».
11. Non a caso Alberto Vacarezza ambientò a Villa Crespo la sua celeberrima farsa El conventillo de la Paloma [Il falansterio di Colomba] (1929), nella quale convivevano, in caricature linguistiche, spagnoli, italiani e «arabi», oltre i guappi e piccoli guappi argentini.
12. Poiché è cambiato il nome della prima strada, Triunvirato y Thames equivale oggi a Corrientes y Thames, nel pieno cuore [del quartiere, n.d.t.] di Villa Crespo. Quest’angolo di strada sembra sia stato particolarmente gradito a Borges, dal momento che lo menziona anche nella milonga «Il fantoccio» (Per le sei corde, trad. it. a cura di Domenico Porzio e Hado Lyria, in Opere complete, 2 vol., I Meridiani, Mondadori, Milano 1998, p. 231): «Uno sparo lo abbatté / tra Thames e Triunvirato; / traslocò nel quartiere vicino, / una fossa a Villa del Ñato». Vale a dire al relativamente vicino Cimitero del Oeste, nel quartiere della Chacarita.
13. Per esempio, l’opera teatrale Un guapo del 900 (1940),di Samuel Eichelbaum, e le sue due versioni cinematografiche, dirette da Leopoldo Torre Nilsson (1960) e da Lautaro Murúa (1971), con i loro rispettivi guapos: Alfredo Alcón e Jorge Salcedo. Inoltre, in precedenza (1952) ci fu una versione incompiuta e, apparentemente, persa per sempre, diretta da Lucas Demare, con Pedro Maratea nel ruolo di protagonista.
14. Ricardo Piglia, Respirazione artificiale, cit. (si veda la nota 8). Sia detto di sfuggita, nella medesima pagina leggiamo: «È come dire che Borges ha chiamato casualmente Beatriz Viterbo la ragazza dell’Aleph, o che in quel racconto Daneri non è una contrazione di Dante Alighieri». All’identica conclusione di Piglia era pervenuto il saggista italiano Roberto Paoli (Borges. Percorsi di significato, Casa Editrice D’Anna, Messina-Firenze 1977, p. 26).
N.B.: le pagine delle opere di Jorge Luis Borges indicate fanno riferimento ai due volumi della raccolta Tutte le opere (si veda la nota 12).
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