Fra gli invitati cileni al prossimo Salone del libro di Torino NON ci sarà Pedro Lemebel, del quale Roberto Bolaño ebbe a dire: «Lemebel non ha bisogno di scrivere poesia per essere il miglior poeta della mia generazione». Riprendiamo un pezzo che gli dedicò nel 2008 Francesca Lazzarato sul «manifesto» in occasione della pubblicazione in Italia di Baciami ancora, forestiero.
A seguire, il Manifiesto di Lemebel cui si accenna nel testo.
di Francesca Lazzarato
Hanno ragione i suoi editori, quando parlano di lui nella premessa a Baciami ancora, forestiero (Marcos y Marcos) appena presentato al Festival di Mantova: Pedro Lemebel è un incantatore. Lo si capisce appena compare nell’atrio dell’hotel di cui è ospite a Roma (oggi alle 18 ha un reading al Cervantes in piazza Navona), attirando con ironica noncuranza tutti gli sguardi, provocazione vivente in tunica beige e calzoni assortiti, un foulard che incornicia il viso bruno e arguto. A guardarlo vengono in mente i versi del Manifiesto che, letto per la prima volta nel 1986 durante la manifestazione del Partito Comunista cileno, rappresentò in certo senso l’inizio della sua carriera letteraria: «Non ho bisogno di travestimenti/Questa è la mia faccia/Parlo in nome della mia differenza…».E la sua faccia (non quella del «personaggio» che può sembrare, ma della persona che è, capace di coniugare una malinconica gioia di vivere con una grande lucidità) Lemebel l’ha messa in gioco senza esitazioni, diventando il geniale performer che con Francisco Casas ha fondato nel 1987 Las Yeguas de l’Apocalipsis e realizzato oltre 800 serate in cui il corpo, le immagini, le voci, gli oggetti interagivano per denunciare, inquietare, ricordare.
Negli anni della dittatura Las Yeguas hanno agitato le acque scure della Santiago pinochetista, finchè la placida palude della Concertación non le ha inghiottite e messe a tacere. È stato alora che Pedro Lemebel ha aggiunto un altro tassello al puzzle della sua identità di ragazzo povero dei quartieri popolari di Santiago, di marica costretto a misurarsi con la violenza e il dileggio («ho cicatrici di risate sulla schiena»), di grande artista visuale. È subito dopo la sparizione delle Yeguas, nel ’95, che esce La esquina es mi corazón, la prima raccolta delle sue cronicas, modernissime cronache urbane scritte per essere lette ai microfoni della femminista Radio Tierra o per comparire sui giornali dell’opposizione, rigorosamente autentiche eppure trasfigurate fino ad apparire puro cuento, grazie a una scrittura sorprendente che è la vera cifra di un autore mai banale, capace di «lavorare» il linguaggio come una stoffa preziosa. A quel libro ne sono seguiti altri sette, tra cui il magnifico romanzo Ho paura torero (Marcos y Marcos 2004), per arrivare a questa antologia in cui si mescolano testi inediti e altri già apparsi nei volumi editi da Planeta.
«Sì, è cominciato tutto col Manifiesto. Non solo è stato pubblicato su “Pagina Abierta”, ma mi hanno pagato! E io scrivo anche perché mi pagano» dice allegro Lemebel, che è oggi fra i più popolari autori cileni.«Ma non ho niente in contrario se i miei libri vengono scaricati gratis dalla rete, o se vengono piratati e venduti agli angoli delle strade. In Cile i libri costano più o meno come una settimana di salario, e la pirateria è nell’ordine della cose. A me sta bene che i miei scritti circolino, vorrei che andassero in giro come la letteratura de cordel, quei fogli stampati che i cantastorie appendevano a una corda da bucato».A parte l’unico romanzo, del resto, tutto quanto Lemebel scrive è connotato da una benedetta brevità: prose succinte che raccontano la vita quotidiana – incontri, amori, lampi di desiderio – e non dimenticano quello che in troppi sembrano voler dimenticare: i nomi e le facce della dittatura, le ombre dei desaparecidos.
