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La colonna sonora di una dittatura

Dimitri Papanikas Musica, Società, SUR

Domani, 24 marzo, in Argentina si commemora il 40 ̊ anniversario del colpo di stato e della nomina a presidente del generale Jorge Rafael Videla. Dal 2002 in questa data si celebra anche il Giorno della Memoria per la Verità e la Giustizia, in ricordo dei morti causati dalla «guerra sporca» scatenata dalla dittatura militare che poi governò il paese fino al 1983.
Pubblichiamo un articolo di Dimitri Papanikas sul ruolo del rock e della musica popolare
 nelle politiche del regime che governò il paese 
dal 1976 al 1983, la caccia agli artisti non allineati, i paradossi della censura. Il pezzo è uscito su
il manifesto, che ringraziamo.

di Dimitri Papanikas

Nell’estate del 2009, nel corso della progressiva desecretazione di numerosi documenti redatti durante l’ultima dittatura militare, di cui in Argentina si commemora il 37mo anniversario [l’articolo è del 2013, ndr], la stampa internazionale pubblicava un interessante dispaccio, datato luglio 1982 e firmato dal Comité Federal de Radiodifusión de la Presidencia de la Nación. Sette pagine dattiloscritte contenenti il minuzioso elenco delle canzoni giudicate «pericolose, offensive e moralmente inadatte a essere trasmesse attraverso i servizi di radiodiffusione».

Oltre duecento brani di autori come Serge Gainsbourg, Charles Aznavour, Joan Baez, Donna Summer, i Queen, The Doors, Eric Clapton, i Pink Floid, John Lennon e Rod Stewart. Particolarmente significativa fu la presenza di artisti italiani. Tra questi Paolo Limiti e Shel Shapiro (Buonasera dottore), Cristiano Malgioglio (L’importante è finire), Gino Paoli (La donna che amo), Claudio Baglioni (Questo piccolo grande amore), Nicola di Bari (Mia), Mogol e Battisti (E penso a te), fino a Gianni Boncompagni e Daniele Pace con Tanti auguri, portato al successo internazionale da Raffaella Carrà.

Se da un lato è facile immaginare perché secondo la logica golpista canzoni come Triunfo agrario, Nuestro pueblo, Andar libre, Chamarrita de los milicos potessero rappresentare un’inammissibile affermazione del libero pensiero, dall’altro risulta curioso che Raffaella Carrà, Gianni Boncompagni, Claudio Baglioni e Cristiano Malgioglio venissero ritenuti in grado di corrompere i giovani argentini con la carica sovversiva dei propri testi. Eppure, per quanto grottesco, ancora una volta nella storia gli eventi mostrarono che in un regime totalitario anche l’espressione dei sentimenti può essere giudicata minacciosa per l’ordine pubblico e la pace sociale.

«Operativo Claridad»
Nel centro di Buenos Aires, non distante dal famoso Teatro Colón e dal celebre obelisco dell’Avenida 9 de Julio, si trova la Biblioteca Nacional de Maestros, tra le più importanti del paese, con un prezioso fondo documentale di circa duecentomila volumi, tra i quali un fascicolo, un tempo catalogato come «confidenziale», intitolato Política educativa del Proceso de reorganización nacional. Il documento, datato 3 luglio 1980, si compone di poco più di un centinaio di pagine dattiloscritte in cui il ministro della Cultura e dell’Educazione racconta in forma dettagliata ai vertici della Giunta militare le politiche attuate in materia di educazione. Sfogliandolo si può notare facilmente che sono stati strappati una quindicina di fogli. Tuttavia è sufficiente un’occhiata all’indice, scampato provvidenzialmente al maldestro censore, per accorgersi che a mancare è il capitolo dedicato all’Operativo Claridad, nome in codice di una specifica attività repressiva rimasta sconosciuta fino al marzo 1996, quando alcuni giornalisti del quotidiano Clarín le dedicarono un’inchiesta. Si trattò di una capillare caccia agli oppositori del regime, i «sovversivi», come si era nuovamente cominciato a chiamarli, organizzata a partire dal maggio 1976, proprio dal Ministero della Cultura e dell’Educazione della Nazione. L’operazione mirava ad allineare la cultura nazionale, emarginando le frange dissidenti e mettendo sotto stretto controllo l’operato di artisti, intellettuali, docenti e giornalisti ritenuti «scomodi». Furono in molti a cadere sotto i colpi della censura: ai più fortunati venne imposto il silenzio o l’esilio, agli altri, ai tanti che non vollero o non riuscirono a fuggire, la morte e la desaparición.

