Oggi vi proponiamo un breve memoir di Sergio Santiago Olguín; si racconta di una sua corrispondenza con Roberto Bolaño, della passione che questi nutriva per il calcio e di come il tifo e gli sfottò da stadio riguardino anche il mondo della letteratura. Il pezzo è già uscito su el malpensante, che ringraziamo.
«Roberto Bolaño: fútbol e letteratura»
di Sergio Santiago Olguín
traduzione di Fabrizio Gabrielli
Nell’aprile del 2001 avevo iniziato a preparare un’antologia sui nuovi peccati capitali per Editorial Norma. L’idea era quella di invitare alcuni scrittori latinoamericani a partecipare al fianco degli autori argentini. Avevo proposto Roberto Bolaño. L’editore era d’accordo, anche se nutrivamo qualche dubbio sul fatto che Bolaño, che era sulla cresta dell’onda del successo, avrebbe accettato la proposta di scrivere un racconto su commissione.
Senza troppe speranze gli avevo scritto una mail, e con mia grande sorpresa mi aveva risposto nel giro di pochi giorni. «In linea di principio l’idea mi sembra molto buona, e accetto. Dimmi quante pagine massimo e minimo. Il mio peccato sarebbe “il plagio”, spero che nessuno lo abbia ancora scelto».
Di lì in poi abbiamo iniziato a scambiarci delle mail. All’inizio si riferivano puramente al racconto che avrebbe scritto. Con mia grande sorpresa, ancora una volta, in una delle sue mail mi aveva raccontato di aver letto la mia antologia La selección argentina, che includeva scrittori argentini nati dopo il 1960. «Ho letto il tuo libro e mi è piaciuto. Peccato per quel fatto dell’età, che impoverisce un bel po’ la selección. Per me il portiere ideale dell’albiceleste è Fogwill; e il terzino sinistro, che si lancia all’attacco alla minima occasione (anche se poi lascia il binario aperto e sguarnito in caso di contrattacco rivale) è Aira. O Alan Pauls col numero 6. Alla fine, si sa, una formazione non lascia mai tutti soddisfatti. Però diciamo che come “under 21” la tua rappresentativa è impeccabile. Un abbraccio. Roberto».
Gli avevo immediatamente risposto di non essere d’accordo con lui su Pauls e Aira. Avevo messo su la mia selección (che avevo definito bilardista*) e per provocarlo gli avevo detto che io avrei convocato nella nazionale cilena uno scrittore che a lui sicuramente non piaceva: Enrique Lafourcade; e poi ne avevo preso in giro un altro, Alberto Fuguet. Gli avevo anche chiesto per quale squadra cilena facesse il tifo: «Mentre penso a una selección menottista** o, meglio, valdanista ti invio questo breve comunicato chiarificatore:
1. L’unica squadra cilena che mi piaceva è scomparsa da secoli. Si chiamava Ferrobadminton, arrivò a giocare in prima divisione, e la sua maglia, senza dubbio, era la più bella che abbia mai visto nel calcio patrio.
2. A Lafourcade non lo metterei neppure a fare l’acquaiolo, come si chiamavano ai tempi miei quelli che mandavano a cercare l’acqua da far bere ai giocatori.
3. A Fuguet sì, lo metterei, però come ragazza pon pon, oppure come portaborracce, perché non è che possiamo far morire i ragazzi di sete.
4. Non sono affatto d’accordo, come avrai immaginato, sull’inclusione di Gelman nella linea d’attacco. Ma non perché non mi piaccia (al contrario, mi piace molto), ma perché i poeti non giocano al calcio. I poeti giocano a hockey su ghiaccio in una pista gigantesca e brumosa sulla quale solo di tanto in tanto scorgono un altro compagno di squadra.
5. Al contrario di quanto accade in quella cilena, nella quale probabilmente c’è molto poco da giocare, la selección argentina ha una sovrabbondanza di fenomeni. Riconosco che il compito del selezionatore argentino è teoricamente più difficile di quello del selezionatore di Costa Rica, del Perù o della Colombia.
Un forte abbraccio.
Roberto».
È stato lì che avevo scoperto che parlare di calcio lo divertiva tanto quanto parlare (male, e a volte bene) di scrittori latinoamericani. Il Barcellona lo appassionava. Ma erano i tempi «pre Messi», e Bolaño si mostrava speranzoso per l’arrivo del «Conejito» Javier Saviola. Io preferivo vantarmi del presente che viveva il Boca di Juan Román Riquelme e Carlos Bianchi.
A causa di certe questioni burocratiche tra case editrici, Bolaño è stato sul punto di non darci più il suo racconto, però alla fine ce lo ha consegnato: «Ti invio il racconto, definitivo, è finito e l’ho fatto per te», mi ha scritto, e quel «l’ho fatto per te» è una delle adulazioni più meravigliose che mi abbiano mai fatto. Il suo racconto è uscito ne El libro de los nuevos pecados capitales; il suo protagonista si chiamava (non ho potuto fare a meno di considerarlo un regalo) Riquelme.
NOTE
* Ovvero ispirata a Carlos Bilardo, tecnico campione del Mondo con la Albiceleste a Messico ’86.
* * Vale a dire ispirata ai dettami calcistici di César Luis Menotti, allenatore dell’Argentina durante il Mundial vinto in casa nel 1978. La differenza tra Menottismo e Bilardismo si può riassumere, con l’approssimazione connaturata alle generalizzazioni, con la contrapposizione tra un calcio spumeggiante, votato allo spettacolo come quello di Menotti, e uno più difensivista, rivolto al risultato, che è quello di Bilardo. Gli argentini distinguono i due stili con i nomi la nuestra (si sottintende “maniera di giocare”, ed è quella spettacolosa di Menotti) e l’antifútbol. Valdanista si riferisce a Jorge Valdano, uno dei calciatori più fantasiosi e al contempo intellettuali del calcio argentino degli ultimi trent’anni.
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