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L’angelo dell’abisso

redazione Ernesto Sabato, Recensioni, SUR

Pubblichiamo oggi una recensione di Stefano Gallerani all’Angelo dell’abisso di Ernesto Sabato uscita su «Alias», ringraziando l’autore e la testata.

di Stefano Gallerani

Dopo la riproposta nel 2009 di Sopra eroi e tombe (presentato da Einaudi non nella stesura che l’autore aveva dedicato ai lettori europei per il tramite di Feltrinelli, ma in quella argentina del 1965) e Prima della fine (una raccolta di scritti autobiografici che ha aperto, nell’ottobre del 2011, il cantiere latinoamericano delle edizioni Sur), adesso tocca al terzo e ultimo romanzo di Ernesto Sabato, L’angelo dell’abisso (sempre da Sur, pp. 524, euro 17), già pubblicato da Rizzoli nel 1977 in un volume della Scala oggi pressoché introvabile. Allora, la versione italiana, firmata da Paolo Vita-Finzi, era esemplata sulla prima edizione del 1974; l’odierna, curata da Raul Schenardi, è invece condotta su quella definitiva del 1990, cui Sabato aveva lavorato sin dalla prima uscita di Abaddón el exterminador (così in originale, per i tipi della spagnola Seix Barral).

Con questo titolo, lo scrittore bairense di origini arbëreshë (la madre veniva dalla comunità di San Martino di Finita, in Calabria) completava il disegno inaugurato nel 1948 con Il tunnel (portato a Gallimard da Albert Camus, rispetto al cui Straniero il libro contraeva più di un semplice debito letterario) e proseguito tredici anni dopo proprio con Sobre héroes y tumbas. Appena tre romanzi per un narratore morto all’alba del suo centesimo compleanno (nell’aprile di due anni fa) ma che in prospettiva rappresentano una delle esperienze più incisive e significative della letteratura novecentesca di lingua spagnola.

Riprendendo personaggi e temi delle stazioni precedenti, mentre si accinge a scrivere L’angelo Sabato sembra attenersi fedelmente a una prescrizione già formulata tra le pagine de Lo scrittore e i suoi fantasmi (1963): «Il pensiero puro di uno scrittore è il suo lato diurno, mentre le sue finzioni partecipano del mondo mostruoso delle tenebre. L’anima, tra la carne e lo spirito, ambigua ed angosciata, trascinata spesso dagli sconvolgimenti del corpo che aspira all’eternità dello spirito puro, che oscilla sempre tra il relativo e l’assoluto, l’anima è per antonomasia il dominio della finzione. Tra l’anima e lo spirito passano le stesse differenze che esistono tra la vita e il sacrificio della vita, tra il peccato e la virtù; tra il diabolico e il divino. Ed è l’abisso che separa il romanziere dal filosofo». In questa vertigine, oscillante tra questi poli, Sabato allestisce un’impalcatura di frammenti e vicende al centro delle quali non si esime dal mettere se stesso, personaggio tra i personaggi, confutando le restrizioni dell’immaginario e forzando i limiti di un supposto realismo.

Riscattata dal ruolo di mero fondale, la storia argentina degli anni settanta si coniuga con una costante interrogazione sul negativo insito nell’uomo prima ancora che nella società. Come ha scritto Mario Luzi nella recensione riportata in appendice a questa nuova pubblicazione del romanzo, «Ernesto Sabato è infatti il personaggio più insistente della frenetica kermesse: un personaggio che brucia la distanza di sicurezza e cioè quell’intervallo che l’arte lascia sempre tra il dato e la sua trasformazione, e si presenta e si espone nelle sue inquietudini e impazienze quasi che i tempi della fictio narrativa fossero finiti e non esistesse altro modo possibile d’espressione, con l’Apocalisse alle porte, che un’autotrascrizione». E se in questa sfida non è dato riscontrare la perfetta circolarità di Sopra eroi e tombe o l’esatta percezione dello spazio e del tempo esistenziali che connota la claustrofobica confessione di Juan Pablo Castel (il pittore protagonista del Tunnel) è solo perché, specchiandosi nella dimensione più intima e, al tempo stesso, pubblica della propria coscienza di artista, Sabato riconosce l’impossibilità di ricorrere di nuovo a forme esaurite o chiuse; da questa consapevolezza nasce anche l’impulso, vero tema sotterraneo dell’Angelo, al confronto – ovvero all’autodenuncia – con i giovani: un dialogo costante che si spinge ben oltre la comprensione delle ragioni che decretano la vittoria del Male sul Bene (dualità drammatica che Ernesto Sabato mutua soprattutto dall’ultimo Tolstoj) per arrestarsi solo davanti ai simboli atroci della «marcia indifferente delle cose, mentre fra loro agonizza l’uomo che con amore e speranza le creò».

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