Perché in Cile, a differenza della vicina Argentina dove si cominciano a elargire ergastoli ai repressori di un tempo, i conti con il passato sono in gran parte da fare.«Gli assassini di Victor Jara, per esempio, li conoscono tutti, ma sono in libertà e nessuno li persegue. La destra non ha più il potere, ma ha comunque “un” potere, c’è un patto che garantisce non solo l’impunità ma la permanenza in luoghi chiave come la televisione, ancora in mano ai padroni di un tempo: rivediamo ogni giorno le stesse facce di allora, quelle che hanno messo sorrisi e bugie al servizio della dittatura. Anche per questo in televisione non vado più: sanno benissimo che non ci sto a far finta di niente». Grande amico di Gladys Marìn (la segretaria del Partito Comunista morta un anno fa), Lemebel è innegabilmente uno scrittore politico, e non solo perché non vuole rinunciare alla denuncia: tutto quanto dice o scrive – persino quando parla d’amore, come nelle lettere che appaiono in Baciami ancora, forestiero – rivendica rispetto per le minoranze, per la pluralità dei modi di esistere e amare.«È la cosa che più mi sta a cuore, ma non voglio essere la Eva Perón delle locas, degli omosessuali, dei marginali, anche se tutto questo fa parte della mia storia. L’etichetta di cantore della marginalità mi sta stretta: in primo luogo perché non sopporto che mi dicano cosa devo fare, e poi perché sono aperto a tutte le possibilità. Inoltre dubito che esista una letteratura omosessuale: esiste caso mai una sensibilità omosessuale, come ha detto lo scrittore messicano Carlos Monsivais nel presentare un mio libro. La prova sta nel fatto che i miei lettori non sono contraddistinti dall’orientamento sessuale, e in maggioranza sono donne». Il suo legame con il femminile è del resto quasi amoroso, suggellato dall’aver sostituito anni fa il cognome paterno con quello della madre. E proprio di sua madre parlano alcuni capitoli di Serenata cafiola, ultima sua opera che uscirà in Cile per Planeta ai primi di ottobre: un libro pieno di ricordi e di musica, da Victor Jara a Mina, da Chavela Vargas a Charly Garcia, quella musica che ha segnato le tappe della sua vita, e di cui è intrisa la sua prosa, libera e audace come lui.
Manifiesto (Hablo por mi diferencia)
di Pedro Lemebel
No soy Pasolini pidiendo explicaciones
No soy Ginsberg expulsado de Cuba
No soy un marica disfrazado de poeta
No necesito disfraz
Aquí está mi cara
Hablo por mi diferencia
Defiendo lo que soy
Y no soy tan raro
Me apesta la justicia
Y sospecho de esta cueca democrática
Pero no me hable del proletariado
Porque ser pobre y maricón es peor
Hay que ser ácido para soportarlo
Es darle un rodeo a los machitos de la esquina
Es un padre que te odia
Porque al hijo se le dobla la patita
Es tener una madre de manos tajeadas por el cloro
Envejecidas de limpieza
Acunándote de enfermo
Por malas costumbres
Por mala suerte
Como la dictadura
Peor que la dictadura
Porque la dictadura pasa
Y viene la democracia
Y detrasito el socialismo
¿Y entonces?
¿Qué harán con nosotros compañero?
¿Nos amarrarán de las trenzas en fardos
con destino a un sidario cubano?
Nos meterán en algún tren de ninguna parte
Como en el barco del general Ibáñez
Donde aprendimos a nadar
Pero ninguno llegó a la costa
Por eso Valparíso apagó sus luces rojas
Por eso las casas de caramba
Le brindaron una lágrima negra
A los colizas comidos por las jaibas
Ese año que la Comisión de Derechos Humanos
no recuerda
Por eso compañero le pregunto
¿Existe aún el tren siberiano
de la propaganda reaccionaria?
