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75 storie nella testa. I giri di parole nella mente di Daniel Sada / 2

redazione SUR

Pubblichiamo oggi la seconda e ultima parte del saggio dedicato allo scrittore messicano Daniel Sada.

di Antonio Bertrán

Traduzione di Angela Masotti

Daniel Sada non può vedersi il viso allo specchio: non ci riesce. Negli ultimi mesi si è fatto visitare dall’oftalmologo varie volte, ma la sua vista non ha smesso di deteriorarsi a causa del diabete.

Sua moglie, Adriana Jiménez, gli legge qualcosa tutte le sere, quando non rientra troppo tardi dal lavoro. “È stato molto duro per lui, ma adesso abbiamo assunto una routine che io apprezzo molto perché, man mano che gli tornano in mente autori e opere, spaziamo da Guimarães Rosa a Rosario Castellanos o Borges, da Palinuro de México alla Divina Commedia, che leggiamo in una traduzione che lui adora, perché mantiene la metrica delle terzine dantesche”.

Adriana Jiménez dà lezioni di letteratura all’Universidad Autónoma e tiene corsi di scrittura, oltre a scrivere poesia e narrativa. La loro unione dura da quindici anni, durante i quali la letteratura è stata una passione condivisa. In altri tempi, però, la dedizione di Sada per le lettere è stata causa della rottura di una delle sue relazioni. Racconta un’amica comune, tacendo il nome della donna, che lo scrittore le suggeriva, o meglio “pretendeva” che leggesse diversi autori, oltre alla sua stessa opera, finché lei non ne poté più e lo lasciò.

Adriana è una grande lettrice, parla con scioltezza dell’opera di suo marito ed è la sua critica più dura. La coppia si è conosciuta in un corso di scrittura tenuto dallo scrittore nel 1989, presso la sede della Dirección de Literatura del inba. A lei bastò vederlo per sentirsi attratta da quel professore che portava la barba e dei “maglioni con le greche molto belli”. In seguito avrebbe scoperto che la sua nozione del ritmo non era solo verbale: “Balla stupendamente bene e gli piace di tutto: polka, salsa, walzer e corriditas norteñas”. Anche lui avrebbe confessato molto tempo dopo di essersi sentito attratto da lei, ma durante i mesi in cui durò il corso quell’interesse non sfociò in nulla di serio. Si incontrarono di nuovo circa cinque anni dopo, a una fiera del libro, e si scambiarono i numeri di telefono. “Un giorno mi chiamò e mi invitò a un’esposizione al Museo Tamayo, non ricordo quale fosse. Da allora cominciammo a vederci più spesso. Andavamo alla terrazza panoramica della Torre Latinoamericana e poi al tradizionale caffè La Blanca, che piace moltissimo a Daniel e dove fanno un café con leche stupendo”. Il corteggiamento incluse fiori e profumi, ma non poesie. Un giorno, dopo sei mesi di fidanzamento, Sada le chiese di sposarlo e andò in visita dai suoi genitori per chiedere la sua mano. Lo accompagnò sua madre, doña Moraima Villarreal Gutiérrez, che ora ha ottantasei anni. Suo padre invece è morto già da quindici anni.

Federico Campbell assicura che il suo amico “non ha il minimo gusto per i vestiti”, ed Élmer Mendoza sostiene che “non sa scegliere le cravatte”, però il giorno delle nozze appariva impeccabile, con uno smoking all’altezza del vestito della sposa.  La cerimonia fu celebrata il sabato 16 giugno 1996 alle undici di mattina, davanti al retablo barocco della Chiesa di San Fernando, nel centro di Città del Messico. Sada aveva quarantatre anni e lei trentadue, e quel giorno ballarono senza tregua, perfino per la strada sotto la pioggia, mentre gli automobilisti li salutavano suonando il clacson.

Due anni dopo nacque la loro figlia Fernanda. La vita della famiglia Sada Jiménez scorreva serena, finché un giorno del 2003 lui non ricevette una chiamata telefonica da una ragazza di Culiacán di nome Gloria, che affermava di essere sua figlia. Aveva ventisei anni e gli riferì nei minimi particolari la relazione che lui aveva avuto con sua madre.

