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Fotografie del mondo ritrovato

Autori collezione SUR Lawrence Ferlinghetti
Autore: Marco Cassini
Data: 04/02/2025
Ferlinghetti Cassini

Fotografie del mondo perduto segnò il debutto di Lawrence Ferlinghetti come poeta e, al tempo stesso, la nascita della casa editrice di culto City Lights. Marco Cassini, che ha tradotto il volume, ci racconta attraverso degli scatti ritrovati i suoi ricordi con il poeta della beat generation.

«erano forse immagini / del mondo / fraudolente / per il modo in cui la luce giocava su di loro / creando illusioni / d’amore? // Non posso fare a meno di pensare / che la loro realtà / era quasi reale quanto / il mio ricordo di oggi…»


Oggi mi sono messo a rovistare nella scatola di latta rossa in cui conservo vecchie foto cartacee, perché volevo ripescare qualche scatto di Lawrence Ferlinghetti. E inevitabilmente, dopo una insperata pesca miracolosa di una ventina di reperti archeologici, mi sono fatto la stessa domanda che si pone lui nella poesia citata qui sopra: le facce e i luoghi, le situazioni e i ricordi che ho ritrovato impressi su queste fotografie sono reali, o non sono forse immagini del mondo fraudolente?



È successo davvero, per esempio, che nel giorno dell’inaugurazione della sua mostra «Ferlinghetti: The Poet as a Painter», al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel maggio del 1996, mi chiese di posare accanto a lui, con alle spalle il suo quadro Two Poets at the Berlin Wall, in cui nel 1991 aveva rielaborato in chiave pittorica una foto del 1967 che lo ritrae, con il colbacco d’ordinanza, a Berlino insieme al poeta russo Andrei Voznessenskij, «più famoso dei Beatles» in patria, protagonista di un reading londinese del 1965 con Ferlinghetti Ginsberg e Corso alla Royal Albert Hall, reso celebre dal documentario Wholly Communion diretto da Peter Whitehead? E cosa significherà quel gesto che sta facendo lui, con le braccia unite davanti a sé come a simulare un pancione?

 


È successo davvero che in un giorno di agosto di quello stesso 1996 mi sono presentato alla libreria City Lights di San Francisco, ho bussato alla porta del suo ufficio al piano superiore, e ne sono uscito con un foglio firmato dal suo fondatore, che mi autorizzava ad aprire una libreria con lo stesso nome a Firenze? E soprattutto: è successo davvero che in quell’occasione così decisiva indossassi una ridicola camicia a fiori? E per giunta, a quanto sembra, sopra un maglione?



È successo davvero che quella libreria l’ho poi effettivamente aperta, meno di un anno dopo aver ricevuto l’autorizzazione scritta di Ferlinghetti, la City Lights Italia a Firenze, e che la sua inaugurazione divenne un piccolo caso di ordine pubblico perché quel giorno, a due passi dall’Arno, si riversarono a via San Niccolò molte centinaia di persone (provenienti, avremmo scoperto quel giorno, da diverse città d’Italia e anche da diversi paesi del mondo) al punto che si bloccò il traffico per ore, dovette intervenire la polizia municipale, e Ferlinghetti – che di arresti e manifestazioni pacifiche e pacifiste aveva una certa esperienza – riuscì a risolvere la situazione, pur senza che io abbia mai saputo cosa disse ai solerti vigili per evitare che disturbassero la festa?



È successo davvero che, verso la fine di quella lunga giornata di inaugurazione della libreria, risposi al telefono, e dall’altro lato una voce molto distinta mi chiese «May I speak to Lawrence Ferlinghetti?», e che quando gli chiesi con chi avessi il piacere di parlare mi rispose «My name is George Whitman, and I’m a bookseller too»? E che io, incredulo di essere sul punto di assistere a un momento indimenticabile della storia delle telecomunicazioni, afferrai il braccio di un amico fotografo intimandogli di venire a immortalare il momento, chiamai Lawrence che era nella stanza principale a firmare autografi, e sotto lo sguardo vigile di un Che Guevara cartonato a grandezza naturale, passai al fondatore di City Lights San Francisco la cornetta grazie alla quale avrebbe potuto ricevere gli auguri da parte del fondatore della Shakespeare and Co. di Parigi?



