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Il puma (a.k.a. i lettori selvaggi)

Nicolás Campos F. Scrittura, SUR

Nicolás Campos ci racconta di Borges, BolañoPavić e di quello che significava per questi grandi scrittori essere, soprattutto, lettori. L’articolo, uscito originariamente su Loqueleímos, viene qui riprodotto per gentile concessione dell’autore.

di Nicolás Campos F.
traduzione di Claudia Calderaro

 

Era un piacere intervistare Bolaño, non c’è dubbio. E fra tutte le risposte che ha dato nelle interviste ce n’è una che è diventata famosa: quando gli veniva chiesto se si considerava un bravo o un cattivo scrittore, o uno scrittore di qualsiasi tipo, di solito affermava che era orgoglioso di essere, prima di tutto, un lettore.

È una risposta molto conosciuta, al punto che l’ho sentita molte volte sulla bocca di scrittori più o meno giovani. Li fa sentire grati per la loro larghezza di vedute, immagino. Piace, è democratica. Inoltre si potrebbe, in una certa misura, tacciare di demagogia, dato che per identificarsi con l’immagine di lettore basta saper leggere.

Quello che mi chiedo è se chi gli copia la risposta abbia la minima idea di cosa significasse per Bolaño essere un lettore.

A prima vista sembra una semplice battuta di spirito, una cosa simpatica così tanto per dire, ma essere lettore, deduco, per Bolaño sembra una categoria superiore a quella di scrittore. Lo intravedo nella passione di Bolaño per Borges, una passione senza critiche, da fan. Potremmo, difatti, supporre che la sua risposta si rifaccia ai versi che aprono la poesia «Un Lettore» di Borges: «Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; io sono orgoglioso di quelle che ho letto». Inoltre, già nel prologo del primo libro di poesie di Borges, Fervore di Buenos Aires, datato 1923 trovavamo un concetto molto simile: «Se nelle pagine che seguono ho creato qualche verso felice mi perdoni il lettore la scortesia di averle usurpate io, previamente. Siamo tutti un’unica realtà; le nostre piccolezze differiscono di poco e tanto influiscono nelle anime le circostanze, che è quasi una casualità che sia tu il lettore ed io lo scrittore – lo sfiduciato e fervente scrittore – dei miei versi.

Forse, vista la data della citazione, non è così assurdo pensare che la frase sia di uno dei maestri di Borges, Macedonio Fernandez. Non sarebbe strano, anche se si tratta chiaramente di un eccesso di speculazione.

Altri, e non avrebbero tutti i torti, potrebbero precisare che la tradizione di affidare un ruolo predominante al lettore si rifà a Cervantes. Ad ogni modo, come accade nell’opera del cosiddetto Principe dell’ingegno, questo aspetto assume delle sfumature negative, è una scelta smidollata. Il chisciottismo – come lo intende Cervantes – non è eroico, come a qualcuno, in particolare ai lettori spagnoli, piace pensare, ma è meramente evasivo. Non c’è eroismo nell’esaltazione del lettore che fa Cervantes. Al contrario, c’è scherno: il suo personaggio più famoso muore schiacciato dalla realtà e, come se non bastasse, nel suo villaggio natale; non c’è niente di avventuroso in questo. E con lui muoiono tutti i sogni di cavalleria. Cervantes è realista nel ricordarci che chi non fa altro che sperare rimane deluso.

È Borges a conferire al lettore uno status quasi eroico, di inseguitore di allusioni, detectivistico, poliedrico. Inoltre Borges attribuiva al lettore un ruolo attivo quanto quello dello scrittore, facendo intendere che lo scrittore è semplicemente colui che racconta un’esperienza e che a essa si abbandona. Si alza l’asticella, non tutti sono lettori, e ancor meno, forse, sono scrittori. Ed è anche un nuovo modello: lettore è chi non smette mai di imparare. È il luogo comune che contrappone l’amateur al professionista. Ed è anche Borges, che mette in risalto l’importanza della figura del detective, che lo vede per ciò che è davvero: un lettore. Inoltre, anticamente, i detective letterari (Dupin, Holmes) erano aristocratici caduti in disgrazia, che se anche ricevevano denaro lo facevano all’interno di una logica propria di chi scommette, non di chi lavora. Si professionalizzano solo in seguito.

Questi lettori sono, quindi, fino a che il denaro non li addomestica, detective selvaggi.

E i detective selvaggi di Bolaño sarebbero, pertanto e a loro volta, lettori selvaggi.

Non è un collegamento così astruso, mi sembra.

A proposito di selvatichezza, voglio riprodurre un frammento del libro Il dizionario dei Chazari, di un romanziere di stirpe borgesiana, il serbo Milorad Pavić:

Immaginatevi che due uomini tengano legato un puma con due corde. Se vogliono avvicinarsi uno all’altro, il puma li attaccherà perché le corde si afflosciano: solo se i due tirano contemporaneamente il puma rimarrà equidistante da entrambi. Questo è il motivo per cui chi legge difficilmente si avvicina a chi scrive: tra i due quello catturato è il pensiero comune, legato con corde che tirano in direzioni opposte. Se adesso chiedessimo al puma, ovvero al pensiero, come vede questi uomini, direbbe che gli esseri commestibili stanno tirando le corde a qualcosa che non possono mangiare.

Bella metafora quella di Pavić, che ci presenta la classica dicotomia lettore-scrittore. È proprio questa dicotomia che si deve assumere come falsa, come di solito sono la maggior parte delle dicotomie, basate su opposti che sono solo apparenze, deliri causati da esercizi di semantica. Siamo, anche se non sembra, di fronte a un autentico attentato contro il significato di una parola, un cambio, forse, di paradigma. Senza dubbio, tutto ciò è già successo, o sta già succedendo. Non è un’intuizione, lo vedo nei discorsi di molti, come ho detto all’inizio. Manca solo prenderne atto. Sappiamo che il significato di una parola dipenderà sempre dai diversi contesti, da quanto frequentemente si usa; e di certo, se proprio bisogna scegliere un termine della dicotomia – e non fa differenza se, come appare evidente, la lettura e la scrittura sono attività che si alimentano a vicenda – è più cortese definirsi lettori. Ma anche in tal caso non è questo il punto. Il punto non è concentrarsi su chi legge o su chi scrive, né sugli uomini o sulle loro corde. Dobbiamo pensare al puma, o meglio, all’essere selvaggi.

© Nicolás Campos F., 2016. Tutti i diritti riservati.

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