Leñero

Sono contro il culto della personalità

redazione Ritratti, SUR

Il 3 dicembre scorso è scomparso lo scrittore e giornalista messicano Vicente Leñero. Lo ricordiamo oggi con un brano tratto da Autorretrato a los 33, tratto da guardagujas, che ringraziamo.

«Sono contro il culto della personalità»
di Vicente Leñero
traduzione di Dajana Morelli 

Attraversa inquieto le strade che si immettono nella rotonda di Colón e sale a bordo di un autobus mentre prova a bassa voce i ragionamenti e le frasi con cui dirà a Giménez Siles il no definitivo! Quando Giménez Siles avrà finito di spiegarle in che cosa consiste il motivo per cui mi sono permesso di chiamarla, signor Leñero. Be’, in realtà Gustavo mi ha già spiegato più o meno di che si tratta; mi ha dato la sua autobiografia da leggere. Mi ha davvero emozionato, dice, perché è scritta in un modo, mi sembra, con una sincerità e una assenza di grovigli e di insolenze, mi sembra, a me è piaciuta tantissimo, ma il mio caso è diverso, dice a Giménez Siles, perché io, signor Giménez Siles, sarò sincero, per principio sono contro il culto della personalità. L’espressione è sgorgata alla fine, splendida, impressionante. Forse con meno enfasi, con meno energia, ma con la stessa convinzione con la quale venne coniata la sera in cui René Rebetez gli parlava di una serie di interviste per El Sol. «Sono contro il culto della personalità!»: napoleonica, meravigliosa frase celebre. Voglio dire, signor Giménez Siles, che l’importante, cioè, quello che secondo me deve importare a uno scrittore che inizia, cioè, di noi che in realtà non abbiamo fatto niente, che nessuno ci conosce perché, mi permetta, mi dica lei, signor Giménez Siles, lei lo sa meglio di chiunque altro: il numero di copie vendute dei nostri libri è ridicolo, e oltretutto/ Si tratta esattamente del fatto che lo scrittore giovane sia conosciuto, dice Giménez Siles, e che i suoi libri si vendano. Perché?, pensa lui, alla fine che senso ha?, che importanza? Giménez Siles parla di Pío Baroja quando Pío Baroja aveva già realizzato un’opera. È qualcosa di simile al Ciclo di Narratori. Se lei mi scrive in quaranta cartelle quello che ha scritto per la facoltà di Bellas Artes, è sufficiente. Non le chiedo altro. Sì, dice Gustavo, bisogna metterci la faccia. E una notte, mentre camminavo ai bordi dell’Alameda, Piazza diceva che lui era definitivamente contro quell’attitudine malsana dell’io sono quasi niente, sono quasi dell’immondizia, sono uno scrittore qui e nient’altro, tanto modesto e tanto tormentato stile chissà chi. Questo cos’è, maledizione, non si può più parlare così negli anni Sessanta. Bisogna avere il pelo sullo stomaco e molto buonumore. Io sono un genio, che cavolo, e vediamo chi osa contraddirmi! Mettetemi davanti il più bravo! Ecco qui quello che mette tutti a dormire! Viva la Vergine di Guadalupe e viva me, figli di buona donna! Chiede delle Raleigh senza bocchino invece che senza filtro e pensa: Sì, però no, signor Giménez Siles; è come se lo scrittore pubblicasse sui giornali un annuncio: Scrittore Giovane, con Talento e con Molta Voglia di Farsi Conoscere, Sollecita Urgentemente Lettori Per i suoi Libri. Pregasi Comprare la sua Recente Autobiografia. Commuovansi con la sua Infanzia Tormentata. Sorprendansi con le sue Lucide Conoscenze Artistiche e le sue Profonde Teorie Letterarie. Convincansi che se non è Famoso in Tutto il Globo, non è per Mancanza di Talento, Ma per Ragioni di Sottosviluppo Culturale. Eccetera. Vediamo, signor Leñero, mi dica lei, dice Giménez Siles, la ascolto. Che sconvolgente chiedere una settimana per pensarci. Che pedante rispondere be’ sì, e che pedante rispondere mi scusi però no. Pedante se parla e pedante se rimane zitto. A lei non è permesso né uno né l’altro perché soltanto i geni della nostra letteratura nazionale, uno due tre quattro cinque, possono prendere la decisione che vogliono, dato che, facciano quel che facciano e dicano quel che dicano, continueranno ad essere, signori giurati, questo: geni. A lei non resta altro che la finta modestia e per questo tira il piccolo nastro rosso in modo da fargli percorrere il perimetro della scatolina; toglie poi il rettangolo di cellofan; separa, strappandola, la carta argentata fino a lasciare allo scoperto cinque cerchi di tabacco e mezzo, e premendo con l’indice alla base del pacchetto estrae una sigaretta da un angolo. La lascia sul tavolo, vicino alla macchina da scrivere, perché non ha voglia di fumare: ogni gesto descritto lo ha realizzato con l’unico scopo di copiare movimento dopo movimento affinché un qualche lettore possa in seguito commentare: quanta esattezza, quanta precisione, quanti inutili gratuiti e stupidi dettagli; si atteggia da minuzioso e ignora -a questo punto!