Un intervento di Rebecca Solnit sul sessismo nella letteratura americana. L’articolo è stato pubblicato originariamente su Literary Hub, che ringraziamo.
di Rebecca Solnit
traduzione di Sara Reggiani
Qualche mese fa Esquire ha messo insieme una lista che continua a infestare internet risorgendo di tanto in tanto dal mondo dei morti, come uno zombi. Per come la vedo io, incarna perfettamente gli intenti della rivista stessa. Io non faccio parte del target di riferimento di questo mensile, perciò lo conosco principalmente per i suoi slogan e le belle signorine in copertina. Ma essendo spuntata all’improvviso sulla mia bacheca di Facebook, l’ho appena letta, questa lista degli «80 libri che ogni uomo dovrebbe leggere». Ci ricorda che la rivista è per maschi e che, se da un lato molti giovani d’oggi rinnegano la «concezione binaria» dei generi, dall’altro la loro è una lotta contro un sistema ben più radicato che utilizza le differenze di genere come una sorta di Cortina di ferro per dividere l’umanità. Naturalmente «riviste femminili» quali Cosmopolitan provvedono da decenni a fornire altrettanto preoccupanti istruzioni su come essere donne. Forse la dice lunga sulla fragilità del genere il fatto che per così tanto tempo ci siano state somministrate a cadenza mensile istruzioni su come interpretare i ruoli maschile e femminile.
Siamo sicuri che gli uomini dovrebbero leggere libri diversi dalle donne? A giudicare da questa lista non dovrebbero nemmeno leggere libri scritti da donne, a parte Flannery O’Connor, unica eccezione in mezzo a settantanove scrittori maschi. L’autore della lista menziona Un brav’uomo è difficile da trovare accompagnandolo con una citazione: «Sarebbe stata una brava donna… se qualcuno l’avesse presa a pistolettate ogni minuto della sua vita». Presa a pistolettate. Che va a braccetto con il commento dedicato a Furore di John Steinbeck: «Perché in un modo o nell’altro c’entrano sempre le tette». In altre parole, i libri sono manuali di istruzioni, vanno letti per diventare veri uomini, per questo c’è bisogno di una lista dedicata. E che cos’è un vero uomo? Il commento al Richiamo della foresta di Jack London recita: «Un libro sui cani è un libro sugli uomini». Contenti loro.
Scorrendo la lista – straripante dei libri più virili di tutti i tempi, molti dei quali parlano di guerra e solo uno è di un autore notoriamente gay – mi sono rammentata che sarà anche dura essere donne, ma sotto certi aspetti lo è di più essere uomo, genere che in teoria è costantemente messo alla prova e misurato attraverso atti di mascolinità. Osservando la lista è nato spontaneo un pensiero: non c’è da meravigliarsi che si verifichino tanti omicidi di massa. Che altro non sono, in quest’ottica, che la massima espressione dell’essere maschio, per quanto fortunatamente molti uomini abbiano trovato un modo più garbato ed empatico di stare al mondo.
Questa lista mi ha fatto pensare che dovrebbe essercene un’altra, che comprenda comunque alcuni di quei libri, intitolata «80 libri che una donna non dovrebbe mai leggere» – per quanto ovviamente io ritenga che uno sia libero di leggere quello che vuole. Penso semplicemente che alcuni libri siano fatti per dimostrare che le donne sono feccia o non meritano proprio di esistere, se non come accessori, o sono intrinsecamente cattive e vuote. O, nel caso degli uomini, istruiscano a essere rudi e insensibili, supportino quel sistema di valori che sfocia in violenza domestica, guerra e prevaricazione economica. Permettetemi di dimostrarvi che non odio gli uomini cominciando questa mia lista dalla Rivolta di Atlante di Ayn Rand, perché un libro che piace così tanto a Paul Ryan detiene una qualche responsabilità nello squallore che questi muore dalla voglia di creare.
A proposito di libri che dipingono le donne come non-persone, quando ho letto per la prima volta Sulla strada (che non compare nella lista, mentre I vagabondi del Dharma sì) mi sono accorta che il libro dava per scontato che ci si identificasse con il protagonista, un uomo convinto di possedere un animo sensibile e profondo ma che non esita ad abbandonare dopo averla messa nei guai la ragazza sudamericana con cui se la faceva. Dava per scontato che non ci si identificasse con lei, che non era sulla strada e veniva trattata non molto diversamente da un ricettacolo di cui liberarsi senza tanti problemi. Io ovviamente mi ci identificavo, come mi sono identificata con Lolita (e Lolita, quel trionfo di mancanza di empatia da parte di Humbert Humbert, compare nella lista di Esquire con una descrizione squisitamente schiva). Ho perdonato Kerouac, così come ho perdonato Jim Harrison per la lascivia che restituiva nelle sue pagine, perché entrambi possiedono qualità che potenzialmente li riscattano. E poi quella lascivia fa tanto Midwest, contrariamente a quella di Charles Bukowski e Henry Miller.
