Pubblichiamo la trascrizione (a cura di Dario Weiner) della prima parte di un seminario di Ricardo Piglia tenuto presso la facoltà di Filosofia dell’Università di Buenos Aires nel 1991 sul concetto di “finzione paranoica”, un tema caro all’autore, che lo ha ripreso anche nel suo più recente romanzo, Bersaglio notturno.
di Riccardo Piglia
Traduzione di Stefano Saverio Spadea
Una delle linee guida di questo testo sarà un’analisi su come si forma un genere letterario e come cambia, vale a dire, le frontiere o meglio gli spazi di un genere. In quale momento un genere si trasforma in un altro. Da Agatha Christie a Dashiell Hamett il genere cambia, così come da Sherlock Holmes a Philip Marlowe, se prendiamo in considerazione un periodo storico più ampio, tutto sembra essere cambiato.
Quindi i cambi di genere sembrerebbero un primo problema. Al tempo stesso possiamo anche parlare di situazioni di convivenza, nel caso in cui registri differenti convivono in una stessa narrazione. Philip Dick, che tradizionalmente è stato ascritto alla fantascienza, ha comunque utilizzato formule tipiche del genere poliziesco. Questo per dire come un genere ne contamina altri e Borges è un esempio di queste contaminazioni.
La seconda domanda riguarda l’enigma e la narrazione. Discutiamo ora del problema dell’enigma in un racconto e mettiamo al centro della discussione il tema del segreto e di ciò che non viene detto in un testo. Vedremo anche fino a che punto è possibile discutere della problematica dell’enigma legata ai procedimenti narrativi. Possiamo stabilire un legame tra enigma e filosofia, fra un problema non risolto e la logica. Quello che mi interessa tenere in considerazione è questa relazione più specifica tra il fatto di narrare una storia e, sempre nella stessa storia, lasciare una zona d’ombra, qualcosa che non è stato detto e che rappresenta un enigma. Ciò che intendo dire è che in un racconto, una narrazione, l’enigma, il segreto appare spesso in un punto ben preciso e che dunque si tratta di una problematica spazializzata, collocata e rappresentata in una zona precisa del testo.
Questo è il doppio dibattito che caratterizzerà tutto il seminario. In primo luogo, il problema, chiamiamolo in questo modo, dell’evoluzione letteraria. Perché le stesse storie non vengono raccontate sempre alla stessa maniera. Io credo si tratti di una delle incognite della letteratura. Le storie sono sempre le stesse, ma il modo di esporle cambia. In questo senso credo che i generi rappresentano uno strumento infallibile per cominciare questa discussione.
Il poliziesco ha la peculiarità, secondo noi, di essere l’unico genere che abbiamo visto nascere ed è anche l’unico che possa essere definito moderno. Nacque nel 1841, con i racconti di Poe, e il fatto di aver visto la luce in quel periodo è significativo per il dibattito, visto che gli elementi della fantascienza, per dirlo in qualche modo, hanno radici antiche.
Nel dibattito relativo al genere poliziesco c’è un episodio che vorrei segnalare ed è un intervento di Borges durante una discussione con Roger Caillois. Quest’ultimo è un critico assai noto, che ha vissuto a Buenos Aires durante la guerra ed ha scritto un libro sul genere poliziesco pubblicato nel 1941, in cui ipotizza che è possibile trovare dei precedenti in un’opera come Le mille e una notte ad esempio e che sono stati scoperti crimini in testi molto antichi. Borges, che si occupa delle bibliografia del suo libro, lo critica duramente affermando, tra l’altro, che Caillois si sbaglia nel punto centrale della sua ipotesi, ossia non considera Poe come il padre del genere poliziesco. Una cosa è il modello della storia come investigazione, che si può incontrare agli arbori della narrativa, ed Edipo Re di Sofocle potrebbe essere considerato il primo grande racconto a partire dal quale la narrazione, intesa come investigazione avrebbe inizio. Però, quello che a noi interessa sottolineare è che il genere poliziesco nasce con la figura dell’investigatore. Questa figura specifica emerge da una problematica generale della narrazione e dall’indagine su un enigma che questa cerca di decifrare.
