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Cortázar, un’autobiografia involontaria

Giulia Zavagna Autori, Julio Cortázar, SUR, Traduzione

Cortazar_Chi scrive i nostri libriPubblichiamo oggi un approfondimento di Giulia Zavagna, che per le edizioni SUR ha curato la traduzione dell’epistolario cortazariano. Si parla di Chi scrive i nostri libri, il volume dedicato alle lettere editoriali, in un articolo apparso su La Nota del Traduttore, che ringraziamo.

di Giulia Zavagna

Chi scrive i nostri libri, come sempre accade con Cortázar, è molti libri insieme. Ma soprattutto è un libro che non esiste, che non è nato in quanto tale dalla penna dell’autore, e di cui un’edizione originale vera e propria non c’è. È infatti un tassello, minuscolo, dell’immensa corrispondenza cortazariana (più di 1800 lettere, scritte a partire dal 1937, fino al 1984, a pochi giorni dalla morte), raccolta da Alfaguara in cinque volumi, e pubblicata da SUR in tre volumi a selezione tematica. Il primo, Carta carbone, raccoglie le lettere ad amici scrittori, mentre il terzo, in uscita nel 2015, si concentrerà sulla corrispondenza di carattere politico. Questo è appunto il secondo volume, dedicato alle lettere editoriali – dirette a editori, giornalisti, traduttori, critici letterari, registi – che ripercorrono da dietro le quinte la genesi e lo sviluppo di Cortázar come scrittore, e di molte delle sue opere più famose. Un libro, quindi, che di note ne ha parecchie: tuttavia, non si tratta delle sempre controverse note del traduttore, ma piuttosto di note del curatore, indispensabili a contestualizzare alcuni passaggi (e spero mai eccessive o pedanti). 

Ancor prima di parlare di traduzione, non posso quindi evitare di menzionare il meraviglioso – e faticoso – lavoro di selezione che ha dato vita a questo testo: un’immersione totale, durata quasi un anno, nella vita pubblica e privata di uno scrittore che avevo già frequentato a lungo, ma mai tanto intensamente. Orientarsi in quel mare di ricordi, amicizie, aneddoti e retroscena non è stato semplice, e mi è sembrato anzi un atto un po’ insolente, quasi voyeuristico, soprattutto considerando che per l’autore una lettera era «una cerimonia un po’ – come dirlo? – un po’ sacra, un atto dal contenuto trascendente». Eppure mi ha permesso un lungo periodo di approfondimento e di preparazione, lusso che difficilmente ci si può concedere prima di iniziare a tradurre. La traduzione vera e propria, poi, è stata un’avventura senza precedenti: immaginate un testo di Cortázar, ma infinitamente più variegato, multiforme, densissimo di informazioni e al tempo stesso filtrato dalla macchina da scrivere di chi alla letteratura ha dedicato una vita intera. Un continuo cambio di registri linguistici, dunque, dal più colloquiale e scherzoso, a quello formale e professionale; dal tono cronopiesco e disincantato alla serietà e al timore di uno scrittore che per la prima volta deve confrontarsi con una celebrità sempre crescente. Questa senz’altro la difficoltà maggiore, insieme alla grande quantità di riferimenti a pubblicazioni, autori, o vicende sulle quali documentarsi con precisione era pressoché impossibile. Un ostacolo che sono riuscita ad aggirare grazie alla preziosa collaborazione di Carles Alvárez Garriga, curatore dell’epistolario per Alfaguara, e Aurora Bernárdez, vedova Cortázar, che ricordo con affetto. Detto questo, due parole sul libro. Quella di Cortázar è a mio avviso una corrispondenza che si potrebbe definire di respiro universale: non c’è nulla che sia davvero solo ed esclusivamente personale, se per personale intendiamo distaccato ed estraneo alla letteratura. Per il gran cronopio le due dimensioni erano sovrapposte e a volte interscambiabili. Lo spettacolo a cui assistiamo addentrandoci nella sua corrispondenza è proprio questo: la letteratura che permeava ogni aspetto della sua quotidianità – dal più comune e insignificante, a episodi rari e stupefacenti – e allo stesso tempo la sua vita, con piccoli dettagli biografici che diventano letteratura, passando attraverso il caleidoscopico filtro del suo sguardo e della sua scrittura. InRespirazione artificiale, Ricardo Piglia immagina che si possa scrivere un romanzo fatto di lettere: «Quale modello migliore di autobiografia si può concepire dell’insieme di lettere che una persona ha scritto e inviato a destinatari diversi, donne, parenti, vecchi amici, in situazioni e stati d’animo differenti?» Chi scrive i nostri libri è questo: Cortázar ci è riuscito, e ci ha consegnato una preziosa autobiografia involontaria.

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