Gli Incel non sono soltanto dei giovani maschi arrabbiati
Autori BIGSUR Jessa Crispin SocietàPubblichiamo oggi un’interessante riflessione di Jessa Crispin, autrice di Perché non sono femminista e I miei tre papà, sugli Incel e la nostra società.
L’articolo, apparso originariamente su DAME Magazine, viene qui riprodotto per gentile concessione dell’autrice e della testata. Buona lettura!
di Jessa Crispin
traduzione di Dario Matrone
Quando Giovanni Calvino governava Ginevra come una teocrazia, regnava il caos. Calvino credeva nella predestinazione, ovvero che soltanto un esiguo numero di individui sulla terra fosse stato scelto per la salvezza eterna. Gli altri erano dannati. Fin dalla nascita erano stati marchiati come peccatori irredimibili, e non c’era preghiera al mondo né opera pia che potesse volgere Dio in loro favore. La loro vita nell’aldilà sarebbe trascorsa fra eterni tormenti.
Un piccolo numero di questi dannati decise che, visto che la salvezza gli era preclusa, tanto valeva dare a Dio un buon motivo per spedirli all’inferno. Gli uomini uccidevano le mogli per le strade. Alle offese più banali si rispondeva con la violenza. Le percentuali di furti, aggressioni e stupri salirono. Questi uomini non potevano più sperare che la loro condizione migliorasse, che un giorno tutti i sacrifici, le privazioni e le sofferenze avrebbero avuto un significato, e che alla fine avrebbero trovato la pace e la beatitudine. Perché reprimere un impulso appagante quando la ricompensa promessa si è rivelata una menzogna?
Nella nostra era laica non crediamo più in un aldilà di salvezza o di dannazione. Non è più l’amore di Dio che cerchiamo, ma l’amore di un’altra persona. L’amore svolge molte delle funzioni che un tempo venivano assolte dalla religione: è l’ispirazione di quasi tutta la nostra arte classica, fornisce una struttura emotiva alla nostra vita, è ciò che ci redime.
E, come ai tempi di Calvino, ci sono quelli destinati alla beatitudine e quelli destinati alla dannazione, apparentemente fin dalla nascita. Gli uomini e le donne delle classi sociali inferiori hanno meno probabilità di trovare un partner, così come le persone senza istruzione superiore e i disabili. Anche la razza incide, poiché le donne di colore hanno meno probabilità di sposarsi delle donne bianche.
Le preferenze sentimentali sono un fatto politico. Chi scegliamo di corteggiare, chi giudichiamo degno di amore e di attenzione spesso ricade entro categorie che esprimono altre forme di potere. Nel caso delle donne, questo potere risiede nella bellezza e nella giovinezza. Nel caso degli uomini, sono i soldi e il livello di istruzione a renderli attraenti. Se possiedi delle doti che appartengono a una sfera atipica per il tuo sesso – se sei un uomo sensibile e spirituale ma povero, se sei una donna intelligente ma brutta – è probabile che non troverai quella forma suprema di riconoscimento che è il partner sentimentale.
Il termine Incel, prima di essere rivendicato in rete da alcuni maschi reazionari, è stato originariamente coniato da una donna gay per descrivere l’esperienza di non riuscire a trovare un partner sentimentale o sessuale, da lei vissuta negli anni Novanta. Alana, che preferisce non rivelare il proprio cognome, ha creato l’Involuntary Celibacy Project per offrire una comunità a chi è tagliato fuori dall’amore, a causa di problemi di malattia mentale, o di non-conformità di genere, o per semplice sfortuna. Si trattava di un’esperienza condivisa sia da uomini che da donne, i quali trovavano che la mancanza d’amore nella loro vita non provocava soltanto un sentimento di inadeguatezza, ma un vero e proprio isolamento sociale.