Ovviamente questi autori compaiono tutti e tre sulla lista di Esquire. Come disse Dayna Tortorici: «Non dimenticherò mai l’orrore che ho provato leggendo Post Office di Bukowski, il modo in cui l’autore descriveva le gambe delle donne brutte. Credo sia stata la prima volta che mi sono sentita respinta da un libro con cui tentavo di identificarmi. E comunque l’ho assorbito, e comunque ha saputo farmi odiare il mio corpo e tutto il resto». Qualche anno fa l’autrice Emily Gould ha definito Bellow, Roth, Updike e Mailer i «misogini di metà secolo», una definizione che torna utile per quei magnifici quattro presenti sulla lista di Esquire.
Anche Hemingway è nella mia lista dei libri da evitare, perché se prendi a modello artistico Gertrude Stein non dovresti essere un misogino omofobo e antisemita, e perché sparare ad animali di grossa taglia non dovrebbe essere considerato indice di mascolinità (l’analogia pistola-pene-morte è triste, oltre che orrenda). Inoltre lo stile della sua prosa, terso e contenuto, diventa manierismo, ostentazione, sentimentalismo. Il sentimentalismo maschile è il peggiore, perché si fa illusioni su di sé in un modo che, per esempio, il sentimentalmente onesto Dickens non faceva.
E il modo in cui Hemingway denigrava le dimensioni del pene di F. Scott Fitzgerald era patetico e piuttosto smaccato, visto che ai tempi Fitzgerald riscuoteva molto più successo di lui come scrittore. Ancora oggi è decisamente più amato, sia grazie a frasi morbide come seta là dove Hemingway sembra un bambino che si balocca con i camioncini giocattolo, sia per un’empatia duttile nei confronti di Daisy Buchanan e Nicole Diver come nei confronti dei suoi personaggi maschili (Tenera è la notte può essere letto, fra le altre cose, come un’indagine sulle vaste conseguenze dell’incesto e dell’abuso infantile).
Norman Mailer e William Burroughs occuperebbero i primi posti nella mia lista, perché esistono tanti scrittori che non abbiano pugnalato o freddato le loro mogli (e perché uno scrittore che tutti dovrebbero leggere, Luc Sante, trent’anni fa ha scritto un magnifico pezzo che mi ha molto influenzato, sulla sconcertante politica di genere sostenuta da Burroughs). Insieme a loro, tutti quei romanzi scritti da uomini convinti che le dimensioni siano tutto, quei mostri di novecento pagine che, li avesse scritti una donna, sarebbero stati definiti sovrappeso e sottoposti a cura dimagrante. E tutti quei libri pruriginosi sui crimini violenti contro le donne, primo fra tutti il caso della Dalia Nera – terribile esempio di quanto la violenza sulle donne sia erotizzata da certi uomini, a beneficio di altri uomini, e di come ciò spinga le donne a interiorizzare l’odio. Come ha commentato di recente Jacqueline Rose sulla London Review of Books: «Il patriarcato prospera incoraggiando le donne a provare disprezzo verso sé stesse».
Prendiamo la biografia di 486 pagine di Bill Cosby, pubblicata appena prima che oltre cinquanta donne lo accusassero di tentato abuso sessuale, un’opera che ripetutamente glissa su tutte le accuse di cui sopra: questo libro non ha bisogno della mia personale indignazione; l’editore ha dichiarato lo scorso anno: «Non è in programma la pubblicazione di un’edizione tascabile, né di una versione rivista del testo». Sono inoltre a conoscenza dell’esistenza di uno scrittore di nome Jonathan Franzen, che non ho mai letto se non in alcune interviste, dove attacca ripetutamente Jennifer Weiner.
Sono presenti libri buoni e libri eccellenti nella lista di Esquire, per quanto persino Moby Dick, che adoro, mi ricordi che un libro senza personaggi femminili viene spesso considerato un libro sull’umanità, mentre un libro che ha per protagonisti personaggi femminili viene considerato un libro per donne. E in quella lista ci sono autori come James M. Cain e Philip Roth, che hanno la pretesa di insegnarci qualcosa sulle donne (pur non essendo esattamente degli esperti), quando invece esistono grandi opere di autrici come Doris Lessing, Louise Erdrich ed Elena Ferrante. Guardo il mio scaffale di eroi personali e vedo Philip Levine, Rainer Maria Rilke, Virginia Woolf, Shunryu Suzuki, Adrienne Rich, Pablo Neruda, il Subcomandante Marcos, Eduardo Galeano, Li Young Lee, Gary Snyder, James Baldwin, Annie Dillard, Barry Lopez. I loro libri forniscono, se manuali di istruzioni si possono considerare, istruzioni su come trasformare le nostre identità in prolungamenti del mondo, umano e non, sull’immaginazione come definitivo atto di empatia che mira a elevarci al di sopra di noi stessi, non a imprigionarci nel nostro genere.
© Rebecca Solnit, 2015. Tutti i diritti riservati.
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