Il 26 agosto del 1914 nasceva a Bruxelles Julio Cortázar. Per festeggiare questo anniversario regaliamo ai lettori del blog una lettera che l’autore di «Il gioco del mondo» inviò al suo editore, Francisco (Paco) Porrúa: la lettera che ogni editore vorrebbe ricevere da uno scrittore destinato a diventare il Cortázar del suo catalogo. E trattandosi di uno dei romanzi cardine della letteratura del Novecento è formidabile assistere alla sua genesi attraverso questo scambio epistolare. La lettera è tratta dal volume Chi scrive i nostri libri, dedicato appunto alla corrispondenza letteraria di Cortázar, uno dei più grandi e influenti scrittori di tutti i tempi. Buona lettura!
A Francisco Porrúa
Parigi, 25 luglio 1962
Mio caro Paco,
ieri mattina sono arrivati i cronopios. [Si riferisce alla prima edizione, Historias de cronopios y de famas, Minotauro, Buenos Aires 1962. ndr] Petulanti e maligni come sempre, hanno convinto la portinaia ad assestare dei colpi terribili sulla porta di casa, proprio nell’ora in cui io e Aurora dormivamo immersi in quella magia speciale che acquista il sonno dopo che la sveglia ha suonato e si è già sicuri che si arriverà in ufficio con un’ora di ritardo. La tua lettera, invece, è apparsa, discreta, nel pomeriggio, e si è infilata per conto suo sotto la porta. E così la festa era al completo, in casa ci sono state straordinarie aperture di bottiglie e un’allegria nella quale mancavate solo tu, Sara ed Esteban. Abbiamo maledetto minuziosamente l’oceano Atlantico, Pedro de Mendoza e «il tempo che è nemico degli amici». Ma eravamo comunque contenti, e c’erano cronopios da tutte le parti a Place du Général Beuret.
Paco, questo sì che è un libro. Non un opuscolo qualsiasi, un libro vero. Uno lo prende in mano e pesa, vale di per sé, si difende. È venuto benissimo, e i difetti che potrei segnalarti senz’altro li conosci già molto meglio di me. Protesto per essere stato ridotto a «J. Cortázar» sul dorso. Che taccagno questo Minotauro. Ogni volta che guardo il libro di taglio resto a bocca aperta e mi chiedo: Chi sarà questo J. Cortázar? Suona strano, non ti pare? La colpa è mia, che non ti ho esposto la mia teoria secondo la quale i libri sono definiti malissimo a parole, e quello che chiamiamo dorso non lo è in assoluto, anzi, è il volto del libro, la sua parte più importante e più viva. Pensa che appena lo metti in una libreria, l’unica cosa che resta del libro è il mal chiamato dorso. In realtà, i libri si potrebbero pubblicare senza copertina (magari con una fascetta perché i librai possano esporli in vetrina e la gente si renda conto di che cosa si parla), allora tutto il talento dell’editore, del tipografo e dell’illustratore sarebbero concentrati sulla vera faccia del libro, ovvero il dorso. Non ti sembra una buona idea? J. Cortázar! J. Cortázar! Scelga lei l’arma che preferisce, signor Porrúa.
A parte gli scherzi, l’edizione è venuta molto bene, e ti ringrazio molto. Dillo anche a Esteban. Sai, mi rendo conto finalmente che le buone azioni vengono ricompensate. Io ho difeso il minotauro quindici anni fa, e ora questa bestiola riconoscente mi pubblica, in modo ammirevole, per giunta. Ciò che la gente chiamerebbe una coincidenza, no?
Sai, tutto quello che mi hai scritto su Rayuela mi ha lasciato così commosso che non voglio nemmeno provare a dartene un’idea. È successo semplicemente questo (e per me è tutto, l’unica cosa che importa davvero): la tua reazione al libro rispecchia l’esperienza stessa che ne ho avuto io. Le parole che utilizzi, «un enorme imbuto», «il buco nero di un enorme imbuto», ecco, Rayuela è esattamente questo, è ciò che ho vissuto in tutti questi anni e che ho voluto provare a raccontare – con il tragico problema che appena questo tipo di cose si dice, scatta il malinteso, tutto l’orrore del linguaggio («le cagne funeste» – le parole –) che preoccupa Morelli. Guarda, Paco, a me non importa tanto che il libro ti sembri buono – sebbene questo abbia per me un’importanza enorme, è chiaro –; ciò che realmente conta è tu sia rimasto sconcertato, «scosso», alienato e al limite, come si sente il povero Oliveira, come me quando facevo a pugni con Oliveira in ogni capitolo del libro. Ho detto ad Aurora: «Ora posso anche morire, perché là fuori c’è un uomo che ha sentito ciò che io desideravo il lettore sentisse». Il resto saranno malintesi, idiozie, elogi, la fiera di sempre. Nessuna importanza. E ciò che in fondo ho apprezzato di più è che tu abbia desiderato tirarmi il libro in testa. Perché è ovvio, Paco. Poche persone possono essere insopportabili ed esasperanti come credo di essere io in certi momenti. Lo so per certo, e mi adeguo alle conseguenze.
Più avanti, se il libro sarà pubblicato, vorrò le tue critiche concrete, e so che non mi nasconderai nulla di ciò che pensi. Per ora, mi accontento dell’immenso sollievo di sapere che quattro anni di lavoro sono serviti a qualcosa.
Non posso dirti nient’altro. Scrivimi uno di questi giorni, e grazie di tutto, con un grande abbraccio a Sara e un altro per te da
Julio
Aurora legge da dietro la mia spalla – queste donne – e mi sfiora un orecchio con un bacio per voi.
© Julio Cortázar, Aurora Bernárdez, edizioni SUR – Traduzione di Giulia Zavagna
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