Abbiamo il piacere di inaugurare con questo contributo una collaborazione con lo scrittore e giornalista Sergio Garufi, che ringraziamo. Pubblichiamo oggi il racconto di un viaggio alla scoperta delle case degli scrittori amati, su tutti Julio Cortázar.
«Io amo le case degli scrittori»
di Sergio Garufi
Io amo le case degli scrittori. A Parigi ne conosco parecchie, anche prive di targhe commemorative. A volte sbircio i nomi sui citofoni, o guardo i negozi a fianco, o cerco di entrare per vedere come sono fatte le scale. Una volta fui cacciato in malo modo da una portinaia, che mi beccò mentre mi intrufolavo nel portone di rue de l’Odeon 21, dove aveva vissuto Emil Cioran. Attesi che uscisse qualcuno ed entrai di soppiatto, ma fui stoppato subito, come fossi un ladro. Gli appassionati di letteratura di solito visitano le tombe dei loro beniamini, e vi depongono fiori e poesie, ma a me quelle tombe non dicono niente. Lì quegli scrittori ci sono stati portati quando ormai non erano più niente, solo un mucchio di ossa, mentre nelle case che hanno abitato sento ancora i segni della loro presenza.
L’epistolario di Cortázar è una miniera d’oro in questo senso, vi sono trascritti tutti i suoi indirizzi, anche quelli di brevi soggiorni all’estero. Così sono riuscito a ricostruire i suoi numerosi traslochi, e alla fine ne ho contati una ventina:
116 avenue Louis Lepoutre, Bruxelles, dove nacque nel 1914.
Rodríguez Peña 585, Banfield, nel 1920.
Hotel La Vizcaína, Bolivar.
Pensión Varzilio, Carlos Pellegrini 195, Chivilcoy.
Las Heras 282, Godoy Cruz, Mendoza.
Martínez de Rosas 955, ancora Mendoza.
General Artigas 3246, Buenos Aires.
Poi gli indirizzi parigini:
27, Boulevard Jourdan, stanza n°40, terzo piano, dal novembre ’51
91, rue d’Alésia, quinto piano, dal ’52
10, rue de Gentilly, dal maggio ’53
54, rue Mazarine, VI arr., dal giugno ’54, due camere al secondo piano.
91, rue Broca, XIII arr., al terzo piano, dall’aprile ’55.
24 bis, rue Pierre Leroux, VII arr., quinto piano, dal gennaio ’56
9, place du Général Beuret, XV arr., dove scrisse Rayuela, dal marzo ’61.
9, rue de l’Eperon, VI arr., nel ’74
Rue Gît-le-Coeur.
Rue St. Honoré.
E infine 4, rue Martel, scala C, terzo piano, la sua ultima dimora terrena, dove morì nel 1984.
Molti di questi indirizzi erano case di altri. Nel 1944, a Mendoza, Cortázar alloggiava presso il pittore Abraham Vigo e la sua famiglia. Più tardi, a Parigi, presso Daniel in rue Bertholet; quindi in rue le Regrattier ospite della signorina Andrée Delesalle; e ancora in rue Mazarin 54 chez Champion, una professoressa inglese. Stessa cosa quando viaggiava: a Firenze da un tal Pruneti in via della Spada 5, a pochi metri da Palazzo Strozzi; e a Vienna presso un certo Rössler, al 7 di Neulingasse.
Nei primi anni Cinquanta lo scrittore argentino stava per compiere quarant’anni e si trovava in vacanza a Roma con Aurora Bernárdez, la sua fidanzata. Pur essendo in bolletta, potevano lo stesso concedersi il lusso di allontanarsi da Parigi per qualche mese. Si spostavano in un’altra città e continuavano a tradurre da lì, coniugando lavoro e vacanza. Visitavano i musei con le tessere gratuite degli studenti, mangiavano alle mense universitarie o qualche scatoletta in casa. Di solito subaffittavano una stanza. A Roma per tre mesi vissero in via di Propaganda Fide 22 all’interno 3, a due passi da Piazza di Spagna, presso la famiglia Sanvitale.
Quando invitava gli amici a scrivergli, Cortázar lo faceva sempre ponendo in calce il nuovo indirizzo affiancato dalla sigla c/o. Non ne conoscevo l’origine precisa, così ho controllato su Google e ho scoperto che deriva dalla locuzione inglese care of, che significa «alle cure di». Mi ricordo che pure Giorgio Manganelli, anch’egli traduttore di Edgar Allan Poe come Cortázar, nello stesso periodo si spostò da Milano a Roma e andò ad abitare presso la famiglia Magnoni in via Gran Sasso 38, finendo per seguirla in altri quattro traslochi come un anziano parente a carico.
Forse il c/o non dipendeva soltanto da mere esigenze economiche, ma in qualche modo rappresenta lo stigma sociale del grande scrittore nella sua fase clandestina, aurorale, quasi che un indirizzo proprio non potesse che scaturire dall’ufficializzazione della sua identità letteraria, o come se un autore in erba, per esprimere al meglio le proprie potenzialità, avesse bisogno che un estraneo si prendesse cura di lui.
Quando sono andato a Parigi per visitarne un po’ ho avuto una strana sensazione, come se fossi passato a citofonargli o l’avessi incrociato mentre rincasava con le sue lunghe falcate. Forse questa mia passione dipende dal fatto che Cortázar aveva un rapporto molto stretto con gli spazi che abitò, come dice in una lettera del 10/4/1940 a due sue amiche:
«Mi rimangono le case in cui sono stato felice, dove ho assistito alla bellezza, alla bontà, dove ho vissuto pienamente. Guardo la fisionomia delle abitazioni come se fossero volti, torno a esse con l’immaginazione, salgo scale, apro porte e contemplo quadri. Non so se gli uomini siano troppo ingrati con le case, o se la mia gratitudine nei loro confronti sia una forma di nevrosi. Il fatto è che amo i luoghi dove ho incontrato un minuto di pace, non li dimentico mai, li porto con me e conosco la loro essenza intima, il mistero ansioso di rivelarsi che abita in ogni parete. Sono certo che le case cerchino di parlare, di farsi amare, e a volte mi spiego i fantasmi: come non ritornare dalla morte, a visitare le case amate? Io sarò un fantasma infaticabile».
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