 È successo davvero che il giorno successivo all’inaugurazione, il 2 maggio del 1997, facemmo insieme un reading, lui in inglese e io in italiano, delle sue poesie, in una libreria così affollata che qualcuno prese posto alla batteria che era lì per un concerto che si sarebbe tenuto quella sera? E che alla fine della lettura mi regalò il suo cappellino con il logo City Lights, che ancora conservo a casa, accanto alla bandana che avrei ricevuto in regalo da David Foster Wallace qualche anno più tardi? E che durante quella lettura ebbi il coraggio di indossare la maglietta di Charlie Brown (ma con sopra la giacca, perché era una occasione importante)?



È successo davvero di essermi trovato così tante volte insieme a una persona di cui ho sempre ammirato lo stile, l’ironia, l’inventiva, l’impegno civile, la coerenza? È successo davvero che davanti a una sua poesia o a un suo quadro, specie se al cospetto del suo sguardo, mi sentivo più intelligente e più creativo anch’io?



È successo davvero che sono andato a Big Sur, in macchina da San Francisco, con lui e con la sua socia di sempre, Nancy J. Peters, e – dopo aver fatto una pausa a mangiare ostriche in riva all’oceano – arrivati finalmente a Bixby Canyon, gli ho scattato una foto mentre lui si dondolava dalla finestra dell’«Old West Hotel», il bungalow dove, tra le altre cose, Ferlinghetti ospitò Jack Kerouac, che aveva bisogno di fuggire dal successo di On the Road e dove si rifugiò a scrivere, per l’appunto, il suo romanzo Big Sur? (In effetti, non sono del tutto certo di aver scattato io questa foto!)



È successo davvero che nel 2000 intercettai Lawrence Ferlinghetti sulla Costiera Amalfitana, in occasione di un suo reading nel duomo di Amalfi, e che il giorno dopo lo invitai a fare un una gita sul gozzo di mio fratello Riccardo, durante la quale, nel dedicargli una copia di un suo libro, Lawrence – che di navigazione qualcosina ne sapeva, avendo partecipato allo sbarco in Normandia come marine nel 1944 – disegnò una vela latina, disegno su cui mio fratello si basò per far riconvertire il suo gozzo a motore in barca a vela dal tocco vintage? Ed è successo davvero che poi, insieme a Martina Testa, andammo a pranzo al ristorante Teresa a Santa Croce, dove Lawrence diede dimostrazione di apprezzare la cucina locale, e il vino con le percoche in particolare, di cui bevemmo diverse caraffe?



E che al ritorno verso Roma, nella Fiat Punto di Martina, Lawrence fece tutto il viaggio coi piedi appoggiati sul cruscotto, ed è successo davvero che a metà strada mio fratello Dario diede il cambio alla guida a Martina e, mentre io e lei ci addormentammo sul sedile di dietro, Dario si fece raccontare da Lawrence qualche aneddoto sul suo mito (nonché vicino di casa di Ferlinghetti, e suo «collega» di processi per oscenità…), Lenny Bruce?



È successo davvero che il 24 marzo del 2019, il giorno in cui Ferlinghetti ha compiuto cento anni, sono andato a San Francisco per partecipare ai festeggiamenti, che si sono svolti per tutto il giorno a City Lights e in altri punti significativi del quartiere italiano di North Beach, dove Lawrence ha vissuto per sette decenni e dove ha portato un intero mondo artistico e letterario, rivoluzionario e gentile, pacifista e surreale, ironico e leggero, al punto che per riconoscenza il sindaco della città ha istituito come nuova ricorrenza da festeggiare ogni 24 marzo il «Ferlinghetti Day»?



È successo davvero che al tramonto di quella giornata incredibile, quando la festa stava per finire, lui, che aveva deciso di non partecipare, restandosene a casa, mi ha fatto chiamare dal suo assistente Mauro, così che potessi andare a trovarlo, fargli gli auguri, e regalargli il libro che SUR aveva pubblicato per festeggiare il suo complesecolo? E che mi ha chiesto come andavano le cose, se pubblicavo ancora Cortázar e Lezama Lima, e se ero felice? E che io gli ho ricordato del nostro viaggio a Big Sur, della mostra a Palazzo delle Esposizioni, della libreria che aprimmo insieme a Firenze? Ed è successo davvero che gli ho risposto «per me essere qui adesso è una specie di Coney Island of the mind»?



O forse l’ho sognato, e ho sognato ogni cosa raccontata finora, mentre ho solo creduto di aver vissuto, perché tutte queste foto trovate nella scatola di latta rossa non sono altro che immagini del mondo fraudolente, per il modo in cui la luce crea illusioni d’amore?
Be’, credete quello che volete, io so che queste sono Fotografie di un mondo perduto, che oggi ho ritrovato.

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