Ese tren que pasa por sus pupilas
Cuando mi voz se pone demasiado dulce
¿Y usted?
¿Qué hará con ese recuerdo de niños
Pajeándonos y otras cosas
En las vacaciones de Cartagena?
¿El futuro será en blanco y negro?
¿El tiempo en noche y día laboral
sin ambigüedades?
¿No habrá un maricón en alguna esquina
desequilibrando el futuro de su hombre nuevo?
¿Van a dejarnos bordar de pájaros
las banderas de la patria libre?
El fusil se lo dejo a usted
Que tiene la sangre fría
Y no es miedo
El miedo se me fue pasando
De atajar cuchillos
En los sótanos sexuales donde anduve
Y no se sienta agredido
Si le hablo de estas cosas
Y le miro el bulto
No soy hipócrita
¿Acaso las tetas de una mujer
no lo hacen bajar la vista?
¿No cree usted
que solos en la sierra
algo se nos iba a ocurrir?
Aunque después me odio
Por corromper su moral revolucionaria
¿Tiene miedo que se homosexualice la vida?
Y no hablo de meterlo y sacarlo
Y sacarlo y meterlo solamente
Hablo de ternura compañero
Usted no sabe
Cómo cuesta encontrar el amor
En esas condiciones
Usted no sabe
Qué es cargar con esta lepra
La gente guarda las distancias
La gente comprende y dice:
Es marica pero escribe bien
Es marica pero es un buen amigo
Súper-buena-onda
Yo no soy buena onda
Yo acepto al mundo
Sin pedirle esa buena onda
Pero igual se ríen
Tengo cicatrices de risas en la espalda
Usted cree que pienso en el poto
Y que al primer parrillazo de la CNI
Lo iba a soltar todo
No sabe que la hombría
Nunca la aprendí en los cuarteles
Mi hombría me la enseñó la noche
Detrás de un poste
Esa hombría de la que usted se jacta
Se la metieron en el regimiento
Un milico asesino
De esos que aún están en el poder
Mi hombría no la recibí del partido
Porque me rechazaron con risitas
Muchas veces
Mi hombría la aprendí participando
En la dura de esos años
Y se rieron de mi voz amariconada
Gritando: Y ya va a caer, y ya va a caer
Y aunque usted grita como hombre
No ha conseguido que se vaya
Mi hombría fue la mordaza
No fue ir al estadio
Y agarrarme a combos por el Colo Colo
El fútbol es otra homosexualidad tapada
Como el box, la política y el vino
Mi hombría fue morderme las burlas
Comer rabia para no matar a todo el mundo
Mi hombría es aceptarme diferente
Ser cobarde es mucho más duro
Yo no pongo la otra mejilla
Pongo el culo compañero
Y ésa es mi venganza
Mi hombría espera paciente
Que los machos se hagan viejos
Porque a esta altura del partido
La izquierda tranza su culo lacio
En el parlamento
Mi hombría fue difícil
Por eso a este tren no me subo
Sin saber dónde va
Yo no voy a cambiar por el marxismo
Que me rechazó tantas veces
No necesito cambiar
Soy más subversivo que usted
No voy a cambiar solamente
Porque los pobres y los ricos
A otro perro con ese huevo
Tampoco porque el capitalismo es injusto
En Nueva York los maricas se besan en la calle
Pero esa parte se la dejo a usted
Que tanto le interesa
Que la revolución no se pudra del todo
A usted le doy este mensaje
Y no es por mí
Yo estoy viejo
Y su utopía es para las generaciones futuras
Hay tantos niños que van a nacer
Con una alita rota
Y yo quiero que vuelen compañero
Que su revolución
Les dé un pedazo de cielo rojo
Para que puedan volar.
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