La geniale invenzione di Poe, la nascita del genere, ha a che fare con l’apparizione del signor Dupin, personaggio la cui funzione è essenziale a livello narrativo, per il fatto che è diverso dal narratore, ne mette in discussione l’onnipotenza e dal punto di vista della narrazione accompagna il momento di trasformazione della figura del narratore e l’apparizione del punto di vista, il cui teorico è Henry James. Quest’ultimo affronta il problema della narrazione come una posizione nello spazio, ossia la narrazione è un punto di vista parziale.
L’investigatore è colui che incarna il processo della narrazione, vista come un percorso che parte da un punto interrogativo per arrivare alla conoscenza. Inoltre questo personaggio evidenzia la questione di cosa conosce colui che narra, questione che, peraltro, fa da battistrada al romanzo moderno.
Dunque l’investigatore funziona come un personaggio che ha una relazione conflittuale con il narratore, elemento che caratterizza naturalmente la storia di questo genere letterario.
A sua volta, l’investigatore non rappresenta una figura formale, bensì una figura sociale, come colui che è capace di affrontare la problematica della verità o della legge, proprio perché non è associato ad alcun ruolo istituzionale. Al centro c’è la polizia e l’investigatore rivela che questa istituzione, a cui lo Stato ha delegato la problematica della verità e della legge, in realtà non serve.
È una figura in tensione con il mondo delle istituzioni, o per dirlo in maniera involontariamente ironica, con ciò che potrebbe definirsi l’intelligenza dello Stato. Di fronte ai servizi dell’intelligenza dello Stato e all’intelligenza dello Stato, appare anche un’intelligenza privata con tutto il peso che ha il privato nel mondo moderno. Egli si definisce privato nel momento in cui è fuori dall’istituzione. L’altra istituzione dalla quale l’investigatore è liberato è la famiglia, perché se fosse incorporato nella struttura familiare, smetterebbe di avere questo ruolo. La società afferma: si può anche essere marginali finché si vuole, ma la famiglia è il punto istituzionale di contatto con la compagine delle istituzioni. Per questo afferma, a ragione, che la famiglia è il nucleo alla base della società.
L’investigatore è, per questo motivo, sempre celibe e nei casi in cui non lo è rappresenta una parodia, come nel caso di L’uomo ombra di Hammett, o dell’ultimo romanzo di Chandler, Playback.
Quello che avevo intenzione di evidenziare è che l’investigatore si caratterizza in Poe come una figura che associa la possibilità di intervenire, in relazione alla verità e la legge, in uno spazio non istituzionale, spazio che chiamerei doppio. L’investigatore non è né dalle parte dei delinquenti, né dalla parte della legge, sempre secondo il significato istituzionale della polizia. Egli si muove piuttosto tra questi due campi: la società criminale e la società istituzionale.
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Secondo Benjamin, l’origine di un genere rappresenta anche la sua fine. Nel testo, quindi, che inaugura un genere è contenuto tutto ciò che seguirà e ne rappresenta il capolavoro ineguagliabile. L’intero genere, in un certo senso, è possibile ritrovarlo in tre opere di Poe: “I delitti della Rue Morgue”, “Il mistero di Marie Roget” e “La lettera rubata”. Sono testi scritti tra il 1841 e il 1843 e potremmo dire, in un certo qual modo, che definiscono le tematiche sulle quali il genere poliziesco compierà delle variazioni.
A questo punto solleviamo un problema più generale: come si trasfigura la problematica della forma letteraria, cercando di affrontare questo quesito in una prospettiva di lunga durata, prendendo in considerazione quei modi di narrare che sono anteriori ai generi, che compaiono durante tutta la storia della narrazione e che continuano a essere presenti tuttora: il racconto come viaggio e il racconto come ricerca.
C’è chi oltrepassa il confine e racconta quello che c’è dall’altra parte, le stranezze, le diversità che ci sono al di là. Uno, in realtà, viaggia per raccontare e, dunque, si può pensare che qui sia l’origine della narrazione, così come lo si può pensare nel caso dell‘enigma, vale a dire l’indagine su un futuro ignoto.
Prendiamo in considerazione queste due grandi forme, sviluppando il racconto come indagine, per incontrare un primo aggiornamento nel genere poliziesco. Poe effettua solo una piccola variazione a una lunga tradizione, però grazie a questa piccola variazione inventa un genere.
Un altro punto è che si tratta di un genere commerciale e affronta la problematica della tensione tra la cultura elitaria e la cultura di massa.
