In questi giorni la redazione si è sparpagliata nelle case di tutti noi: ecco allora i dispacci dalle sedi distaccate di SUR, che mai come adesso si sente una CASA editrice. Oggi scrive Martina Testa, editor.
Cari lettori,
non so quanti di voi, come me, stanno passando in casa da soli queste settimane di isolamento forzato; a volte mi dico che è più semplice, non dover condividere gli spazi (la sera posso mettermi a ballare in salotto un dj set del compianto Andrew Weatherall senza rendere conto a nessuno), a volte, quando passo venti ore senza pronunciare una sola parola ad alta voce, mi dico che è più alienante. Ad ogni modo, non so se più a me che a voi, mi mancano gli altri; non parlo dei familiari, dei colleghi e degli amici: loro mi mancano ma li sento, li vedo in chat, ci parlo. Mi mancano gli altri che avevo intorno sui mezzi, in fila alla posta, al cinema, ai concerti, quando andavo a vedere la partita o, appunto, a ballare: tutti quegli altri sconosciuti di cui prima sentivo la voce e l’odore, a cui mi sedevo accanto o contro cui mi capitava di strusciare, sbattere, che incrociavo per strada senza neanche notarli. Dopo tanto tempo in cui il riflettore del mio cervello è fastidiosamente puntato quasi sempre su di me, tutti quegli altri indifferenziati con cui mischiarmi e confondermi mi mancano.
Il mio antidoto, in questi giorni, è stato andarmi a rileggere Ali Smith, una scrittrice i cui libri sono sempre fatti di incontri con gli altri, in cui quasi non esiste uno senza altro. L’una e l’altra, anzi, è proprio il titolo di uno dei suoi romanzi, quello diviso in due parti che si richiamano e si rispecchiano, una ambientata nella Ferrara del Rinascimento e una nell’Inghilterra del presente: per volontà dell’autrice, metà delle copie cominciano con la parte ambientata nel passato, e metà con la parte ambientata nel presente. La copertina è identica: solo per caso il lettore incontrerà il romanzo in una versione o nell’altra.
Gli incontri, ad Ali Smith, non fanno mai paura. Anche i più casuali e ravvicinati: anzi, è da quelli più inaspettati che nelle sue storie nasce qualcosa; in Voci fuori campo, l’arrivo di una giovane sconosciuta ribalta gli equilibri fintamente stabili di una famiglia in villeggiatura, in Autunno, una bambina stringe con un vicino di casa di sessantotto anni più vecchio l’amicizia più importante della sua vita; in Inverno, due anziane sorelle, ai ferri corti da sempre, si ritrovano a passare il Natale insieme. Dalla frizione fra sé e gli altri sboccia immancabilmente una scintilla, imprevedibile e vitale.
E nella scrittura di Ali Smith, l’incontro è anche, sempre, dialogo. «Questa», pensa un personaggio in Autunno, «è ormai un’epoca in cui la gente non dialoga, ma si dice delle cose e basta. È la fine del dialogo». E invece nei suoi libri quanti dialoghi! Di volta in volta realistici, immaginari, socratici, rivelatori. Incontri di voci. Incontri di parole. Anche di questi Ali Smith non ha mai paura, anzi: far incontrare le parole in maniere nuove, farle giocare o bisticciare fra loro, è la sua passione (e la sua traduttrice, Federica Aceto, da più di quindici anni mi sorprende per come riesce a riprodurre questa effervescenza in italiano). Ecco: Ali Smith è una scrittrice che affronta il mondo senza diffidenza, con inesauribile curiosità, e armata solo della vitalità delle sue frasi riesce a fare molte cose diverse. Descrivere questo mondo dal basso, con gli occhi per esempio di una senzatetto in Hotel World:
Else guarda fisso a terra. Lungo la linea dove il muro dell’hotel incontra il marciapiede ci sono pezzetti di vetri rotti e tritume. Alcuni pezzi di vetro sono verdi, altri bianchi. Else riesce a distinguerli al buio. Lì vicino, un vecchio chewing-gum spiaccicato che sembra una moneta, ormai parte integrante del marciapiede. Tante delle cose che sono per strada erano un tempo vicine alle persone, in intimità con loro, nelle loro bocche, addirittura, prima di finire qui.
Ali Smith, Hotel World, traduzione di Federica Aceto
Descriverlo dall’alto, con un’universalità quasi profetica (questa, in Autunno, è l’Inghilterra del 2016, o l’Italia del 2020?):
In tutto il paese la gente non si sentiva al sicuro. In tutto il paese la gente rideva a crepapelle. In tutto il paese la gente si sentiva legittimata. In tutto il paese la gente si sentiva in lutto e sotto shock. In tutto il paese la gente sentiva di avere ragione. In tutto il paese la gente si sentiva male. In tutto il paese la gente sentiva la storia al proprio fianco. In tutto il paese la gente sentiva che la storia non aveva alcun senso. In tutto il paese la gente sentiva di non contare.
Ali Smith, Autunno, traduzione di Federica Aceto
E, soprattutto, re-incantare il mondo con le parole, come in questa scena di Inverno:
Quando fanno l’amore (e lo fanno subito, non appena lui chiude la porta d’ingresso) è per lei l’esperienza sessuale più bella di tutta la sua vita. Non sembra nemmeno sesso. Le sembra di essere stata ascoltata, vista, oggetto di attenzione, e non scopata, fottuta, chiavata, non è solo sesso, ma è qualcosa che lei non ha mai… qualcosa a cui non sa nemmeno dare un nome. Succede qualcosa per cui non ci sono parole.
Detta così suona troppo brusca: visto cosa succede con le parole? Non è questo che intende. Quello che intende è che le parole ridurranno l’intensità dell’esperienza, o la trasformeranno in qualcosa che non è.
Più tardi, tornando a casa, per strada ci saranno altre parole, lei ne sarà strabiliata, ne sarà sconvolta, come una casa scoperchiata dal vento, i muri abbattuti, una casa aperta, forse fin troppo aperta perché la strada su cui si troverà a camminare è piuttosto malmessa, ma per lei sarà piena di vita, anche se sotto i suoi passi ci sarà un semplice marciapiede, ma bellissimo, il marciapiede, andiamo, su, i marciapiedi non sono belli, e la pensilina dell’autobus uno splendore di bellezza, gli edifici, malandati, bellissimi, bellissimo il fast food, di una bellezza sconvolgente la lavanderia a gettoni piena di sconosciuti che di profilo nel sole del tardo pomeriggio sembreranno, sì, lo sa che non è così, ma sembreranno, in quel preciso istante, di una bellezza incredibile.
Ali Smith, Inverno, traduzione di Federica Aceto
Per tutti questi motivi, Ali Smith è stata l’autrice di Sur a cui durante l’isolamento sono tornata come fosse un farmaco tonificante, un integratore dal sapore gustoso che vi consiglio, certa che vi farà del bene. Il suo nuovo libro, Primavera (di nuovo una storia di incontri inattesi, sovversivi e salvifici), uscirà nella seconda metà di maggio, e non vedo l’ora che possiate leggerlo.
Vi lascio con una foto di noi insieme ad Ali lo scorso settembre al Festival di Mantova, nella speranza che non debba passare troppo altro tempo prima di poter tornare a stare molto vicini gli uni agli altri, con il sorriso bene in vista e un gelato in mano.
A presto e buone letture,
Martina
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