Quando si fa cenno alla questione, lui si porta la mano destra al petto e ribatte, guardando dritto negli occhi:

– Questo appartiene alla mia vita personale.

Si limita a dire che prese l’avvenimento “con naturalezza, anzi mi fece piacere”, e aggiunge che Gloria ha ora trentaquattro anni ed è madre di due bambine, Marla e Ximena. A loro, a sua figlia Fernanda e a sua moglie Adriana è dedicata la sua opera più recente, A la vista (Anagrama), un romanzo sul “grandissimo senso di colpa” che devono scongiurare due camionisti dopo aver ammazzato a colpi di pistola il padrone che li ha sfruttati per vent’anni.

“Jaime, ho finito di leggere il tuo manoscritto. Non funziona”. “…” Jaime non si difende. Sa che sarebbe inutile. Dopo un mese di attenta lettura, il suo maestro, Daniel Sada, ha trovato debole la sostanza del suo testo. Un anno di elaborazione del romanzo durante il corso di scrittura e un mucchio di cartelle da buttar via, perché non si tratta di cambiare un capitolo o correggere lo stile: bisogna ricominciare da capo. Lo scrittore li aveva avvertiti fin dal primo giorno: “Pretenderò da voi molto, tutto. Ma vi sosterrò anche molto, in tutto”. Da allora sono dovuti passare due anni di sforzi e altre due versioni del manoscritto perché alla fine Sada dicesse: “Questa è la tua storia!”.

Il risultato del processo è stato Rabia (Alfaguara, 2008), romanzo con cui Jaime Mesa ha esordito nel mondo editoriale. Il giovane scrittore ha in programma per il 2012 l’uscita di Los predilectos, sempre per Alfaguara. Mesa, all’età di ventun anni, aveva preso parte al corso che Sada impartiva a Puebla nel 1998. Quando era stato il suo turno di presentarsi, aveva detto: “Ho scritto cinque romanzi”. “Guarda un po’, hai scritto più di me” era stata la risposta di Sada, con un sorriso sardonico.

Per più di venticinque anni, dalla sua prima esperienza alla Casa de la Cultura di Campeche, Sada ha dato corsi di poesia e narrativa in diverse città del paese. Dice di farlo perché non vuole restare rinchiuso, a macerarsi nella propria opera.

– Un modo per alleggerire il lavoro letterario è tenere corsi di scrittura, considerando anche che vedendo le opere nel loro farsi imparo molto dalle soluzioni trovate dagli allievi.

Interpellando chi è passato dai corsi dello scrittore per farsi raccontare quell’esperienza si ottengono risposte entusiaste. Eunice Mier, autrice di Intacto (Porrúa, 2011), assicura che i suoi commenti taglienti vanno al cuore dei personaggi e della storia. Ricorda così la lezione più memorabile del corso: “Finii di leggere. Mi guardò e accavallò le gambe. Dissi: non funziona, vero? Scosse la testa. Non so come scriverlo altrimenti, replicai, e sentii la nausea della disapprovazione. Allora lui mi disse: Eunice, questo personaggio merita la tua migliore scrittura. Riscrivi da capo tutto il romanzo”.

Durante le lezioni settimanali, per corredare le sue osservazioni, Sada suole citare a memoria poesie e incipit di romanzi consacrati. Non si stanca di ripetere che se non si legge abbastanza, “e non è mai abbastanza”, non si può essere buoni scrittori. Martín Solares ricorda che uno dei suoi consigli è “individua chi sono i tuoi maestri sul tema e sali sulle loro spalle”. Un altro dei suoi insegnamenti riguarda la costanza del lavoro, che esige sacrificio. “Dice sempre ai suoi allievi di alzarsi molto presto e dare ai loro romanzi le migliori ore del giorno, prima di andare al lavoro”.

