Il 9 gennaio 1927 nasceva Rodolfo Walsh, lo scrittore, giornalista e attivista politico argentino assassinato il 25 marzo 1977 dalle squadre della dittatura militare.
Lo ricordiamo oggi con un bell’approfondimento di Rodrigo Hasbún. Il pezzo è apparso originariamente sulla rivista Dossier, che ringraziamo.
di Rodrigo Hasbún
traduzione di Gianluca Di Cara
«Non ti dimenticare di annaffiare le lattughe», gli disse lei, Lilia, la sua quarta moglie, dall’altro lato della strada. Lui alzò la mano, sorridendo, prima di perdersi tra la folla.
Era venerdì ed era marzo ed era il 1977 e la dittatura di Videla stava decimando selvaggiamente i compagni di lotta. Obbligati a ripiegare, i due vivevano da mesi in una piccola casa che avevano comprato a San Vicente, a una cinquantina di chilometri a sud di Buenos Aires. Lì, lontani, lui si sarebbe spacciato da professore in pensione. Lì, dopo tanto tempo, avrebbe ricominciato a scrivere racconti – ne aveva addirittura già iniziati alcuni – e magari anche un memoir, o quel romanzo che continuava a rimandare. Ma quel giorno gli avevano chiesto di andare, e non voleva dire di no. Non sapeva che stava andando incontro anche a un altro appuntamento.
Durante il percorso consegnò a vari giornali e corrispondenti alcune copie della sua lettera alla Giunta Militare («La censura sulla stampa, la persecuzione degli intellettuali, la violazione della mia casa […], l’assassinio di amici cari e la perdita di una figlia che è morta combattendovi sono alcuni dei fatti che mi obbligano a questa forma di espressione clandestina»), che il giorno prima aveva celebrato il primo anno al potere. Sembra tutto perfetto, come nelle migliori delle sue opere, e non è affatto difficile pensare a lui come al più autentico dei suoi personaggi.
Era venerdì ed era marzo ed era il 1977 e Rodolfo Walsh stava per diventare un desaparecido.
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Walsh può essere definito in molti modi. I più lo vedono come scrittore, giornalista e militante di sinistra che portò il proprio impegno alle estreme conseguenze, ma anche come l’autore di Operazione Massacro (1957), un meraviglioso esperimento in cui si uniscono una rigorosa ricerca e le più sofisticate tecniche narrative: per molti si tratta del primo libro di giornalismo letterario al mondo, e non solo in lingua spagnola (Capote, infatti, avrebbe pubblicato il suo A sangue freddo solo nove anni dopo). Altri lo indicano come uno dei migliori narratori argentini del XX secolo, come capace traduttore e appassionato del genere poliziesco, come giornalista implacabile e come intellettuale curioso che ha occupato posizioni distinte durante l’intero arco della sua vita.
È tradizione ormai leggerlo solo alla luce degli anni Settanta, ma ciò non permette di avere una visione d’insieme di tutto ciò che Walsh fu e rappresentò: non tutto, infatti, quadra sempre, anzi alcune delle sue definizioni finiscono con l’annullarsi l’una con l’altra. Questi appunti sono un tentativo di avvicinarsi all’uomo che contraddistingue o contraddice la figura eroica e un po’ semplice che è stata costruita attorno al suo nome, ma sono anche un modo per avvicinarsi molto brevemente a ciò che scrisse.
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Di discendenza irlandese, era nato cinquant’anni prima di quella sua ultima uscita a Choele-Choel, che significa «cuore di pietra» – «Mi è stato rinfacciato da varie donne» –, secondo quando ci narra lui stesso; a Lamarque, lo corregge il biografo Eduardo Jozami. Suo padre, maggiordomo presso una piantagione e ostinato giocatore di carte, aveva deciso di mettersi in proprio nel peggior momento possibile, e la crisi degli anni Trenta portò la sua famiglia alla disgrazia. Rodolfo e uno dei suoi fratelli furono mandati in un convento di suore, dove iniziarono un lungo e duro percorso durante il quale appresero il significato di gerarchie e autorità.
«El 37», un testo meraviglioso su quel periodo, ci narra di quando suo padre, una domenica, fa loro visita. «Ci lasciarono andare nella vicina tenuta e ci sedemmo sul prato. Aprì un pacchetto, ne tirò fuori del pane e un salame e mangiò con noi. Sospettai che avesse fame, e non di una giornata come quella», scrive Walsh, aggiungendo verso la fine che «Ci furono altri cambiamenti, alcuni positivi, altri no. La felicità non era stata persa per sempre: bisognava solo prenderla con cautela, senza lamentarsi quando, all’improvviso, spariva nel nulla. Iniziavo a sentire il sapore della mia epoca, ed era una fortuna».
Mi piace pensare che tra queste righe sia nascosta una delle chiavi di lettura della sua vita e delle sue opere: le intermittenze della propria felicità – che si perde e si recupera e si perde di nuovo, senza preavviso – non viaggiano su binari separati rispetto alle intermittenze del periodo storico in cui si vive, ma sono piuttosto due linee che spesso s’incrociano, condizionandosi l’una con l’altra. Questa trama di affetti seduce il bambino senza casa (e l’uomo che lo ricorda e ne scrive), il figlio di dieci anni che affronta l’abbandono del padre, il futuro scrittore che, pur senza saperlo, inizia a prestare attenzione non solo a ciò che ha dentro, ma anche a ciò che ha attorno.
