È stata inaugurata il 5 marzo a Barcellona la mostra Archivio Bolaño. 1977-2003. Ce ne parla Francesca Lazzarato, che l’ha visitata. Il suo articolo è già comparso sul «manifesto», che ringraziamo insieme all’autrice. In coda una sua breve scheda su un libro su Bolaño uscito di recente in Messico. Qui alcune immagini della mostra.
di Francesca Lazzarato
Non sono molti, tra le migliaia di turisti che ogni giorno invadono il centro di Barcellona, quelli che visitano il Centro di Cultura Contemporanea, nel cuore di un quartiere turbolento e multiculturale come il Raval. Eppure l’enorme edificio settecentesco, cresciuto intorno a vasti cortili, meriterebbe di essere visto, e non solo per l’audace restauro che ha innestato una facciata di vetro nero su un lato dell’antico Pati de le Done, ma anche perché il CCCB ospita ogni anno una nutrita serie di attività e manifestazioni di notevole interesse.
Tra le tante iniziative in corso ce n’è soprattutto una che dovrebbe conquistarsi l’attenzione di un pubblico internazionale, ovvero dell’ampia comunità di lettori che in tutto il mondo si accostano con crescente passione all’opera di Roberto Bolaño, nato nel 1953 a Santiago de Chile, scomparso nel 2003 e ormai riconosciuto come uno dei massimi autori latinoamericani contemporanei: la mostra Archivio Bolaño. 1977-2003, dedicata ai venticinque anni trascorsi dallo scrittore in Catalogna, dove un lungo e solitario apprendistato gli ha consentito di approdare a una piena maturità di scrittura. Dal cinque marzo al trenta giugno (poi l’esposizione si trasferirà a New York) è possibile affrontare un percorso affascinante attraverso la straordinaria quantità di carte accumulate da un grafomane che conservava tutto, dai ritagli di giornale ai pochi versi scritti sul tovagliolino di un bar. Allo stesso tempo, e per fortuna, la mostra esplora da vicino la vita quotidiana di Bolaño, contribuendo a sfatare l’assurda leggenda che gli si è addensata intorno a opera dei suoi editori e critici americani – ne parla la studiosa americana Sarah Pollack in un saggio intitolato “Latin America Translated (Again): Roberto Bolaño’s The Savage Detectives in the United States”, pubblicato nel 2009 sulla rivista «Comparative Literature» – e che lo vorrebbe di volta in volta esule politico, tossicodipendente o disperato bohémien.
La vedova Carolina López, che governa l’eredità letteraria di un autore tradotto in trentasette lingue e veleggia con sicurezza tra le polemiche (da quella sulla rottura con il critico Ignacio Echevarría, primo curatore dello opere di Bolaño, al veto opposto alla diffusione fuori dal Cile di un prezioso volume di interviste a cura di Andrés Braithwaite, Bolaño por si mismo, edito dalla Universidad Diego Portales nel 2011), racconta che i documenti sono stati numerati, catalogati e scannerizzati a partire dal 2006: un paziente lavoro al quale ha contribuito anche Valerie Miles, condirettrice dell’edizione spagnola della rivista «Granta» e organizzatrice della mostra insieme a Juan Insua, che con lei ha curato il ricco catalogo edito dal CCCB (pag. 176, euro 15) in cui appaiono, tra gli altri, interventi di Javier Cercas, Antoni García Porta, Enrique Vila-Matas e Patricia Espinosa.
Una cospicua scelta di questi materiali è stata poi inserita in un allestimento che esibisce 230 originali per un totale di quasi quindicimila pagine, oltre a riviste, fanzine, disegni, libri, video, un archivio digitale con oltre centocinquanta interviste, moltissime fotografie e infine oggetti come una vecchia macchina da scrivere elettrica, i giochi da tavolo di cui lo scrittore era appassionato, e perfino alcune paia dei suoi occhiali. Il tutto suddiviso in tre sezioni, la prima (“La Universidad desconocida. 1977-1980”) imperniata sugli anni trascorsi a Barcellona, in un disastroso alloggetto del Raval dove il giovane poeta cileno “vuole imparare a diventare romanziere“, dice la Miles, e sopravvive grazie a lavori improbabili, come quello di custode in un campeggio: un periodo descritto in tre taccuini del ’79, il primo dei quali si intitola per l’appunto “Notas de un vigilante nocturno del camping Estrella de Mar”. E sempre a quell’epoca appartengono racconti inediti come “Tres minutos antes de la aparición del gato” (il gatto in questione è quello del Rayuela di Cortázar, autore amatissimo dal ragazzo Bolaño) o l’autobiografico “La virgen de Barcelona”, che mostra le prime tracce di uno stile inimitabile.
“Dentro del caleidoscopio. 1980-1984”, la seconda sezione, contribuisce a stabilire una sorta di cronologia creativa, prendendo in esame gli anni di scrittura incessante vissuti a Gerona e testimoniati dai romanzi Diorama e El Espíritu de la Ciencia Ficción (dedicato a Philip Dick, racconta in tre quaderni manoscritti la storia di un giornalista e di uno scrittore impegnati in una bizzarra indagine), entrambi del 1984 e mai pubblicati, nonché da numerosi racconti. La terza sezione (“El visitante del futuro”, 1985-2003) riguarda gli anni di Blanes, dove Bolaño si trasferì per lavorare nel negozio di souvenir della madre e dove nacquero non solo i suoi figli Lautaro e Alexandra, ma anche le sue opere più importanti, a cominciare da I detective selvaggi e Stella distante (uscito in questi giorni presso Adelphi nella nuova traduzione di Ilide Carmignani, ma già apparso nel 1999 per le edizioni Sellerio a cura di Angelo Morino, il primo a far conoscere Bolaño in Italia), romanzo breve praticamente perfetto, ambientato in una desolata cittadina balneare identica a Blanes.