La sua “franchezza di uomo del nord”, afferma la giornalista Rosa María Villarreal, viene fuori al momento di criticare i testi, e anche per “buttare fuori” le persone dai suoi corsi. “Quando Daniel si rende conto che un allievo non capisce o non fa caso alle sue osservazioni, gli dice: ‘Questo corso non fa per te’, e lo indirizza da qualcun altro”.

Può però anche succedere che – come nel caso di Isaí Moreno, dopo tre anni e mezzo di partecipazione al corso da cui è scaturito il suo romanzo Adicción (Planeta, 2004) – Sada dica: “Ormai non hai più niente da fare qui: dovresti dare tu stesso un tuo proprio corso”. Ciò non spezza il legame, trasforma solo l’allievo in amico e le lezioni in conversazioni da caffè letterario.

In una fotografia che sua madre ha serbato, Daniel Sada appare a cinque anni vestito con l’uniforme dei Caballeros Águila di Mexicali, nell’atto di lanciare una palla. Era la mascotte di questa squadra di baseball, di cui suo padre era dirigente, e per questo gli piace dire di aver imparato le regole di questo sport ancor prima che a leggere e a scrivere. Oggi è un tifoso degli Yankees di New York e dei Diablos Rojos di Città del Messico, mentre nel calcio tiene per i Chivas di Guadalajara. Il calcio l’ha praticato anche un po’ in gioventù. Ricorda José María Espinasa: “Di sabato ci trovavamo sul prato che c’era dov’è oggi il parcheggio della Facoltà di Filosofia e Lettere della unam, per fare una partitella. Mi ricordo che c’erano, tra gli altri, Pancho Hinojosa, Hermann Bellinghausen e José Luis Rivas. Daniel non correva molto, ma aveva senso della posizione e visione di gioco”.

Un’altra delle passioni di Sada sono gli scacchi, a cui gioca con gli amici di tanto in tanto, ma nel tempo ha avuto due avversari di rilievo: Juan José Arreola, che sconfisse perché “non era molto bravo, era più un romantico degli scacchi che altro”, e il campione mondiale Veselin Topalov, con cui gareggiò nel febbraio 2006 in una esibizione di partite simultanee a cui parteciparono anche gli scrittori Vicente Leñero ed Eliseo Alberto. Non vinse, ma fu uno degli ultimi a essere sconfitto dal bulgaro.

Non sa cucinare, ma si considera “un mezzo gourmet”. Gli piace la cucina francese e italiana, ma quella che ama di più è la cinese, senza essere troppo esigente. Una volta invitò a pranzo il suo editore di Anagrama, Jorge Herralde, e lo portò in un semplice ristorante cinese della Zona Rosa. Lo scrittore Federico Campbell, che faceva parte del gruppo, inizialmente si stupì per la scelta di un posto così “poco sofisticato”, ma alla prova dei fatti “il cibo risultò eccellente”.

Da buon norteño, Sada ha una gran passione per la carne, e amava riunirsi con i suoi allievi di corso nei ristoranti del quartiere Condesa, dove ordinava senza rimorsi piatti controindicati per il diabete – che gli avevano diagnosticato da quattordici anni –, come cochinita pibil e chamorro [maialino da latte arrostito sottoterra e stinco di maiale], racconta Rosa María Villarreal. “Una volta arrivai a lezione mangiando un dolce di tamarindo e Daniel mi chiese di assaggiarlo. Mi pregò poi di portagliene ogni volta che andavo al corso”. L’allieva, divertita da tanta golosità, raccontò poi l’aneddoto a un amico comune, il pittore Arturo Rivera, che si allarmò: “No, non portargli più tamarindo. Ha il diabete, lo uccideresti”.

Da circa un anno e mezzo Daniel Sada ha cominciato a sentirsi soffocare nel salire le scale, o anche a percorrere i pochi isolati che separano il suo appartamento dalla Casa Refugio Citlaltépetl, sede dei suoi corsi. Mentre il pneumologo non ha riscontrato alcun disturbo, il cardiologo ha constatato che, senza rendersene conto, lo scrittore aveva subito un microinfarto e il cuore stava lavorando al cinquanta per cento.