Dopo Poe, il poliziesco è stato un genere connesso alla problematica della scrittura fatta per vendere, senza dare importanza al fatto che i testi vendano o meno. Fare parte di un genere con queste caratteristiche vuol dire far parte di un mercato definito, con caratteristiche specifiche.
L’ipotesi del seminario è che il genere è andato incontro attualmente a un momento di trasformazione. I generi letterari hanno la tendenza a combinarsi, al tempo stesso questa relazione tra combinazione di generi e la società ci permetterebbe di parlare e definire questo nuovo stato del genere come finzione paranoica, utilizzando l’espressione nella sua accezione non propriamente psichiatrica, ma come un modo per avvicinarsi al problema di definire una forma che sia anche contenuto. Parliamo ora di certe caratteristiche formali e di alcuni contenuti specifici appartenenti in questo momento al genere poliziesco e ai generi popolari.
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Per prima cosa, parleremo di condizioni formali e sociali di un genere. Il genere poliziesco trasforma in aneddoti e in tematica un problema tecnico che qualsiasi narratore incontra nel momento in cui scrive una storia, ossia ciò che non viene narrato e che funziona come zona d’ombra. Ogni narratore incontra sempre il problema del segreto, della suspense, del mistero, e ogni racconto si muove dall’ignoto verso il noto. Ogni narrazione suppone questo passaggio e il romanzo poliziesco ne fa un tema. Poe ha collocato nel genere poliziesco una serie di problematiche tecniche che erano presenti nel dibattito sulla narrazione. Nel genere è importante il carattere narrativo della verità, il fatto che giungere alla verità supponga una certa narrazione, e questo assunto è presente in tutta la storia. Quello che andiamo ad analizzare è come il genere poliziesco tematizza alcuni dei problemi basilari della narrazione.
La peculiarità è che i punti del dibattito sulla narrazione, nel caso poliziesco, si incarnano in un determinato tipo di indagine, di ricerca di un certo tipo di sapere, in una determinata relazione tra la verità e il linguaggio e in una determinata tensione rispetto a cosa sia un fatto, Una problematica che il genere esprime costantemente, ossia cosa è successo veramente. Ogni narratore si confronta con questo problema, solo che nel genere poliziesco si trasforma in qualcosa di molto drammatico perché alla domanda “cosa è successo veramente” la risposta implica un morto.
Per quanto riguarda la seconda questione, le condizioni sociali, ho aggiunto un testo nella bibliografia, un testo che aggiungo sempre, di Benjamin sulla Parigi di Baudelaire, in cui l’autore ricostruisce, tra le altre cose, le condizioni di apparizione del genere poliziesco e considera che il primo elemento da tenere in considerazione per comprendere l’origine del genere è la nascita della società di massa, la moltitudine, l’elemento che minaccia l’anonimato altrui. A differenza di quello che è il mondo del quartiere, o del paese, in cui tutti si conoscono, l’apparizione della società moderna suppone che individui convivano in uno spazio anonimo. La giungla, la città, è il grande motore sociale del genere. In questo spazio, l’altro, l’estraneo, colui che non conosco, può essere un criminale.
Non solo, dice Benjamin, siamo circondati da sconosciuti, ma l’assassino può anche nascondersi tra questi sconosciuti, o meglio il criminale si confonde nella massa.
Nel primo romanzo del genere, “I delitti della Rue Morgue”, in cui c’è una stanza chiusa e all’interno è stato commesso un crimine, si definisce la condizione basilare del genere.
A partire dalla stanza chiusa, l’ambiente privato, il soggetto minacciato dall’altro, è a partire da questo punto, dunque, che si forma il genere. Nel momento in cui si pone la domanda di chi è responsabile di garantire la sicurezza privata, ampio argomento di questa società, nasce anche il genere.
Si tratta, nuovamente, del problema dello Stato e della possibilità che ha di proteggere le vite private. Un tema che in Argentina è sempre all’ordine del giorno e che produce spesso uno collegamento, per il quale si associa autoritarismo con sicurezza privata. Si suppone che un governo autoritario, dal punto di vista politico, abbia sufficiente autorità per proteggere gli individui in quelle zone in cui gli stessi si sentono minacciati dalla presenza altrui. Questa è la tematica del genere.
Le forme che assume la figura dell’altro appartengono, beninteso, ai limiti di ogni cultura. Si potrebbe dire che la figura che segna il limite di ogni cultura e che funziona come modello stesso dell’altro per il genere è il mostro, l’incarnazione dell’altro. Colui che appare nel primo romanzo del genere, il gorilla di “I delitti della Rue Morgue”.