Generazione Zero
Chi restava a Buenos Aires doveva rassegnarsi al silenzio o adottare precauzioni estreme per sopravvivere, non solo artisticamente. Tra questi Rodolfo Mederos, bandoneonista poco più che ventenne, che in quelle condizioni seppe imprimere un deciso impulso innovatore alla vita musicale argentina. Leader del gruppo Generación Cero e autore di brani sperimentali con influenze di jazz, rock e tango, nel 1984 Mederos recitò come protagonista del film Las veredas de Saturno. La pellicola racconta la storia di un paese sotto assedio, chiamato col nome immaginario di Aquilea, da cui un giovane musicista di tango è costretto a fuggire riparando a Parigi.

Per continuare con il tango, a parte l’epurazione sporadica di qualche brano giudicato particolarmente offensivo nei confronti della morale cattolica e di qualche vecchia canzone di Carlos Gardel (solo quando accompagnato da chitarra, a causa della scarsa qualità delle registrazioni), la Junta militar non ebbe alcun problema a utilizzarlo per contribuire a creare un’immagine di un’Argentina docile, sensuale e passionale. Il 19 dicembre 1977 il presidente de facto Jorge Rafael Videla firmò il decreto che istituiva il Día Nacional del Tango, ratificando una vecchia idea che si proponeva inutilmente alle autorità da oltre un decennio. Nell’occasione il ministro della Cultura Juan José Catalán promise che nel corso dei Campionati del Mondo di Calcio dell’anno successivo il tango avrebbe avuto lo spazio che meritava. Lo confermeranno di lì a breve le volenterose partecipazioni di Ennio Morricone e Astor Piazzolla alla composizione della colonna sonora del Mondiale. Successivamente, nel novembre del 1979 i militari fondarono l’Orquesta de Tango de la Ciudad de Buenos Aires, in attività dal 1980 come organismo stabile del Ministero della Cultura di Buenos Aires, autorizzata a diffondere le opere più rappresentative del genere e a promuoverne la preservazione, l’evoluzione e la divulgazione, sia in Argentina sia all’estero.

Il patto delle isole Malvine
Ma fu con la guerra per il possesso delle isole Malvine del 1982 che musica e dittatura siglarono definitivamente il proprio patto. Il conflitto contro il Regno Unito cominciò così a svolgersi su un duplice piano. Su quello militare con l’invio di migliaia di coscritti, mal equipaggiati e in balìa di comandanti corrotti e inesperti, nel profondo sud argentino, per fronteggiare una delle maggiori potenze della terra. Su quello culturale, al riparo dalle bombe e dai fucili, attraverso il solerte contributo alla causa di numerosi intellettuali e artisti.

Ad ogni modo il caso di Piazzolla non fu isolato. Un altro maestro del tango, Osvaldo Pugliese, dopo una lunga vita trascorsa tra le più importanti milonghe di Buenos Aires e il carcere, a causa della sua iscrizione al partito comunista, rispose alla chiamata della Patria incidendo per la propaganda di guerra Son y serán argentinas, con versi come «Queridas islas Malvinas / pedazo del corazón / donde la sangre argentina / afirma la divina / bandera de mi Nación».

Di fronte alla propaganda di guerra caddero anche le menti fino ad allora più illuminate. Tra queste il caso più eclatante fu quello di Atahualpa Yupanqui, il padre del folclore latinoamericano del XX secolo. Questi nel 1982, insieme ad Ariel Ramírez, che compose la musica, e alla cantante Lolita Torres, pubblicò un disco dal titolo inequivocabile: La hermanita perdida: homenaje a las Malvinas argentinas con versi come: «… in venti milioni / ti chiamano: sorella… / Sulle acque australi / planano gabbiani bianchi. / Dura pietra intenerita / dalla sacra speranza. / Ah, sorellina perduta. / Sorellina, torna a casa. / Malvine, terra prigioniera / di un biondo tempo pirata. / La Patagonia ti sospira. / Tutta la Pampa ti chiama. / Seguiteranno le mille bandiere / del mare, azzurre e bianche, / però vogliamo vederne una / piantata sulle tue pietre. / Per riempirti di criollos. / Per plasmarti il volto / finché non riveli l’espressione / antica della Patria. / Ah, sorellina perduta. / Sorellina, torna a casa».

La colonna sonora di una dittaturaLe stelle internazionali
Poi arrivarono le grandi stelle della musica internazionale. Primi tra tutti i Queen, capitanati da Freddie Mercury, nel febbraio 1981, seguiti da Frank Sinatra nell’agosto 1981. La notizia suscitò immediatamente grande interesse presso la stampa, ma anche forti perplessità in quanti ritenevano che la partecipazione di The Voice fosse in realtà un’operazione di propaganda concepita dal regime.

Di fronte a una comunità internazionale opportunisticamente muta, quando non direttamente interessata a stringere affari con la Junta militar, il mercato discografico, come qualche anno prima quello del calcio, si fece duro interprete di un condiviso disinteresse verso le ormai numerosissime denunce pubbliche che imputavano al regime crimini orrendi.

