Pubblichiamo la seconda parte di un saggio di saggio di Anna Boccuti, dell’Università di Torino, che analizza le consonanze fra lo scrittore argentino e il nostro Dino Buzzati nel quadro della letteratura di genere “fantastico” nel Rio de la Plata e in Italia. Qui la prima parte del saggio.
3. “Cefalea”: verità insondabili
Come in “Non aspettavano altro”, anche in “Cefalea” il racconto si struttura attorno a delle lacune, questa volta di tipo semantico oltre che di informazione, da parte del narratore. I silenzi disseminati nel testo partecipano infatti alla creazione di un’opacità che non permette di inferire cosa stia succedendo ai protagonisti e in quale direzione vadano gli eventi. Di fatto, nel racconto si narrano in maniera dettagliata le occupazioni di un gruppo – a cui appartiene anche la voce narrante – di allevatori di “mancuspias”: è questo primo elemento incognito, con cui esordisce il testo (“Cuidamos las mancuspias hasta bastante tarde”), ad irradiare un’atmosfera allucinata al resto del racconto.
(Anche in Buzzati si rileva la presenza di animali fantastici, come ad esempio il “colombre” che dà nome al racconto omonimo e alla raccolta in cui, Il colombre (1966). Per evitare l’incontro fatale con questo squalo leggendario – che si dica scelga la propria vittima, l’unica persona a cui esso è visibile, e poi la insegua sino a che non può divorarla – il protagonista è costretto ad una fuga costante, consumando così la propria vita tra ossessioni e paure. Il colombre, tuttavia, piuttosto che svolgere una funzione straniante come le mancuspie, conferisce al racconto una dimensione simbolica e allegorica estranea al fantastico cortazariano. La possibilità della lettura allegorica in Buzzati e Cortázar costituisce un altro importante elemento di divergenza tra i due autori, che in quest’occasione non è stato possibile approfondire. Dirò brevemente che mentre in Buzzati la dimensione allegorica è inscritta nel testo e deve essere decifrata dal lettore per il completamento del senso, in Cortázar è una possibilità del testo ma non una sua necessità. Scrive eloquentemente al rigurado Alazraki:“ Es descabellado, entonces, obligarle a decir lo que el texto se niega a decir, obligarlo a una facilidad que lo suprime. Si a veces subrayamos, para definir estos relatos, su carácter de metáforas, es con la salvedad de que estas metáforas aceptan un número indefinido de tenores y los niegan a todos.”)
Le “mancuspie” sono infatti animali d’invenzione, di cui il lettore apprende l’esistenza tramite le parole del narratore, che accenna ripetutamente alle loro caratteristiche fisiche e alla loro indole, fortemente antropomorfizzata:
A las mancuspias madres no les agrada el baño, hay que cuidarla con cuidado de las orejas y las patas, sujetándolas como conejos, (…) eso es lo que queremos para que las sales penetren hasta la piel más delicada.
En el aire flotan las pelusas de las mancuspias adultas, después de la siesta vamos con tijeras y unas bolsas de caucho al corral (…) las mancuspias necesitan el pelo porque duermen estiradas y carecen de la protección que se dan a sí mismos los animales que se ovillan replegando las patas.
Tocca all’immaginazione cooperativa di chi legge rimediare a questo vuoto sapientemente costruito, lì dove la presenza di elementi verosimili contribuisce a creare un effetto di realtà, per quanto straniata. Questo straniamento fantastico, inteso come un’infrazione dell’ordine della realtà, è una costante del fantastico cortazariano e non solo: esso instaura una sorta di disorientamento attorno a cui si va costruendo il senso ultimo e inafferrabile del racconto. (Sullo straniamento fantastico inteso come rottura nell’ordine della realtà rimando al testo di Campra citato in Bibliografia.)
La vita dei protagonisti del racconto è scandita dagli orari legati all’allevamento delle mancuspie: questo provoca una serie di opposizioni a livello della narrazione, prima fra tutte quella tra l’indeterminatezza circa la natura delle mancuspie e la minuziosità nella descrizione delle operazioni di pulizia e alimentazione degli animali:
(…) su cría es un trabajo sutil, necesitado de una precisión incesante y minuciosa. No tenemos porqué abundar, pero esto es un ejemplo: uno de nosotros saca las mancuspias madres de la jaula de invernadero – son las 6.30 a.m. – y las reúne en el corral de pastos secos. Las deja retozar veinte minutos, mientras el otro retira los pichones de las casillas numeradas donde cada uno tiene su historia clínica, devuelve a su casilla los que exceden los 37°C, y por una manga de hojalata trae el resto a renunirse con sus madres para la lactancia.
È insistita soprattutto la menzione di orari precisi, scadenze, ripetizioni che finiscono per costituire una routine logorante anche per il narratore e i suoi compagni.
La scadenze e i compiti fissi del resto trovano un contrappunto nella terapia alla quale si sottopongono i protagonisti per curare le tremende cefalee che li colpiscono:
No advertimos el amanecer, hacia las cinco nos abate un sueño sin reposo del que salen nuestras manos a hora fija para llevar los glóbulos a la boca.