L’individuo, chiuso nel suo spazio, incontra fuori di esso un mondo in cui la differenza si spinge fino al punto di fargli apparire il diverso come un mostro. Quest’ultimo è la figura principale dei generi popolari.
Stavo pensando all’inizio del Facundo, un romanzo contemporaneo all’origine del genere. Si potrebbe dire che il gioco di organizzazione dei limiti di una cultura è costituito dal mistero e dal mostro. Lì troviamo quello che una cultura non può comprendere; è la parola degli dei, se si guarda alla grande tradizione. L’enigma è ciò che afferma la verità ultima, è la parola dell’oracolo, e il mostro è l’altro limite. Da un lato c’è l’enigma, come limite tra la società umana e quella divina, dall’altro c’è il mostro, l’essere inumano che fa parte della natura.
Sarmiento comincia il Facundo con un’invocazione dell’enigma e trova nella figura del mostro, metà donna e metà tigre, il punto a partire dal quale può instaurare questa grande ricerca di questo gioco civilizzazione-barbaria che, in realtà, ha molto in comune con il genere poliziesco, nel senso che nel genere c’è sempre una tensione tra questi due mondi.
I contenuti sociali del genere, dunque, passano centralmente per questa struttura della soggettività, una soggettività minacciata. Ciò che è interessante nel genere poliziesco è che si può considerare un genere capitalista in senso letterale. Nasce con il capitalismo, fa del denaro uno dei suoi motori principali, è un tipo di letteratura fatta per essere venduta come mercanzia nel mercato letterario, funziona con formule, ripetizioni, stereotipi. Questi elementi sociali e formali, presenti nel genere sin dalle sue origini, vengono oggi esasperati per dar luogo a quella che chiamo, in modo completamente ipotetico, finzione paranoica.
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Questi elementi di minaccia si sono sviluppati, potremmo dire, nell’immaginario contemporaneo. La letteratura si è fatta carico ogni volta di più dello sviluppo dell’immaginario della minaccia della vita quotidiana messa in pericolo.
Per cominciare, prendiamo in considerazione due elementi, allo stesso tempo di forma e di contenuto, per definire il concetto di finzione paranoica. Il primo è l’idea di minaccia, il nemico, i nemici, colui che insegue, coloro che inseguono, il complotto, la cospirazione, tutto ciò che possiamo tessere intorno a uno dei lati di questa coscienza paranoica, l’estensione che presuppone quest’idea della minaccia come un dato di questa coscienza.
L’altro elemento importante nella definizione di questa coscienza paranoica è il delirio interpretativo, ossia, l’interpretazione che cerca di cancellare la casualità, di fare come se non esistesse, e tutto ubbidisse a una causa che può essere nascosta, e ci fosse una sorta di messaggio cifrato “rivolto a me”. Lo sguardo di Sherlock Holmes, di Dupin che guarda la compagine sociale come una rete di segni rivolti verso di lui per poter decifrare questo segreto tramite una sorta di messaggio che è necessario interpretare. Per questo motivo il romanzo poliziesco è legato alla psicoanalisi e la psicoanalisi, così come dice Octave Mannoni, non si sa se sia una conoscenza del delirio o il delirio di una conoscenza. Non si tratta di una freddura visto che, in un certo senso, si impara dal delirio. Il delirio interpretativo rappresenta anche un punto di congiunzione con la verità.
Quando parlo, dunque, di questa tensione tra minaccia e interpretazione come punti di partenza per definire questa nuova esasperazione della tradizione del genere, intendo dire che è qui che dovremmo cominciare a veder funzionare nella letteratura contemporanea una serie di croci e la presenza della coscienza paranoica del romanziere. Non del soggetto che scrive. La coscienza che narra è una coscienza paranoica. Questo non ha nulla a che fare con ciò che accade a Burroughs nel Pasto nudo o a Gombrowicz in Cosmos. Non mi riferisco a Gombrowicz, ma al narratore di Cosmos.
Si potrebbe dire che c’è uno stato della narrazione, uno stato del romanzo, che si afferma nell’esistenza di questi generi, sopratutto il poliziesco, che fanno di questa problematica uno dei suoi materiali centrali, prende questi sottogeneri ed esaspera questo campo. Io direi che la situazione del romanzo contemporaneo è un po’ questa.
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