È soprattutto quest’ultima parte della mostra a svelare il metodo di lavoro dello scrittore attraverso esempi dettagliati: attorno un embrione minimo come un’immagine colta chissà dove o la notizia ritagliata da un giornale, crescono una serie di appunti e di elenchi destinati a confluire nello schema di un romanzo – a volte corredato da disegni e mappe come quella che accompagna Il Terzo Reich – e quindi a espandersi in un testo manoscritto, poi battuto a macchina o al computer e rivisto all’infinito. Un procedimento minuzioso, quasi ossessivo, carico di rimandi alle vastissime letture di Bolano e al suo interesse per la letteratura di genere, per il fumetto, per la musica e il cinema, e soprattutto testimonianza di una “cucina” letteraria dove niente cessa di esistere e tutto viene rielaborato fino a raggiungere la sua forma definitiva: una frase scritta in un quaderno degli anni ottanta affiora dieci anni dopo nel romanzo La pista di ghiaccio, il magmatico e inconcluso I dispiaceri del vero poliziotto getta le basi di un’opera capitale come 2666, le prime allusioni ad Arcimboldi appaiono in un raccontino degli inizi…
È ovvio che la curiosità si appunti soprattutto sui quattro romanzi, i ventisei racconti, i versi e le pagine di diario che costituiscono il corpus degli inediti, ed è altrettanto ovvio che la mostra ne esibisca solo frammenti e brevi riassunti, a garanzia delle future aste dei diritti indette da Andrew Wylie, temuto agente letterario e noto “ammaliatore di vedove” (la maliziosa definizione è di Carmen Balcells, la cui storica agenzia ha gestito i libri di Bolaño fino al 2006). Sembra, però, che per adesso ci si debba accontentare delle eterogenee opere postume, non sempre indispensabili o ben contestualizzate, apparse dopo che il successo nordamericano ha inserito lo scrittore nel circuito dei best-sellers – proprio lui, che “detestava l’unanimità” in ogni sua forma e che non aveva mai smesso di denunciare i meccanismi del mercato editoriale e di irridere i “figli del marketing” in vetta alle classifiche!
Stando a quanto dichiara Carolina López, infatti, non c’è fretta di placare ulteriormente la Bolaño fever (salita al punto che perfino una nuovissima libreria di Pechino ha scelto di chiamarsi 2666), e i testi ritrovati non vedranno la luce tanto presto. Meglio prendersi il tempo necessario a una cura attenta e creare una adeguata attesa per il “prodotto”, evitando di saturare il mercato, anche se appare improbabile che, oltre a fare la gioia degli studiosi e dell’incondizionata devozione di molti lettori, gli inediti giovanili possano accrescere la gloria letteraria di uno scrittore che ha dato il meglio di sé negli ultimi dieci anni della sua vita.
El hijo de Míster Playa. Una semblanza de Roberto Bolaño
“Per quest’uomo fabulatore e geniale la vita era molto più monotona, prevedibile e a volte noiosa di quel che lui stesso avrebbe ammesso davanti allo specchio…” . Così scrive Monica Maristain nell’introduzione a El hijo de Míster Playa. Una semblanza de Roberto Bolaño, pubblicato di recente in Messico ( Editorial Almadía, pag.356): una nutrita serie di testimonianze sulla vita dell’autore cileno, che compongono un suo convincente ritratto intimo. Giornalista argentina trapiantata in Messico, legata a Bolaño da una lunga amicizia epistolare e nota per aver raccolto l’ultima intervista da lui concessa prima di morire (la si può leggere nel volume L’ultima conversazione, Sur 2012), la Maristain ha interrogato poeti, scrittori, editori e critici che lo conobbero da vicino, come Carmen Boullosa, Bruno Montané, Rodrigo Fresán, Jorge Volpi, Ricardo Piglia, Ignacio Echevarría, Diana Bellessi, Jorge Herralde, ma anche il padre León Bolaño (è lui, un tempo camionista e pugile, il “Mister Spiaggia” del titolo) e Carmen Pérez de Vega, ultima compagna dello scrittore. Un lavoro durato tre anni, che, pur non essendo una biografia vera e propria ma una sorta di puzzle seducente e rivelatore, risulta indubbiamente prezioso non solo per la esauriente ricostruzione degli anni messicani in cui Bolaño fondò la corrente poetica “infrarealista”, della quale ritroviamo le tracce in tanta parte della sua opera im prosa, ma anche perché contribuisce a disegnare la figura dell’uomo, oltre che dello scrittore, contraddicendo in buona parte il mito che lo accompagna e presentandolo piuttosto come “un eroe confuso” (la definizione è del critico cileno Alvaro Bisama) o, come racconta Maristain, come “un rockero, divertente, provocatore, erudito”, abitudinario e affettuoso, che diceva senza esitazioni quello che pensava. Un prodigioso e intelligentissimo bastian contrario incapace di ipocrisia, insomma, un outsider totale adorato dagli amici e pronto a spiazzare e irritare il mundillo letterario spagnolo e latinoamericano, cui si sentì sempre profondamente estraneo.
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