Tutto il testo inoltre è disseminato di termini scientifici di farmaci omeopatici utilizzati per curare, tra le altre cose, cefalee di diversa intensità: Aconitum, Byronia, Nux Vomica, Camphora Monobromata, Natrum Muriaticum, Silica, Belladonna, per citarne solo alcuni. I protagonisti del racconto infatti consultano un manuale di omeopatia per individuare la propria patologia attraverso la descrizione dei sintomi e seguono le prescrizioni in esso raccomandate. Le denominazioni omeopatiche, riportate in latino, sono utilizzate di volta in volta anche per indicare la condizione fisica e lo stato mentale dei personaggi ma, vista la loro oscurità per il lettore comune, esse contribuiscono a rendere sfuggente in più momenti ciò che il testo vuole designare:
Una mujer se enfrenta repentinamente con un perro y comienza a sentirse violentamente mareada. Entonces aconitum, y al poco rato sólo queda un mareo dulce, con tendencia a marchar hacia atrás (esto nos ocurrió, pero era un caso de Byronia, lo mismo que sentir que nos hundíamos con, o a través de la cama).
El otro, en cambio, es marcadamente Nux Vomica (…) Hemos pensado si no será más bién un cuadro de Phosphorus, porque además lo aterra el perfume de las flores (…)
In questo caso, è la strategia del ricorso alla terminologia tecnica, quella usata dal narratore del racconto, a conferire alla narrazione un alone di indeterminatezza: come già con l’invenzione delle mancuspie, i lettori privi di nozioni sulle cure omeopatiche non possono indovinare se questa farmacologia esiste o meno, però possono intravedere in essa l’esistenza di un ordine alternativo a quello della medicina officiale e al quale i protagonisti si affidano. Eppure, la quantità d’informazione fornita dal testo non consente al lettore di dominare mai del tutto il significato della narrazione, sempre oscillante tra il detto apertamente, l’appena suggerito, il non detto.
Un altro elemento oggetto di ellissi, perché mai esplicitato dal narratore, è la ragione dello stretto rapporto tra la salute delle mancuspie e quella dei protagonisti, parallelismo che, come già ha ben spiegato Alazraki (“Toda la descripción de la cría de mancuspias es una descripción de las cefaleas, pero no en una relación lógica sino, al contrario, como una violación de esa coherencia a que está sujeta toda comparación”), struttura l’intera storia:
Nos parece cada vez más penoso andar, seguir la rutina; sospechamos que una sola noche de desantención sería funesta para las mancuspias, la ruina irreparable de nuestra vida.
In realtà, oggetto di ostinato silenzio è pure il tipo di mercato attorno alle mancuspie, così come il tipo di organizzazione del gruppo, ripetutamente alluso attraverso la formula “uno de nosotros”, senza che mai sia chiarito neppure chi si cela dietro il pronome di prima persona plurale. Il gruppo si dice addirittura dotato di uno statuto, infranto però dalla fuga di due dei suoi membri.
È questo l’evento che imprime un cambiamento all’interno dell’ordine vigente nel gruppo di allevatori: non solo perché quelli che restano sono soli e isolati, ma anche perché, per la prima volta, viene insinuata (dall’esterno) una relazione tra i malesseri di cui soffrono i protagonisti del racconto e le mancuspie: “(…) en las otras poblaciones se ha difundido el rumor estúpido de que criamos mancuspias y nadie se arrima por medio a enfermedades”.
La fuga di Leonor e Chango determina un’agitazione crescente negli animali, che prosegue di pari passo all’intensificarsi delle cefalee. Da questo punto in poi il racconto è segnato dal delirio delle mancuspie, in una netta opposizione fra la spazio interno abitato dagli allevatori e quello esterno, dove le mancuspie fuggite dalle gabbie girano ormai folli per la fame:
Cumplimos silenciosos las últimas tareas, ahora la venida de la noche tiene otro sentido que no podemos examinar, ya no nos separamos como antes de un orden establecido y funcionando, de Leonor y el Chango y las mancuspias en sus sitios. Cerrar las puertas de la casa es dejar a solas un mundo sin legislación, librado a los sucesos de la noche y el alba.
Man mano che aumentano il disfacimento e il delirio nell’allevamento, inspiegabilmente aumentano anche i lancinanti dolori di testa dei protagonisti, che culminano con la menzione del crotalus cascavella, che, sempre secondo l’omeopatia del racconto, dà allucinazioni, dolori alla testa e al petto e la costante sensazione di “algo viviente (que) camina en círculo dentro de la cabeza”. Diventa quasi impossibile, per i protagonisti, capire se i rumori che sentono di fuori siano prodotto della loro mente oppure dalle mancuspie che assediano la casa.
Il tema classico in Cortázar della rottura dell’ordine viene affrontato nuovamente in “Cefalea”, con aperture questa volte inaspettate: come osserva Jitrik, non c’è rottura fra IN, spazio della ragione, ed ES, spazio dell’irrazionale, perché i due spazi sconfinano l’uno nell’altro, essi sono, in ultima istanza, lo stesso spazio, tanto che per i protagonisti diviene impossibile distinguere le allucinazioni dovute al mal di testa dalla frenesia delle mancuspie che circondano la casa tutt’intorno: “No estamos inquietos, peor es afuera, si hay afuera”.
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