Ma anche il rock nazionale diede il suo contributo. La sera del 16 maggio 1982 circa 70mila spettatori si ritrovarono nei pressi dello stadio de Obras Sanitarias di Buenos Aires, a poco più di dieci isolati dall’Escuela de Mecánica de la Armada (la Esma, famoso centro di detenzione clandestina, trasformato nel 2004 in sede dell’Espacio para la Memoria y para la Promoción y Defensa de los Derechos Humanos). Quello che stava per iniziare sarebbe passato alla storia come il Festival de la Solidaridad Latinoamericana. Un evento concepito dalla Junta militar ufficialmente per raccogliere medicinali e alimenti da inviare alle truppe argentine, ormai allo stremo sul fronte delle Malvine, ma in realtà come disperato atto di propaganda destinato soprattutto alla popolazione giovanile. Le radio e le televisioni di tutto il paese, insieme a quelle delle nazioni che durante il conflitto appoggiarono l’Argentina, trasmisero il Festival in diretta.

Tra gli artisti invitati, alcuni dei quali in seguito si pentiranno di non essersi accorti in tempo della manipolazione subita, molti erano i nomi di spicco. Tra gli altri Charly García, Luis Alberto Spinetta, Litto Nebbia, Nito Mestre, David Lebón, Pappo, Miguel Cantilo e Jorge Durietz. Che in gran numero avessero sofferto in passato le violenze della censura è forse la miglior prova della loro buona fede. Ad ogni modo, mentre la maggior parte dei colleghi aderiva all’iniziativa, i componenti della band Virus, declinarono l’invito e risposero coraggiosamente col disco Recrudece, mostrando piena consapevolezza delle cose: «Ci hanno invitato a un grande banchetto, / ci saranno dolci, gelato e pure il sorbetto. / Hanno sacrificato giovani vitelli, / per preparare una cena ufficiale, / è stato concesso un mucchio di denaro / però promettono un menu magistrale. / […] I cuochi sono molto famosi / e ci offrono le loro nuove ricette. / La minestra sembra un po’ riscaldata, / qualcuno dice che è dell’altro ieri» (El banquete, 1982). Una rabbia dolorosa, un’indignazione profonda che si riversarono un anno dopo nel disco Agujero interior, con canzoni come Ellos nos han separado, dedicata a uno dei fratelli del leader della band, desaparecido durante gli anni più oscuri della dittatura, proprio come era toccato alla sorella del cantautore Victor Heredia. Al Festival León Gieco eseguì una commovente versione di Sólo le pido a Dios, brano censurato nel 1978 ma per l’occasione sdoganato dai militari perché giudicato «di interesse nazionale per la pace». Resosi in seguito conto della strumentalizzazione cui si era inconsapevolmente prestato, Gieco si rifiuterà di cantarlo per anni.

La memoria corta di Borges
A democrazia ristabilita, un mattino del giugno 1985, in una sala del Tribunale di Buenos Aires, mentre alcuni sopravvissuti raccontavano le atrocità patite durante la detenzione clandestina, Jorge Luis Borges sedeva in platea. Dopo alcuni minuti ebbe un collasso. Fu immediatamente soccorso dai servizi di infermeria e condotto fuori dall’aula giudiziaria. Ai giornali dichiarò che era stato orribile ascoltare ciò che furono capaci di fare i militari ai propri concittadini. Ma la sua sensibilità aveva la memoria corta. Erano passati quasi dieci anni dall’inizio di quell’orribile stagione e altrettanti ne erano trascorsi da quando, il mattino del 19 maggio 1976, a distanza di neppure due mesi dal golpe, il generale Jorge Rafael Videla lo aveva invitato nella Casa Rosada per un pranzo ufficiale insieme a Ernesto Sabato e altri intellettuali. Intervistato per l’occasione, Borges confidò alla stampa: «Lo ringraziai personalmente per aver salvato il nostro paese». Non si trattò di un peccato di ignoranza, come in seguito sostennero in molti per assolvere l’illustre letterato e i numerosi intellettuali e artisti che avevano plaudito ai militari per essersi assunti l’onere di «normalizzare» il paese e «annichilire» la sovversione. Ad ogni modo sarebbe bastato riflettere sul concetto di «normalizzazione» per rendersi conto che qualcosa di terribile stava per accadere. Gli esempi cileni e uruguayani erano sotto gli occhi di tutti. Ma non servirono e per pudore si preferì guardare da un’altra parte.

© Dimitri Papanikas, 2013. Tutti i diritti riservati.

Dimitri Papanikas è storico della canzone latinoamericana e critico musicale. Dal 2009 presenta il programma Café del sur (Radio 3 España).

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