Tre anni più tardi fu relegato in un convento più brutale, questa volta gestito da preti. Anni dopo, alcuni dei suoi racconti più belli avrebbero raccontato proprio questo periodo.
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Ma torniamo alla scena d’apertura.
Walsh con i suoi scritti stava manifestando idee in contrasto con la dirigenza di Montoneros, l’organizzazione armata cui apparteneva fin dal 1973. Li incitava ad accettare la sconfitta militare e a dedicarsi alla resistenza e alla lotta con altri mezzi, senza più ricorrere alla violenza. I suoi erano appelli alla ragionevolezza, appelli urgenti che quella stessa dirigenza ignorò.
In quel giorno di marzo del 1977, si stava recando al suo appuntamento per ragioni personali: lo aveva chiamato la vedova di uno dei ragazzi caduti insieme a sua figlia Vicki. Anche se è difficile da riconoscere, il militante che s’incamminava verso la propria morte era anche il magistrale narratore e cronista che non scriveva una riga da ormai dieci anni. Questa sua ultima uscita appare ancora più tragica se si considera che proprio allora stava finalmente riuscendo a venir fuori dal più lungo dei suoi silenzi.
Ce n’erano stati altri. C’era stata anche una graduale cancellazione della frontiera tra la scrittura e la vita. Racconta Walsh: «L’idea più disturbante della mia adolescenza fu quella battuta idiota di Rilke: “Se lei crede di poter vivere senza scrivere, non deve scrivere”. Il mio fidanzamento con una ragazza che scriveva indubbiamente meglio di me mi portò a un silenzio durato cinque anni. Il mio primo libro era composto da tre racconti brevi, polizieschi, che oggi detesto. Lo scrissi in un mese, senza pensare alla letteratura, ma al divertimento e ai soldi. Tacqui per altri quattro anni perché non mi consideravo all’altezza di nessuno. Operazione massacro cambiò la mia vita. Scrivendola, compresi che, oltre alle mie perplessità più intime, esisteva un minaccioso mondo esterno. Me ne andai a Cuba, assistetti alla nascita di un nuovo ordine, contraddittorio, a tratti epico, a tratti fastidioso. Tornai, attraversai un nuovo silenzio di sei anni. Nel 1964 decisi che, di tutti i miei mestieri terrestri, il violento mestiere dello scrittore era quello che più mi conveniva. Ma non vi vedo alcuna determinazione mistica. In realtà, sono stato trasportato e mosso dai tempi; avrei potuto essere qualsiasi cosa. […] Penso che la letteratura sia, tra l’altro, un faticoso avanzare attraverso la propria stupidità».
Ecco, quindi: una vita marcata dal silenzio, mentre l’uomo, tacendo, si confronta con la propria stupidità. Ecco: lo sguardo freddo, dalla precisione chirurgica, che questo stesso uomo riesce a conservare quando guarda a sé stesso.
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Quando scrisse questo testo stava per compiere quarant’anni – il suo periodo più florido da un punto di vista letterario. Al ritorno dall’Avana, dove aveva collaborato alla fondazione e alla direzione dell’agenzia di stampa Prensa Latina, si isolò in una casetta a Tigre, sulle sponde del río Carapachay. All’epoca con lui c’era la sua terza moglie, Pirí Lugones, nipote del poeta, figlia del torturatore, migliore amica di Poupée, la sua seconda moglie, che era venuta dopo Elina, madre delle sue due figlie. Nel suo isolamento, a metà degli anni Sessanta Walsh scrisse le opere teatrali La granada e La Batalla – satire sulla vita militare, un’assurda anticipazione dell’inferno che si stava avvicinando – e i libri Los oficios terrestres e Un kilo de oro, composti in tutto da dieci racconti. [Una selezione dei racconti contenuti nelle due raccolte è stata pubblicata in italiano nel 2014 con il titolo di Fotografie, la Nuova Frontiera, n.d.r]
Molti di essi («Nota a piè di pagina», «Foto», «Quella donna», «Irlandesi dietro a un gatto» e «I riti terreni») vanno senza dubbio annoverati tra i migliori racconti argentini e sudamericani, come quelli di Borges e Cortázar, o di Ribeyro, Lispector e Rulfo. Al loro interno si può apprezzare il rigore di ogni aspetto e il privilegio di una voce personale (una voce che sa abbassarsi per lasciare sentire quella degli altri), l’esplorazione della vita di provincia e di quella di alcuni angoli nascosti della città, l’empatia per i reietti, la rabbia e i freni alla rabbia, il lirismo, l’intensità.
Quando Walsh abbandonava il suo silenzio, questi erano i risultati, qualsiasi cosa scrivesse.
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E mentre scrivo tutto questo, mi rendo conto che non ho mai posseduto un libro di Walsh. Non ho mai posseduto un libro di Walsh, scrivo, e la frase mi sembra un po’ desolante. Li ho letti tutti, alcuni anche più di una volta, ma li ho sempre presi in prestito da qualche biblioteca.
È vero che i suoi libri non circolano più, perlomeno al di fuori dell’Argentina? Sta diventando, se non lo è già diventato, un autore da archivio, un esemplare raro nel museo latinoamericano degli orrori? Qualcuno di cui più o meno tutti sanno qualcosa, ma che in pochi hanno letto? La sua produzione letteraria ha finito col diluirsi con la sua stessa vita? È l’ultima conseguenza della cancellazione dei confini creata da Walsh, l’inevitabile rovescio di questa cancellazione?
[clicca qui per leggere la seconda parte]
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