Risposta multipla del cileno Alejandro Zambra è in libreria: pubblichiamo oggi un’intervista che la scrittrice statunitense Rebecca Schiff ha fatto all’autore in occasione dell’uscita di Multiple Choice, la traduzione inglese del libro. Il pezzo è uscito su Electric Lit, che ringraziamo.
di Rebecca Schiff
traduzione di Elena Cannelli
Quando sei un fan dello stile di uno scrittore, o ti senti legato al suo modo di scrivere, speri sempre che di persona l’autore ti piaccia. A me è piaciuto molto Alejandro Zambra. È stato divertente e loquace, una persona facile da intervistare. Ha mangiato un biscotto e delle briciole gli sono finite fra i capelli.
Abbiamo deciso di uscire dal caffè così lui poteva fumare. Ma c’erano troppi bambini nel parco vicino. Abbiamo visto una scuola pubblica con una panchina all’esterno, e pensato che fosse il posto adatto per parlare della repressione a scuola, uno dei temi del suo nuovo libro, Risposta multipla. Alcune madri su una panchina limitrofa ci hanno chiesto se eravamo i genitori di qualche bambino della scuola. Non lo eravamo, abbiamo ammesso. Ci hanno detto che dovevamo andarcene.
«Non sembriamo genitori», ha detto Zambra.
Come è nato Risposta multipla? Zambra ha buttato giù le prime cinquanta pagine di un romanzo più tradizionale, che stava cercando di scrivere, sul 1993. Farlo lo ha fatto sentire un «autore del cazzo», come se stesse scrivendo un libro che avrebbe dovuto scrivere. Sapevo cosa voleva dire. Qualsiasi cosa che suonasse come un «dovere», significava morte per quel mistero che rende buona la scrittura. La risposta stava nel trovare una forma che permettesse alla storia di essere raccontata in maniera spontanea. Per Zambra, la forma è giunta dalla Prova di Attitudine Accademica Cilena, un test standardizzato che lui stesso ha svolto nel 1993. A quel tempo, la PAAC determinava i destini degli studenti cileni delle scuole superiori, e fu causa di grande stress per gli adolescenti. Zambra ha strutturato il libro come le sezioni verbali della prova, con titoli quali «Organizzazione del discorso» e «Comprensione del testo».
«All’inizio», ha detto, «scrivere le domande era pura parodia e divertimento, come imitare le voci delle persone, ma poi l’ho considerato anche come un modo di prendermi in giro da solo e un tentativo di scoprire come avessi interiorizzato queste strutture».
Zambra ha aggiunto che Risposta multipla può essere letto anche senza una conoscenza previa dei generi narrativi, e che sperava che il libro raggiungesse persone che non hanno avuto un’educazione letteraria.
Gli scrittori cresciuti sotto la dittatura sono davvero interessati a democratizzare la letteratura, ho notato. Gli scrittori cresciuti in democrazia sono davvero interessati a rimanere dei coglioni.
Ho continuato a chiedergli com’era possibile che gli agenti o gli editori gli avessero permesso di cavarsela con così poche pagine (i romanzi di Zambra sono poetici e contenuti, minimalisti, nel senso che veicolano molte emozioni con solo qualche dettaglio), ma Zambra all’inizio non aveva un agente e ripeteva che il mondo letterario cileno non è orientato al mercato quanto quello nordamericano. Il primo romanzo di Zambra, il ricorsivo e straziante Bonsai, è nato dal suo interesse per i bonsai, di come avessero bisogno di essere curati, ma anche limitati. Un po’ inquietanti, abbiamo stabilito. Zambra ha detto che le voci in Bonsai hanno iniziato ad arrivargli mentre scriveva, che non stava neanche pensando al libro come a un romanzo.
Non stavo precisamente ascoltando. Tenevo il telefono fra di noi per registrare le sue risposte, mentre camminavamo verso una libreria. Ci siamo seduti su una panchina fuori dal negozio e nessuno ci ha disturbato perché sembravano scrittori. Per lo meno, Zambra lo sembrava. Zambra ha iniziato scrivendo poesia, è «cresciuto come poeta». I suoi primi componimenti erano «storie molto compresse, scritte in versi liberi». Gli ho detto che mi piaceva la poesia cilena. Mi piaceva in particolar modo «quello che ha scritto le poesie su Claudia» e «quello che viveva sulla spiaggia».
«Bertoni», ha detto lui. «Claudio Bertoni. Forse è lo stesso che scrive poesie su di sé. Cosa che fa».
«Ho una memoria piuttosto scadente», ho detto.
«Anche Nicanor Parra vive sulla spiaggia. Compirà presto centodue anni».
«Ti piace Parra?»
«Molto. Lui, Gabriela Mistral, Gonzalo Millán ed Enrique Lihn sono…»
«Ecco quello che ha scritto di Claudia, Enrique Lihn».
«Oh, sì! Non penserei a lui in quel modo, però sì. La tua memoria non è niente male».
Ha anche menzionato Emily Dickinson e io ho annuito, sebbene non riesca mai a ricordare nessuna delle sue poesie a eccezione di «C’è una certa inclinazione di luce…» Abbiamo parlato della sua eccellente traduttrice in inglese, Megan McDowell, e di com’è stato vivere negli Stati Uniti per un anno (Zambra ha appena terminato una borsa di studio di un anno presso la New York Public Library). Ho chiesto in che modo lo avesse influenzato parlare una lingua diversa da quella con cui era cresciuto.
«È divertente, credo, all’inizio, di aver cercato scioccamente di essere qualcun altro. Mostrarsi sotto una luce diversa è una grande opportunità. Tu parli spagnolo?»