L’amore non è solo un bel sentimento, è la struttura su cui si fonda la nostra società. La famiglia, la proprietà, il denaro, il senso di appartenenza, la comunità passano tutti attraverso il filtro del matrimonio. Il matrimonio non è un mero contratto di devozione sentimentale. È una serie di diritti che sono offerti esclusivamente a chi può sposarsi. Garantisce benefici fiscali, permessi di soggiorno, accesso alle cure mediche, diritti genitoriali. Gli uomini sposati sono pagati meglio dai datori di lavoro rispetto ai single. Ma l’amore è anche il modo in cui ci organizziamo socialmente. La gente è più portata a instaurare una convivenza di lunga durata con il partner sentimentale, e in base ad alcuni studi è stato dimostrato che le donne, una volta sposate, tendono a isolare le amiche single. Il fatto di avere o meno una relazione influisce su tutto: quante possibilità abbiamo di sopravvivere a malattie gravi, quante volte veniamo toccati nella vita quotidiana, quanti soldi guadagniamo. E spesso il fatto di non avere una relazione indica, agli occhi degli amici e dei parenti, che c’è qualcosa di sbagliato in noi.
Molte persone sono escluse dal mercato sentimentale e sessuale, cosa che da alcuni può essere vissuta come un’esclusione dalla società tout court. Nel nostro sistema di intrattenimento e informazione abbondano le storie di gente che ha trovato la salvezza e il lieto fine, mentre noi siamo condannati a una vita di eterno tormento. E il fenomeno sembra in crescita. Come sottolinea Suzanne Leonard nel suo libro Wife, Inc., «il numero di “uomini sposabili” – definiti come uomini finanziariamente stabili e solventi – è in calo rispetto alla platea più ampia di donne sposabili». Questo viene spesso descritto come un problema puramente femminile, che riguarda donne che desiderano un partner o un marito ma che trovano insoddisfacente o limitato il gruppo dei possibili pretendenti. Si parla invece raramente dell’effetto che l’essere etichettati come «non sposabili» può avere su uomini che già soffrono di difficoltà economiche o lavorative.
Uomini e donne sembrano gestire questa esclusione in modo diverso. In alcune epoche ci sono stati forti squilibri nel rapporto numerico fra i generi, che lasciavano uno dei due sessi con meno possibilità di sposarsi. Le guerre spesso decimano la riserva di giovani uomini idonei al matrimonio. Dopo la Guerra Civile americana, in cui morirono oltre un milione di soldati, c’era un surplus di giovani donne. Alcune trovarono conforto e compagnia attraverso quelli che furono definiti «matrimoni bostoniani»: due donne che andavano a vivere insieme come una coppia. In certi casi si trattava sicuramente di relazioni lesbiche mascherate, ma tante erano donne etero in cerca di un’alternativa a una vita di solitudine.
In India, data la preferenza delle famiglie e della società per i figli maschi, esiste attualmente un deficit di circa 63 milioni di ragazze e donne. Da quando questa tendenza è stata messa in luce per la prima volta, nel 2001, hanno iniziato a venire fuori storie dell’orrore: casi di singole donne costrette a fare da moglie per un uomo e per tutti i suoi fratelli, un aumento della percentuale di stupri e aggressioni sessuali, donne rapite e obbligate al matrimonio contro la loro volontà. Gli sbocchi che tradizionalmente erano a disposizione degli uomini celibi e delle donne nubili – i monasteri e i conventi erano la tipica soluzione per chi aveva un figlio o una figlia di troppo da sistemare – sono scomparsi dalla nostra cultura, lasciando il single a vita con poche alternative rispetto a tutti i benefici che può offrire un partner.
Qui arriva la parte del saggio in cui l’autore dovrebbe offrire interpretazioni consolatorie o soluzioni. La nostra cultura, però, è ben lontana dal riconoscere che esistono pressioni di natura sociale su un’area della vita a cui siamo abituati a pensare in termini soltanto psicologici. Se si parte dal presupposto che la società dovrebbe essere organizzata in maniera da dare la maggior quantità possibile di felicità al maggior numero possibile di persone (ed è questa la mia idea), allora l’amore e il sesso dovrebbero essere ripensati e riorganizzati, e sì, anche redistribuiti. Non nel senso che intendono i commentatori più retrivi, cioè di costringere le donne a relazioni con gli uomini nella speranza di tenere a freno la violenza maschile. Ma se si separassero l’amore e il sesso dallo status e dal privilegio, se si reimmaginassero gli standard che rendono desiderabile un partner, se si offrisse un’alternativa stabile alla vita matrimoniale che non sia la solitudine, allora si potrebbe alleviare la sofferenza. Non soltanto per i giovani maschi arrabbiati di internet, ma per tutti quelli, uomini e donne, che si sentono esclusi e soli.
© Jessa Crispin, 2018. Tutti i diritti riservati.