Nel novembre scorso, alla Feria Internacional del Libro di Guadalajara, l’autore ha percorso i corridoi tra gli stand su una sedia a rotelle. Appariva magro e con la pelle cerea. Cominciavano a cedergli i reni. Il problema principale era che era privo di copertura sanitaria e di assicurazione medica, e le sue entrate come insegnante di corsi di scrittura e borsista del snca, insieme allo stipendio di docente di sua moglie, non erano sufficienti a coprire il costo delle spese mediche. Alla fine però è stato accettato nell’isste (Instituto de Seguridad y Servicios Sociales de los Trabajadores del Estado), a cui Adriana ha diritto.

I suoi numerosi amici hanno poi deciso di aiutarlo con un’asta pubblica, organizzata da Villareal e dalla scrittrice Ana Fuentes, con lo slogan “Spalla a spalla con Daniel Sada”. La sera del 27 maggio l’asta ha fruttato la somma di 79.500 pesos, grazie alla vendita dei manoscritti e delle opere donate da quaranta scrittori e artisti plastici come Laura Esquivel, Héctor Aguilar Camín, Gabriel Macotela e Arturo Rivera. Presente durante tutta la serata, Sada ha detto ai suoi amici: “Con il vostro appoggio mi infondete vita. Voglio andare avanti”.

Lunedì 10 ottobre Sada ha vissuto una giornata di emozioni contrastanti. Vari amici lo hanno chiamato, congratulandosi con lui per l’assegnazione del Premio Nacional de Ciencias y Artes, benché non gli fosse stato ancora notificato ufficialmente. L’euforia, che poi si sarebbe rivelata ingiustificata, era scaturita da un trafiletto del quotidiano «La Jornada», in cui si leggeva che “lo scrittore José Agustín, e molto probabilmente il romanziere Daniel Sada, avrebbero ricevuto il Premio Nacional de Ciencias y Artes 2011, nella sessione di Linguistica e Letteratura”. La nota assicurava che la Secretaría de Educación Pública avrebbe confermato la notizia quel lunedì, cosa che poi non è accaduta. Sada era stato proposto per l’assegnazione dell’onorificenza, del valore di centomila pesos, dagli istituti di cultura di vari stati del nord come Baja California e Chihuahua, dall’Universidad Autónoma di Nuevo León e dal Tecnológico di Monterrey. Pur consapevole che l’esito dei premi è sempre incerto, spera che questa volta “il diavolo ci metta lo zampino e si ottenga qualcosa”.[1]

Un’autentica soddisfazione l’ha avuta però agli inizi di ottobre, quando ha ricevuto le bozze finali della traduzione in inglese di Casi nunca, romanzo che con il titolo Almost Never uscirà in libreria il prossimo aprile, per la casa editrice Graywolf.

E ora aspetta di veder pubblicato l’altro romanzo, El lenguaje del juego, che ha terminato di scrivere quando la malattia dava i primi segnali. Dice di essere nelle mani di Herralde, il suo editore, ma poiché è superstizioso, anticipa soltanto che la storia è ambientata a San Gregorio, un paese come ce ne sono molti nel nord del Messico, dove la vita di una famiglia si vede sconvolta dalla presenza del narcotraffico. Ed è l’ultima cosa che dice, visto che ha già parlato per un’ora e la respirazione gli si è andata facendo sempre più affannosa, facendolo passare dalle frasi ai monosillabi. Nel salutare, tende una mano pallida, bianca come la cera. Carmen, l’infermiera, lo aiuta ad alzarsi dalla poltrona. Cammina molto lentamente verso la stanza che era il suo studio, dove in questi giorni è stato installato un letto e un apparecchio per la dialisi. Ma lì in un angolo c’è ancora la sua piccola scrivania, di legno grezzo, che ora è spoglia.


[1] Daniel Sada è morto il 18 novembre 2011, per un’insufficienza renale causata dal diabete. Poche ore prima è stato reso pubblico il conferimento allo scrittore del Premio Nacional de Ciencias y Artes 2011, ma Sada non ha potuto apprendere la notizia perché si trovava sedato al momento dell’annuncio. [N.d.T.]

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