«Solo al tempo presente».
Abbiamo parlato ancora di Risposta multipla. Mi ha mostrato un quesito della sezione Completamento di frasi, che era una famosa citazione di Pinochet che non mi ero accorta fosse una famosa citazione di Pinochet. La sezione aveva anche una citazione dal Nuovo Testamento che non mi ero accorta fosse una citazione dal Nuovo Testamento. Come potrei capire la letteratura cilena se non fossi stata esposta all’ipocrisia del suo dittatore? Come potrei capire qualsiasi letteratura se non avessi mai letto il Nuovo Testamento?
Andrò a casa e trascriverò questi appunti, ho pensato. Imparerò qualcosa in più su Pinochet e Gesù. Farò un sonnellino. Ma quando sono arrivata a casa, mi sono accorta che non avevo premuto «Salva» sulla conversazione di un’ora che avevo registrato mentre parlavamo. Ero stata così presa dal momento, nel tempo presente, che mi ero dimenticata di ricordarmi della tecnologia. E ora era andata persa. Tutto ciò era molto latinoamericano, come l’emergere di domande senza risposta sulla memoria e la perdita, la sparizione, la cancellazione, ma era soprattutto un gran giramento di palle. Venne fuori che mi ricordavo solo quello che avevo detto io, che avevo parlato un sacco del mio ex-ragazzo, anche lui cileno, del tutto vivo, ma ben lontano da me. In realtà, l’ex era ancora mio amico. Aveva scritto alcune domande per Zambra, domande migliori delle mie, domande sulla «letteratura dei figli» (scrittori cileni che erano bambini durante la dittatura) e il pensiero dell’autore sul rapporto fra libri e film. A queste non ci ero arrivata. Avevo fatto qualche semplice domanda e Zambra mi aveva dato delle risposte poetiche che non sarei mai stata in grado di ricreare.
Tutto quello che ricordo è che ha parlato di house sitting. Ha citato Ezra Pound. Mi ha raccontato una barzelletta sul narcisismo degli scrittori e mi sono persa la battuta finale perché stavo pensando ai fatti miei. Ricordo che il cielo all’inizio era terso, poi si è rannuvolato. Zambra aveva comprato il mio libro. Zambra aveva finito il mio tè verde.
«Io dovrei intervistare te», ha detto. Cerchiamo tutti di essere umili, ho pensato. In questo mese mi hanno fatto molte interviste e chiedo sempre agli intervistatori se scrivono narrativa. (Lo fanno sempre.)
«Dovresti farmi le domande a cui odi rispondere durante le interviste», aveva detto Zambra prima che cominciassimo. «Come vendetta nei confronti di chi intervista te».
«Tu cosa odi?», ho chiesto.
«Chiedimi che cosa è autobiografico, una domanda sul confine tra fiction e non fiction».
Ci è sfuggita una risatina. L’intervista è una forma stupida, ho pensato, fino a quando l’intervista che avevo registrato non è andata persa. Poi ho capito che l’intervista è una forma meravigliosa. Gli scrittori, che passano il loro tempo a perfezionare ciò che presentano al mondo, acconsentono a fare due chiacchiere su di sé e il loro lavoro. L’intervistatore, se è fortunato, torna a casa e trascrive le parole di qualcun altro. Il giornale ottiene un pezzo. Ora ero costretta a scrivere qualcosa di postmoderno, un’intervista senza un’intervista, una storia che Alejandro Zambra era nato per scrivere, ma di cui io probabilmente avrei fatto un gran guazzabuglio. Ho pianto al telefono col mio nuovo ragazzo.
«Scrivi solo quello che ti ricordi», ha detto lui. «Fallo prima di dimenticartene».
«Non voglio scrivere una cosa qualunque. Voglio premere play e scrivere quello che ha detto Zambra».
«Non è più possibile», ha risposto.
Sono andata a leggere i forum della Apple. Le persone avevano perso 48 minuti, 25 minuti, la recita dei loro bambini, registrazioni che volevano disperatamente riavere indietro. Se la persona che stava registrando premeva semplicemente pausa e poi chiudeva la app senza salvare, era fottuta. I forum erano inequivocabili su questo punto. Ho pensato a Nixon. 18 minuti. L’iPhone mi aveva tradito, aveva tradito la letteratura. Avrei potuto scrivere le domande a Zambra per mail, o incontrarlo di nuovo, ma la spontaneità della conversazione iniziale non poteva essere ricreata. Forse nessuno dovrebbe registrare le conversazioni, pensai. Forse sono nate per essere effimere. Forse nel catturare un momento tra due persone, distruggiamo l’essenza del momento.
Non ci credevo per niente. Ho pensato ai Buddhisti, che passano anni a fare opere d’arte sulla sabbia, per poi spazzarla via. Ho sempre provato una gran pena per quella gente. Fotografo i tramonti. Faccio il back up dei miei file. Uso il Cloud, un hard disc esterno, Google Docs, DropBox. Non ho perso mai molto, per lo meno non documenti. Credo che Emily Dickinson abbia scritto una poesia sul perdere le cose. No, è Elizabeth Bishop. È il tipo di poesia che viene spiegata a scuola, a volte anche con dei quiz.
L’autorice pensa che perdere le cose:
- sia un disastro
- non sia un disastro
- vada bene, purché si abbia una buona memoria
- sia un problema tecnico che la Apple dovrebbe risolvere con la nuova generazione di iPhone
La Bishop è accanto a Zambra sullo scaffale della mia libreria, dove finisce la narrativa e inizia la poesia.
© Rebecca Schiff, 2016. Tutti i diritti riservati.
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