- che tale genere di descrizioni smascherano il falso scrittore alla cui impotenza si deve anche l’uso e abuso di note folcloriche come, verbigrazia: tizio sorrise, caio si grattò la fronte, sempronio avvicinò la sigaretta alle labbra; che povero e che semplice far fumare, grattarsi la fronte, sorridere i personaggi romanzeschi! E che facile sfida fare il modesto. Guardate com’è modesto Leñero, com’è sincero. Lui sì che non si presta a esibizionismi. Si è rifiutato di scrivere la sua autobiografia, o come la volete chiamare, per quella collana che Giménez Siles sta per pubblicare. Beh molto bene, perché è un errore imperdonabile fomentare il narcisismo di questi presunti apprendisti scrittori. Che generazione, Dio mio! I nuovi valori in sé. Ma quali nuovi valori se nessuno di essi vale un fico secco, insomma; e anche se valessero molto, signore, non hanno l’età nemmeno per mettersi a parlare di essi e della loro opera. Quale opera, mi chiedo io. Un libro, due, tre, è questa un’opera? Tentativi. Peccati di gioventù. La gallina che fa un uovo e canta. Certo che a voler essere sinceri dobbiamo riconoscere che alcuni di quei libretti rappresentano fino a un certo punto una certa tappa di una certa importanza nel promettente sviluppo della letteratura messicana. Sono, perché no, un contributo alle nostre lettere e indicano nuovi sentieri che un giorno, forse, daranno come frutto il grande scrittore messicano di cui abbiamo tanto bisogno. Ho detto. Alza la voce, il suo braccio si è mosso all’indietro, preceduto dal gomito e appoggiato poi sullo schienale della sedia, mentre il suo viso si deforma momentaneamente: le sopracciglia si sono elevate, come aquiloni, rondini al contrario, pensa al momento di scriverlo con l’intenzione di fortificare la descrizione attraverso un’immagine ingegnosa. Invece no: se fossero una mezza dozzina di gruppi connessi all’ambito, diciamo duecento o trecentomila persone, -ed è tutto dire!- chi per una ragione chi per un’altra si è presa il disturbo di dare un’occhiata o leggiucchiare alcuni dei loro libri, nessuno sa chi sono questi ragazzi. È questo ad essere grave. Lei esagera, caro Maupassant, con tutto il rispetto credo che lei esageri. C’è più interesse di quanto si creda per la letteratura messicana; molto, però moltissimo più interesse. Non solo qui. Nelle università degli Stati Uniti il racconto, il romanzo, la poesia, il saggio dei nostri scrittori stanno ottenendo una popolarità insospettata proprio grazie ai nuovi valori, alcuni dei quali sono già riusciti a superare la tappa di giovani promesse per trasformarsi in autori di primissima linea nel concerto internazionale. Che cosa mi dice di Carlos Fuentes? Che cosa mi dice di/ Però un momento, Carlos Fuentes nella collana non c’è. Certo che non c’è. Il signor Giménez Siles, che ha la vista lunga, desidera presentare precisamente i valori che sono venuti dopo Carlos Fuentes. Né lui, né Rulfo, né Arreola, né Revueltas, né Paz né tutti quelli che lei conosce sono lì inclusi. Non sono i consacrati. No no no. L’aspetto coraggioso, sorprendente, nuovo di questa collezione è che sono facce completamente fresche, insomma, significa, volti sorti appena qualche settimana, mese, anno fa, la letteratura nazionale in base a quanto si può dedurre dalla sua attuale, incipiente ma promettente opera. Sì, sì: da quel romanzetto, da quel libretto di poesie, da quell’operetta di teatro, da quel volume di raccontini, da quei saggetti, dal loro talento, dalla loro simpatia, ce ne sono alcuni così simpatici, se lei li vedesse!, insomma, da tutto; è un modo per tastare il po
lso. È ovvio che la pubblicazione in questa collana non significa una consacrazione per nessuno. Non vuole nemmeno dire che qui ci siano tutti. Ne mancano, per forza ne mancano. Nel gioco delle mafie, submafie, contromafie e ricontromafie alcuni restano ai margini almeno per un certo tempo. Questo non importa. Niente da fare, amico mio, è la legge della vita. Non dirlo a me, che sono un commesso viaggiatore e che so molto bene come funziona la faccenda dei raccomandati e degli snobbati. Ah, signore, se io le raccontassi! Ma comunque, questo è solo un campione rappresentativo, come dicono gli scienziati, delle giovani promesse. È probabile che molti di loro si perdano per strada e tra quindici anni, quando ci guarderemo indietro, scopriremo che puf, sono svaniti; però, che problema c’è, anche questo sarà molto interessante per la storia letteraria: vedere chi sì e chi no. Capisce? Si tratta, le ripeto, solamente di giovani promesse; ovvero, giovani che promettono come dice la saggia espressione usata dai critici. E lei, caro Leñero, è e sarà per sempre una giovane promessa; lo accetti con umiltà cristiana, non si monti la testa: una giovane promessa.

Da “Autorretrato a los 33”, incluso in Puros cuentos. Vicente Leñero. Editores Mexicanos Unidos, 1986.

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